Beni culturali
Piermario il libraio
«…sembra però che non sia mai entrato nella storia
ma sono cose che si sanno sempre dopo
d’altra parte nessuno ha mai chiesto di scegliere
neanche all’aquila o al topo…» (Guccini, Van Loon, 1987)
Credo sia capitato a molti lettori di conoscere un vero libraio, una di quelle figure che non si limitano semplicemente a vendere libri, ma che trasmettono anche il gusto della lettura e l’amore per la sua scoperta e sanno consigliare se richiesti, ma anche tacere opportunamente, se ci si limita perlustrare – per le più varie ragioni – gli scaffali di una libreria. Nella città dove sono nato e dove ogni tanto torno, da quando ho memoria conoscevo Piermario De Dominicis, ma solo da pochi anni ho stretto con lui un legame di amicizia. Piermario non è solo libraio, ma anche musicista e animatore culturale e politico, nel contesto di una città, Latina, dove è molto difficile resistere ad una mentalità da «produzione televisiva». Nella sua libreria spesso accadono delle cose, si fa cultura, si leggono libri, poesie, capita spesso di trovarvi Antonio Pennacchi, lo scrittore, suo amico fraterno. Anni fa apparve in Latina-Littoria, film-documentario di Giuseppe Pannone, dove scambiava con Pennacchi alcune significative opinioni sulla città della bonifica, divenuta poi una delle più destrorse in Italia. Ho pensato di fargli qualche domanda.
E’ stato gentile nel rispondere, e gli sono grato per il tempo che mi ha concesso.
Chi sei, cosa fai nella vita?
Faccio il libraio e il musicista. Sono libraio per passione, un lettore che ha trovato così il modo per leggere a scrocco e parlare a distesa di letteratura. Lavoro a Latina in una libreria che porta il mio nome. La musica è l’altra passione forte della vita e l’ho resa viva suonando da ventitré anni con Folkroad, un gruppo che fa musica irlandese, scozzese, bretone ecc., e che, partito quasi per gioco, ha regalato a me e ai miei compagni inaspettate soddisfazioni.
Quale pensi sia il rapporto tra i libri, l’esistenza, la politica?
Non esiste dubbio, anche minimo, sull’importanza del libro nella formazione di una persona e sullo spazio che va ad occupare nella vita di ciascuno di noi. E’ uno spazio di apprendimento e piacere che va ad alimentare ogni piano della nostra dimensione personale, quello emotivo come quello razionale. Il piacere di leggere è tale che facilmente i piani si fondono nella soddisfazione di ognuno di essi, a volte intrecciandoli: spesso un romanzo straordinario contiene tali insegnamenti da contenere un saggio celato al suo interno. Ovvio che un tale strumento, come diceva Borges, sia il più straordinario mai inventato dall’uomo perché se, ad esempio, il cannocchiale è il prolungamento della vista e la spada quello dell’occhio, il libro è il prolungamento della mente e della fantasia. Inevitabile che costituisca, insieme al cuore e all’esperienza diretta di vita, il substrato per il formarsi di una personale idea della politica.
Quale futuro vedi per il libro?
Ho visto per il libro un passato difficile in un paese fanalino di coda per lettura tra quelli europei. Al di la della retorica largamente ipocrita che si fa sulla sorte del libro, lacrime di coccodrillo, è evidente che una nazione con la nostra debolezza culturale è una manna per classi dirigenti come quelle italiane caratterizzate da un tasso di corruzione, peraltro platealmente ostentata, inimmaginabile altrove. L’ignoranza diffusa e coltivatissima è la loro assicurazione sulla vita. Negli anni più recenti, quelli della crisi, una tale situazione svantaggiata si è fatta quasi tragica. Se tremano in Italia settori maggioritari nelle abitudini dei consumatori, come quello alimentare, si può immaginare in quale abisso sia precipitato il commercio di libri. Se non si esce da un tale stagno malsano investendo su tutte le forme di diffusione ed utilizzo commerciale, oltre che civile e sociale, della cultura, rimarremo penalizzati soprattutto nella crescita economica. Questo a smentita perenne di un ministro dell’economia che poco tempo fa affermava contro ogni logica, che con Dante non si mangia un panino.
Quali libri pensi siano importanti da leggere?
Tutti i libri sono importanti perché rispondono a diversissime esigenze, riuscendo essi a sintonizzarsi perfino sul momento emotivo che il lettore attraversa in un dato momento o periodo. Se si legge con una, anche composta, avidità, si formerà prima il gusto personale, quello che ci permetterà di scegliere con maggior sicurezza i libri da scoprire in futuro. Sostengo per questo il diritto ad essere onnivori, avendo ovviamente il buonsenso minimo di far leggere ai bambini volumi adatti alla loro età e di assaggiare di tanto in tanto un classico, attingendo ad un patrimonio pressoché inestinguibile.
