Beni culturali
Racconti ad arte nella parola che si fa immagine
“Suis redevenus poussière
Je serais pas maÎtre de l’univers
Ce pays que j’aimais tellment serait-il
Finalmmement colosse aux pieds d’argille”. (Manhattan –Kaboul)
To fall in love, tombé amoreux, l’amore è spesso associato al senso di caduta, alla vertigine che si prova quando si perde il senso dell’orientamento e ci incamminiamo per strade sconosciute, nuove, seguendo piste inedite. È quanto un buon maestro provoca, un senso di spaesamento, di identificazione con la propria materia, un amore che coinvolge non solo la parte razionale dell’individuo, ma l’intero suo essere, quando l’identificazione tra il conosciuto per via cerebrale e il sentito attraverso il canale emotivo combaciano, proseguono all’unisono.
La scuola è comunità, non isola, è gruppo non solitudine, un territorio libero, non una prigione in cui i valori della solidarietà, dell’aiuto reciproco, del sostegno si traducono in ideali e valori che saranno sostanza dell’essere cittadini responsabili, capaci di essere pervasi da passioni civili.
La parola, in tal senso, è lo strumento più contundente, affilato, potente della forza bruta. Può istigare, appiccare un fuoco, accendere il desiderio di giustizia. Disobbedire è una forma di ribellione quando vengono vilipesi i minimi e sacrosanti diritti umani. La sopraffazione, la forza bruta, usare espedienti per aggirare gli ostacoli, la furbizia per ingannare l’altro, essere scaltri e poco solidali è quanto una società materialista, tesa al profitto, al guadagno, alla vincita a tutti i costi, ci propina offrendo esempi poco edificanti. Riuscire, danneggiando gli altri, coprendo sotto un manto di perbenismo la realizzazione di un sé fragile, narcisista, arraffone, è un abito mentale che la scuola tende a dismettere, a ridurre a brandelli, a gettare nel cesto dei rifiuti.
In tal senso l’arte aiuta a elevare e edificare lo spirito, a rimodellare sotto nuove forme materie plastiche che si adattano al passare del tempo, acquisendo forme fluide capaci di dialogare col passato che costituisce il sostrato della nostra evoluzione futura passando per un presente che si eternizza ma mai in forme cristallizzate.
L’opera di Diego Cibelli, “L’Arte del Danzare Assieme” in mostra a Capodimonte, a cura di Angela Tecce e Sylvan Bellenger, stabilisce un legame col passato, dialogando con esso, entrando in relazione per mescolare linguaggi che aprono a visioni alternative in un continuo rimando che è essenza costitutiva dell’essere umano e del suo situazionarsi nell’ambiente in cui opera.
Il rapporto con gli oggetti non è mai strumentale o semplicemente decorativo, essi tendono a rappresentare, esorcizzare, a mitizzare la presenza dell’uomo nel suo contesto ambientale, a guidarlo nel suo rapporto con l’ambiente.
I vasi, posti in dialogo con le porcellane di Capodimonte, presentano ferite, tagli, in cui viene posta una lastra in rame. Le forme sono spesso sinuose, ricordano fianchi di donne, anfore dalle quali abbeverarsi, o allungate come trombe che emettono musiche che deliziano gli astanti, talvolta aperture come anse di fiumi in cui immergersi o braccia tentacolari che in un mondo colmo di seduzione non possono non afferrarci.
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