Beni culturali

Scemo chi legge

29 Dicembre 2020

Annus horribilis per tutti, il 2020. Anche per gli editori. O forse per una certa produzione degli editori e per certi editori fuori dai clamori dei best seller, i quali spesso si rivelano autentica paccottiglia seppur premiata. Come un panettone fatto con ingredienti scadenti ma confezionato coi fiocchetti. Perché gli editori pubblicassero cose più sensate ci vorrebbero gli editori, appunto. Ma di Mondadori, di Rizzoli, di Einaudi non restano che i nomi, vuoti simulacri di persone che non ci sono più. Le agenzie letterarie, poi, non sono così meglio di ciò che si proporrebbero di essere. Io ho i miei dubbi che i cercatori di talenti sappiano dove cercare e soprattutto sappiano capire cosa leggono.

Molte agenzie letterarie sono refrattarie a leggere ciò che viene proposto. I selettori devono avere una sinossi sintetica del lavoro prima di leggerlo e se la sinossi par loro troppo scarna di spunti cestinano tutto immediatamente. Sarebbe come se a un compositore chiedessero un riassunto di una sinfonia. Immaginiamo che un compositore X, ancora non affermato, chiami un editore per proporgli un nuovo concerto per pianoforte e orchestra. Lui finora ha pubblicato solo qualche sonata per pianoforte e magari qualche trascrizione. L’editore gli chiede di riassumerglielo, perché per un intero concerto lui non ci perde tempo, sono le opere liriche che vanno per la maggiore in quel momento, o i balletti. I concerti per pianoforte sono impegnativi. Un riassunto è quello che può fargli decidere se continuare a leggere la partitura oppure restituirla all’autore dicendogli che in quel momento la sua casa editrice ha altri piani. Il compositore prova, pur fumandogli i coglioni, a fargli un riassunto del concerto, prendendo le frasi più belle e coordinandole. L’editore gli risponde, no, non è roba per me, troppo facile, non c’è sviluppo, non si intravede perché dovrebbe piacere al pubblico. E al compositore verrebbe voglia di trafiggerlo con l’archetto di un contrabbasso dopo avergli fatto salire un clarinetto su per il deretano.

Ecco come si sente uno scrittore davanti alle pretese di certi filtri degli editori o, peggio, degli agenti letterari, quando rispondono, senza manco aver letto un rigo dell’opera proposta.

La sinossi, grande scoglio per un autore. Un’agente di un’agenzia milanese molto conosciuta – il cui nome ricorda un noto salume o, a scelta, un’arma – che posta video su YouTube a ruota libera, dando “preziosi” consigli agli autori, dice che la sinossi dev’essere completa il più possibile, perché sennò l’opera non verrà mai presa in considerazione. Non contenta di proclamarla in video, la regola viene pure confidata alla pagina delle proposte sul sito web dell’agenzia. A questo punto uno si sente in dovere di mandare una sinossi completa, anche col finale, pensando di farle un piacere e di aver compiuto il volere del primo esaminatore. Lei che risponde? No, la sinossi è troppo lunga. D’altronde se la sinossi è impossibile da riassumere vuol dire, secondo colei, che la trama è troppo complessa e quindi l’opera non verrà mai letta anche perché gli editori la rifiuterebbero. Inoltre (senza neanche capire cosa ci fosse nell’opera proposta) colei si sente in dovere di aggiungere che le distopie non vanno e che un editore non perdonerebbe mai a un italiano di ambientare una vicenda che non si svolga in Italia (sembra incredibile ma sono parole sue). L’autore resta basito dal momento che la sua opera è ambientata anche in Italia, seppure con nomi di località inventate ma riconoscibili, prova a mantenere la calma, e propone, in seconda istanza, una raccolta di racconti che, per l’appunto, si svolgono in una città del Sud Italia, molto conosciuta e spesso ambientazione di narrativa e film. No, i racconti, poi, per giunta di nicchia perché regionali, non andrebbero mai e quindi l’agente non li prende nemmeno in considerazione. L’autore, senza spazientirsi chiede su cosa dovrebbe scrivere, se libri di ricette, biografie di ventenni in fiore del Grande Fratello, oppure pettegolezzi su politici, e così via perché alla vacuità non c’è limite, e l’agente risponde compunta che no, l’autore deve scrivere ciò che vuole, ciò che si sente in dovere di comunicare, e ciò che conosce meglio. Che è esattamente ciò che l’autore le ha inviato. Racconti no, romanzi nemmeno, l’autore, dall’infinita pazienza, che ha nel cassetto un bel po’ di opere che lui ritiene di una certa qualità, di sicuro superiore a molta cacca che viene pubblicata, o almeno degne di una lettura, invia un pamphlet satirico, piccante e ironico al punto giusto, sempre di attualità perché affronta il tema di un evento che si verifica una volta all’anno con grandi festeggiamenti, e dopo mesi attende ancora una risposta. Non giungerà mai. L’autore a questo punto si chiede se è lui che scrive male o sono coloro che dovrebbero leggere a non saper o a non voler leggere, per poi lamentarsi che non arriva mai niente di qualità. Verrebbe da rispondergli che forse in Italia non si leggono opere di qualità, visto che i selezionatori sono questi.