E entrando un po’ più nel dettaglio?
Come accade a tutti, anche il mio percorso di lettore, ma ovviamente anche il mio patrimonio umano e culturale, è stato accompagnato e segnato da alcuni autori più di altri. Fra coloro ai quali debbo maggior gratitudine, tra gli autori italiani di ogni tempo, ci sono “padre” Dante ( colleziono edizioni antiche o particolari della Commedia..), Pietro Aretino, Giuseppe Parini, Giacomo Leopardi, Federico De Roberto e il suo splendido ” I Viceré “, Igino Ugo Tarchetti col magnifico anche se poco conosciuto ” Fosca “, Italo Svevo, Carlo Emilio Gadda, Salvatore Quasimodo, Ennio Flaiano e Pierpaolo Pasolini la cui eredità intellettuale la si constata quotidianamente con la semplice osservazione delle forme in cui si è organizzata la società contemporanea e negli strumenti di controllo culturale, o meglio, subculturale, di cui si è dotata. Tra gli scrittori stranieri, al di la dei classici di tutte le letterature europee, amo il talento bizzarro ma sicuro di alcuni autori irlandesi come Robert Mc Liam Wilson, Roddy Doyle, Joe O’ Connor e altri. Alcune realtà di letterature emergenti quali quella indiana e cinese mi hanno pure intrigato, e non poco, in anni recenti. Un posto a se stante, patrimonio nel patrimonio, la letteratura ebraica tra l’Ottocento e Novecento, tra diaspora e scrittori di Israele. Moltissimi i nomi, da Stifter a Schnitzler, da Joseph Roth a Werfel e Kafka, da Primo Levi a Itzaac Bashevis Singer, da Henry Roth a Abraham Yehoshua, da Meir Shalev a Shifra Horn, da Chaim Potok a Mordechai Richler, da David Grossman a Stefan Zweig. Questa attenzione al mondo letterario ebraico si deve innanzitutto alla straordinaria qualità dell’opera di tantissimi autori, come quelli citati, ma anche ad una diretta presenza di sangue ebraico che mi proviene dalla parte materna della famiglia di mia madre. Mia nonna materna era una ebrea goriziana e suo fratello, Enrico Rocca, è stato una figura di spicco, prima di essere discriminato dal 38 in poi, quale storico della Letteratura Tedesca, giornalista e traduttore di autori quali Zweig, soprattutto, e tanti altri. Era tra l’altro imparentato, cugino mi pare, coi Michaelstedter di cui Carlo, genio precocissimo, fu autore del saggio ” La persuasione e la retorica “, sua tesi di laurea spedita all’Università di Vienna prima di togliersi la vita. La figlia di Enrico, mia zia Lilla, scomparsa purtroppo lo scorso anno, conservava con amore la preziosa corrispondenza tra suo padre con tutto il gotha della letteratura di lingua tedesca del Novecento. Lettere di Zweig, di cui era amico intimo, Roth, Thomas Mann e suo fratello Heinrich, Wasserman e tantissimi altri. Anche con Svevo ha avuto un rapporto di vera stima. Sono cresciuto con i racconti di mia nonna che mi portavano come su una macchina del tempo in quel mondo così intriso di amore per i libri e la cultura, quello degli ebrei di confine, nati sotto l’Austria Felix, il mondo di ieri di Zweig. Impossibile non ritrovarsi nel proprio bagaglio umano e culturale un lascito come quello che quel mondo ebraico, così decisivo nella storia della letteratura, dell’arte, della filosofia e della musica, mi ha regalato per il tramite di mia nonna, Emilia Rocca.
Consiglieresti il tuo mestiere a un giovane?
Fino a qualche anno fa avrei risposto immediatamente di si. Lo avrei fatto perché il libraio è un mestiere straordinario che ti permette di vivere quotidianamente la tua passione predominante, di stare all’interno di essa. Ti mette a contatto diretto con chi questa passione la condivide, lettori e scrittori in un confronto così creativo e gradevole da riempirti la vita, a compensazione di ciò che, come le tasche, non è mai riuscito a riempirti, o almeno non abbastanza per farti vivere tranquillo in un paese come il nostro. Oggi alla medesima domanda risponderei di no, la sopravvivenza si è fatta troppo difficile nel mio settore per poter a cuor leggero consigliare ad un giovane, pur necessariamente appassionato, di affrontare inerme le sabbie immobili dei consumi culturali in Italia.*
*Nb: Questa intervista è di alcuni anni fa, adesso lui non lavora più, ma resta sempre la stessa persona appassionata che conosco. Nel frattempo l’amministrazione della città è cambiata e Latina è diventata una città un po’ più vitale e interessante… Ne parleremo, forse.
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