Beni culturali

Nulla è andato perso, l’arte rock di Gianni Maroccolo

18 Luglio 2018

Il cerchio è stato chiuso, infine. E potrà riaprirsi altre volte ancora. “Nulla è andato perso”, il live di Gianni Maroccolo, opera rock densa di suoni ed emozioni, dopo due appassionanti anni ha concluso nei giorni scorsi a tarda ora il suo viaggio in Sardegna, lì dove era iniziato cinque anni prima. Ultima fermata nel luogo aspro e incantevole di Capo Mannu, nel centro occidentale dell’Isola: suonando davanti a un mare increspato appena delle onde sospinte dallo scirocco che, con le sue tepide folate, stuzzicava i profumi di rosmarini cresciuti nel grembo di contorte radici di ginepri. Viaggio come rinascita e nuovo inizio per il bassista, che certo non ha l’allure del frontman, eppure è stato cuore e mente di progetti che hanno segnato la storia musicale italiana. I primi travolgenti Litfiba, gli sperimentali Beau Geste, nel 1990 con i CCCP-Fedeli alla Linea. Due anni dopo è tra i fondatori di Csi, band di culto che segnerà tutti gli anni 90 (si scioglierà nel 2000) e i successivi PGR. Bassista di stile inconfondibile Maroccolo assegna allo strumento una presenza “live” unica: suonato col plettro o arpeggiato ne tira fuori un suono di bella potenza ed enfasi lirica. Parallellamente, alle band, continua l’attività di produttore deus ex machina per numerose realtà. Lungo l’elenco: dai Timoria ai Marlene Kuntz. Lavora ad album di Statuto, Yo Yo Mundi, Bandabardò etc…incidendo nel 2004 il primo disco solista “ACAU-La nostra meraviglia”. Un lavoro costruito con impegno e ricerca il suo, che non ha mai subito stop e ne ha fatto uno dei più fini e importanti produttori musicali d’Europa. Cinque anni fa in Sardegna, l’incontro con il milanese Claudio Rocchi, bassista degli Stormy Six, autore di geniali album psichedelici degli anni Settanta, “Viaggio” e “Volo Magico n.1”, regista e poeta, monaco induista e direttore per alcuni anni della radio indipendente nepalese. Rocchi aveva scelto da tempo di trasferirsi in Sardegna ai piedi del monte Arci. Tra i due, pur differenti sul piano artistico, nacque una fruttuosa collaborazione che portò alla produzione dell’album “vdb23/Nulla è andato perso”. Intesa artistica e profonda amicizia fino alla scomparsa di Rocchi che, colpito da una malattia degenerativa, si spense nel maggio 2013, poco prima dell’uscita del disco. Così Maroccolo anni fa ci descrisse l’incontro con l’artista milanese. «Con Claudio ci siamo ritrovati nell’Isola. Lui è venuto a viverci per scelta mentre io ci sono cresciuto. Qui ci siamo incontrati in un momento difficile e delicato per entrambi. Al di là dell’amicizia è nato un legame non spiegabile a parole. La classica situazione dove uno più uno fa realmente due».

La copertina del disco di Claudio Rocchi e Giannni Maroccolo “vdb23/nulla è andato perso”

Due anni fa la decisione di portare in tour quel disco. Accanto all’ex Litfiba musicisti di razza come il tastierista Antonio Aiazzi, il batterista Simone Filippi, già Ustmamò, Beppe Brotto, collaboratore di Rocchi, alle viole nepalesi e sitar. E soprattuto Andrea Chimenti, cantante di straordinaria versatilità che ha fatto sue tutte le musiche e i brani dell’album: la nervatura cioè di una esibizione arricchita anche di altri pezzi tratti dalla storia musicale di Maroccolo o Marok, come lo chiamano i fans. Dai motivi dei Csi, CCCP e Litfiba, alle cover di Capossela, Joy Division etc…. quanto è rintracciabile nel triplo vinile e doppio cd “Nulla è andato perso” contenente il live pubblicato lo scorso anno dalla Contempo records.

Il musicista Gianni Maroccolo a Capo Mannu, nella costa occidentale sarda a Putzu Idu, durante le prove

Uno show robusto, di oltre due ore, che ha girato l’Italia per due anni toccando tutte le città più importanti e trovando l’affetto crescente di un pubblico sempre presente e caloroso. Così, dopo aver chiuso la parentesi “italiana” ai primi giorni di luglio a Fiesole, la discesa pochi giorni fa in Sardegna, per l’organizzazione di Fy63 di Lello De Vita, infaticabile supporter del Consorzio e punto di riferimento isolano per i fans dei Csi. Lo scenario è quasi da mito. Evocante luoghi prewoodstockiani, fatto solo di natura, mare e cielo, e palcoscenico ridotto all’essenziale, adornato solo, sul far della sera da sciabolate di luce rossa e blu che avvolgono come drappi di seta i musicisti e frugano continuamente il mare circostante e un promontorio con un faro a guardia di un angolo quasi sigillato di mondo. La musica inizia leggera sul far del tramonto.

