Beni culturali
Taglio ai fondi dell’editoria: i barbari non amano la libertà di stampa
Non è sopportabile ed accettabile che un “governo del cambiamento”, come si autodefiniscono i gialloverdi -Movimento Cinque Stelle e Lega- , abbiano, con la legge di bilancio 2019, deciso di tagliare i fondi all’editoria.
Accadrà dunque che giornali, organizzati sotto forma di cooperativa, dovranno tirare la cinghia o addirittura licenziare per sopravvivere.
Del provvedimento sono colpiti diverse testate locali, ma in modo particolare “Il Manifesto”, “Avvenire”, “Il Foglio”, “Italia Oggi”, “Libero”.
Il taglio è graduale e si snoda e si articola progressivamente.
I 59 milioni di euro contenuti nel “fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione” saranno azzerati tra il 2019 e il 2022.
Il contributo diretto erogato a ciascuna impresa editrice, sarà ridotto nel 2019 del 20%; nel 2020 del 50% ; nel 2021 del 75% ;a decorrere dal 1 gennaio 2022 non si ha diritto ad alcuna provvidenza.
Previsto anche un taglio del fondo per la convenzione tra il ministero dello sviluppo e Radio Radicale da 10 a 5 milioni di euro (art.1 comma 810 legge di bilancio 2019).
Ha protestato vibratamente Vittorio Feltri con due editoriali apparsi sulle colonne di “Libero” lo scorso 17 e 22 dicembre.
Il noto giornalista ha sostenuto: “La manovra passerà, prima o poi, e conterrà i tagli punitivi alla editoria. Ottima idea. Non appena il provvedimento sarà esecutivo, noi per sistemare la contabilità saremo costretti a licenziare una dozzina di giornalisti, allo scopo di continuare a pubblicare giornali. Non avremo alternative all’ assottigliamento degli organici, dato che non siamo capaci di moltiplicare gli introiti….I due geni della alleanza gialloverde hanno deciso di regalare 80 milioni di euro alla Rai, affinché avvii nuove iniziative.In viale Mazzini, sprecare quattrini è la ragione sociale dell’ azienda. Giusto che lo Stato aiuti l’ ente a gettare via altri denari, i nostri…Erano più corretti i vecchi democristiani e il cosiddetto pentapartito, i quali almeno coprivano di soldi il monopolio culturale italiano radiotelevisivo, ma a noi reietti riservavano qualche briciola che ci consentiva di andare avanti, partecipando al dibattito sulle vicende del Paese”.
Lo stesso Capo dello Stato Mattarella in un recente intervento ha sottolineato l’importanza del pluralismo dell’informazione e della libertà di stampa.
È ancora più sconcertante quanto si legge sul “Manifesto” (Roberto Ciccarelli) del 18.12.2018, ove si rimarca che quei fondi di cui non beneficeranno le indicate testate, saranno destinati ad altri giornali.
Decide dunque il governo a seconda ovviamente delle testate, se sono amiche o nemiche a chi elargirli.
Diversamente da quanto sostenuto dal vicepresidente del consiglio, ministro del lavoro e dello sviluppo Luigi Di Maio – e dal sottosegretario all’editoria Vito Crimi (M5S) – il fondo per l’editoria non sarà cancellato. Sarà invece indirizzato verso altri soggetti editoriali, pescati da una platea non ancora identificata. A farlo, in maniera discrezionale, sarà la presidenza del Consiglio, con uno o più decreti.
Contrariamente alla legge esistente, già riformata nel 2017, sarà dunque la maggioranza di turno – con decreti, non con una legge – a stabilire i criteri del «pluralismo» rivendicato anche nel testo governativo.
Sia Di Maio che Salvini sono entrambi allergici ai confronti.
È evidente che solo attraverso i social si organizzano campagne elettorali e si informano i propri elettori. Ma la mistificazione è facile, perché non c’è contraddittorio e dunque nessuna possibilità di esprimere il dissenso.
C’è ormai una corsa ad accumulare più like ed a contare maggiori visualizzazioni con video quotidiani che appaiono su Facebook, anziché rispettare una corretta ed equilibrata informazione, che si nutre della diversità di opinioni.
La cifra culturale di un’organizzazione politica, sia essa movimento o partito politico, si misura sempre per il rispetto della minoranza, capace di esprimere il necessario dissenso.
Uno dei padri fondatori degli Stati Uniti d’America, Thomas Jefferson, alla fine del ’700 scrisse che preferiva «giornali senza governo» a un «governo senza giornali».
Ricordiamoci che fu proprio la stampa a dover scoprire lo scandalo Watergate che valsero le dimissioni di Nixon, Presidente degli Stati Uniti.
Mettere a tacerla con un ricatto economico è la chiara dimostrazione che non si rispetta il diritto di critica, ma è anche l’evidenza che questo è il governo che non ha in considerazione la cultura che, nei suoi processi evolutivi più pregiati, ha in primo luogo il rigore di lasciar esprimere le opinioni altrui.
“Per raccogliere i beni inestimabili prodotti dalla libertà di stampa, bisogna sapersi sottomettere ai mali inevitabili che essa fa nascere” diceva De Tocqueville e disprezzava la “dittatura della maggioranza”.
Questo è ignoto al governo dei selfie.
Il giovane Marx negli articoli pubblicati sulla “Gazzetta Renana” tra il maggio del 1842 ed il marzo del 1843, difendeva la libertà di stampa contro la censura, per l’autonomia dello Stato e la laicità rispetto alle confessioni religiose. “La libertà -scrive Marx-si identifica con l’essenza dell’uomo: ogni forma di libertà presuppone le altre, come ogni membro del corpo presuppone gli altri. Ogniqualvolta viene posta in discussione una determinata libertà, è la libertà stessa che viene posta in discussione”.
In un bellissimo colloquio apparso sul “Corriere della sera” del 7 ottobre del 2008 tra Claudio Magris e Alessandro Baricco a proposito del libro scritto da quest’ultimo- I barbari– si sottolineò: ”I barbari sono tali rispetto a quella che si considera — a noi che ci consideriamo — la civiltà, la quale si sente devastata nei suoi valori essenziali: la durata, l’autenticità, la profondità, la continuità, la ricerca del senso della vita e dell’arte, l’esigenza di assoluti, la verità, la grande forma epica, la logica consueta, ogni gerarchia d’importanza tra i fenomeni. In luogo di tutto questo trionfano la superficie, l’effimero, l’artificio, la spettacolarità, il successo quale unica misura del valore, l’uomo orizzontale che cerca l’esperienza in una girandola continuamente mutevole. Il vivere diventa un surfing, una navigazione veloce che salta da una cosa all’altra come da un tasto all’altro su Internet”.
Il voler contrastare la libertà di stampa e di pensiero è da civiltà di barbari.
Devi fare login per commentare
Accedi