Poi ci sono editori di una certa caratura, che producono belle cose ma anche tanta spazzatura, che dicono chiaramente sul loro sito web che è inutile inviare manoscritti, tutt’al più saranno loro a cercare dell’autore. Forse prima di cercare un autore che non conoscono coloro consulteranno la zingara Cloris che dirà loro che l’Imperatore da cercare sta in città tale, via tale, numero tale, eccetera. Altrimenti non si spiega come possano trovare autori nuovi.

Poi ci sono gli editori a pagamento che pubblicherebbero qualsiasi cosa, anche carta igienica, purché l’autore si prenda tutte le spese di pubblicazione e promozione a suo carico, magari comprandosi pure 200 copie a prezzo “di favore”. In pratica delle tipografie che si sono blasonate da sole come case editrici. E questi editori sono la maggioranza.

Poi ci sono gli editori che, per farsi pagare le spese di lettura da parte di qualche editor, indicono dei premi letterari a pagamento, dove si proclama che il vincitore – o i vincitori – sarà premiato con la pubblicazione presso l’editore tale e che l’eventuale fascetta colla vincita di quel premio dovrà essere applicata a ogni copia in commercio. Poi si va a cercare sulla rete il catalogo di quell’editore e ci si rende conto che i titoli sono ventisei o ventisette in tutto, tutti vincitori delle edizioni precedenti di quel premio letterario. Si va a scorrere i titoli, con un accenno di trama, e si scopre che quei libri non esistono che su quel sito web, senza altre tracce. Vuol dire che non sono mai arrivati in nessuna libreria.

Poi ci sono i premi letterari importanti, messi alla berlina già molti anni fa, ad esempio nel film “I mostri” di Dino Risi (1963), nell’episodio “La musa” dove un Vittorio Gassman, travestito da presidentessa di un premio letterario famosissimo, esprime la sua preferenza per un libro orrendo senza arte né parte portandosi a letto l’autore, un sexy selvaggio semianalfabeta, oppure nel monologo di Franca Valeri “Il salotto letterario” (1962), sempre riferito allo stesso premio sponsorizzato da una ditta gastronomica, da manuale. A questi premi, ultimamente vincono delle ciofeche che uno si chiede se abbiano premiato il libro o il titolo o chissà che altro. E il ricordo va a “La musa” e alla Valeri.

L’autore non sa che cosa fare. Forse pensare all’autopubblicazione, ma vuol dire fare il lavoro di scrittore e di editore, di ufficio stampa, di promoter, di distributore, insomma fare un lavoro che magari non è il suo. E getta la spugna perché si annoia di tutti questi ostacoli. Alla fine vorrebbe pubblicare delle cose, pure interessanti, che però si arenano perché chi dovrebbe ricercare i talenti e promuoverli non fa il suo lavoro, o perché non lo sa fare o perché non vuole o, forse, perché gli è stato detto di non farlo o di farlo al contrario.

Perché poi ci si meraviglia che libri splendidi, siano romanzi, saggi, racconti, non trovino spazio nell’immensa offerta che ingombra le librerie delle grandi catene?

“Benvenuto del Cimitero dei Libri Dimenticati, Daniel.” (Carlos Ruiz Zafón)

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