Beni culturali

Se fosse mancata trasparenza ad un “vostro” concorso, voi non fareste ricorso?

25 Maggio 2017

Oggi tutti parlano del Tar. Lo fanno anzitutto il segretario del Pd Matteo Renzi, il ministro della Giustizia Andrea Orlando e soprattutto il ministro della Cultura Dario Franceschini. A sentire loro la colpa della sentenza che ha annullato alcune delle nomine dei direttori di Musei che Franceschini e tutto il governo portava in palmo di mano da mesi è tutta di chi la sentenza ha emesso. Appunto, il Tar del Lazio, quasi un rappresentante proverbiale dell’ircocervo burocratico, e di ogni male della confusione legislativa e normativa che ad ogni livello regna sull’Italia. Tanto che Renzi, con insolito piglio propagandistico, è arrivato addirittura a dire, quasi scusandosi col popolo: “Non siamo riusciti a cambiare il Tar”.

A chi abbia la pazienza di legge le due sentenze “incriminate”, tuttavia, alcune note balzerebbero agli occhi, per differenza, sia rispetto alla propaganda di politici legittimamente interessati sia rispetto alla frettolosa recezione giornalistica delle sentenze stesse. L’argomento che ha dato il titolo a quasi tutti gli articoli comparsi in rete, ad esempio, secondo il quale “per il Tar” non potevano partecipare al concorso cittadini stranieri è, nelle motivazioni delle sentenze, ultimo, e non primo. Altre censure erano state poste prima, dai ricorrenti, e accolte dai giudici amministrativi. Ad esempio, secondo il Tar, era in violazione di diverse leggi il fatto che i colloqui di esami avvenissero a porte chiuse e quindi senza l’adeguato controllo e trasparenza. Peraltro, si sottolinea nelle sentenze, la stessa amministrazione contro cui è stato presentato il ricorso non ha eccepito nulla sul punto, ammettendo di fatto la circostanza di fatto (i colloqui a porte chiuse) che violava le regole che imponevano invece modalità diverse.

Poi – è vero – si parla anche dei concorrenti stranieri, e si dice che in forza di una norma del 2001 (curiosità: il sottosegretario del governo Amato, competente per materia, era proprio Dario Franceschini) per certe posizioni non possono concorrere i cittadini stranieri. La difesa del ministero ha eccepito che gli “standard internazionali” richiamati dal decreto Franceschini emesso per assumere i nuovi direttori dei musei dovevano superare quella vecchia norma. I giudici hanno però ritenuto diversamente, argomentando – la facciamo breve, nella sentenza il discorso è più ampio, più ricco, e non sempre comprensibilissimo – che il rispetto di “standard internazionali” non implica di per sé l’ammissibilità di concorrenti stranieri, in vigenza di una norma generale che invece espressamente la vieta.

Al di là delle opposte propagande, del renzismo scalmanato di chi grida a lacci e lacciuoli da recidere asfaltando il tar, e di chi gode apertamente per l’ennesimo tonfo giuridico contro il muro delle norme e delle burocrazia su un’altra norma simbolica uscita dal governo Renzi, al di là di tutto questo, una cosa resta, mi pare, chiara e incontrovertibile. Cambiare l’Italia, migliorarla, adeguarla a standard internazionali, non è facile. La massa di regole è ampia e contraddittoria. Le burocrazie sono gommosamente resistenti al cambiamento. Il paese e la società non sempre supportano cambiamenti migliorativi, un po’ per tradizione un po’ per assurda difesa di una sempre più esile rendita. Ma proprio perché tutto questo è vero, servono pazienza, competenza, sguardo e azioni di lungo periodo. E l’umiltà che serve per imparare dai proprio errori, dalle proprie leggerezze, per non farne di uguali la prossima volta. Se le porte devono essere aperte, mentre si fa l’esame, dovevano essere aperte. Se qualcuno le ha tenute chiuse, deve pagare. Se qualcuno ha visto violata la piena trasparenza del concorso, ha fatto bene a ricorrere e menomale che ha vinto.

Urlare all’imbroglio dei giudici del Tar, dopo, serve solo per qualche spicciolo di campagna elettorale. Forse.

 

 

 

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