Il palcoscenico di Capo Mannu prima del concerto “Nulla è andato perso” di Gianni Maroccolo

Prima sono le ballate cantate con voce struggente ed evocativa da Andrillo, cantautore di talento che mette assieme cuore ed impegno in brani tratti dal suo disco “Uomini, bestie ed eroi” completamente autoprodotto, come “Irene” o della prima ora, “Su patriotu” o nuovissime e di bella grana compositiva come “L’occasione di perdersi” e una originale rilettura di “Amore che vieni, amore che vai “ di De Andrè.Il successivo reading della poetessa Anna Tea Salis che ha letto alcuni suoi versi e l’accompagnamento chitarristico di Marco Lais, e ancora il pezzo virtuosistico dello stesso Lais che in “Sa danza de sa Mendua” incrocia tradizione del ballo sardo con rock contemporaneo e funky preparano il terreno alla spettacolare parentesi di Beppe Brotto che prende per mano e conduce l’ascolto verso vertiginosi voli magici mentre calano le ombre della sera e sul cielo compaiono le stelle.

Il cantautore Andrea Andrillo ha aperto la serata dedicata al live di Gianni Maroccolo che chiude due anni di tour

L’ora giusta per partire per l’ultimo viaggio, carichi di un bagaglio cresciuto lungo la strada, costituito di nuove conoscenze, di sensibilità e affinità (ri)trovate. E quell’amalgama unico, fatto di sere e sere a suonare assieme, fino ad entrare dentro la complessità filosofica di “Rinascere” dove Claudio Rocchi attraverso la voce di Chimenti racconta e s’interroga: “Andiamo per campi magnetici e acque sotterranee/ sospese come fiumi nel ciclo della terra/ e non ci sono calendari che tengano il tempo/ imprigionano spazi ampi abbastanza per dividere la gente/ la sostanza delle cose corrisponde alla sua forma/ nell’essenza dei giorni come il nome/ dovrebbe essere il suono più vero per spiegarci/ perché continuare assatanati a sbraitarsi addosso/ sofferenze, differenze, insulti e frustrazioni?” .

Andrea Chimenti e Beppe Brotto in concerto a “Nulla è andato perso”

Il suono è compatto, minimale, a tratti svettano le distorsioni progressive delle tastiere, il pendolo pesante e metronomico del basso, suonato come una chitarra solista. “Rinascere” è una suite che assorbe interamente, una chiave iniziatica per entrare dentro l’universo/gli universi raccontati da Rocchi e Maroccolo. Suggeriscono ancora, alla fine del brano le parole di Massimo Zamboni ed Emidio Clementi: … “Ho lasciato la mia vita/ tornerò a riprenderla/ ho lasciato tutto com’era/ un giorno mi servirà di nuovo/ – A sogni affollati di volti e di notti che vanno a sfumare -/ I miei dischi, le mie corde, i vestiti stesi ad asciugare/ la mia stanza, la mia impronta sul cuscino/….”.

Antonio Aiazzi, Beppe Brotto e Andrea Chimenti durante il concerto di Capo Mannu in Sardegna

Il viaggio del live di Maroccolo è un insieme di quadri. L’uno contiene l’altro come le matrioske. La musica, attraversata nervosamente da memorie psichedeliche e punk, diventa melodramma contemporaneo, partitura di un’opera che racconta la vita stessa per episodi e visioni. Presi anche in prestito da altri. Come la rilettura obliqua e dolorosa di “SS dei Naufraganti” di Vinicio Capossela, poema segnato dall’amarezza. Il suono è scuro, notturno, disperato. Un urlo soffocato quasi. “E il legno cedeva all’acqua suo pianto/ La vela cadde, la sete ci asciugó/ Acqua, acqua, acqua in ogni dove/ E nemmeno una goccia, nemmeno una goccia da bere/ E gli uomini spegnevano, spegnevano il respiro/ Spegnevano la voce, nel nome dell’odio/ Che tutti ci appagó, il cielo rigó di sbarre il suo portale…”.Il live di Maroccolo è un’avventura dell’ascolto, una esperienza musicale e spirituale allo stesso tempo, quanto di meglio abbia anelato il rock. Poesia e note che risuoneranno per chissà quanto tempo ancora. Come “Peste”, “Inquieto”, “Atmosfere”, “Annarella”, “Wild is the Wind”

Gianni Maroccolo durante il concerto dedicato all’album prodotto assieme a Claudio Rocchi

Nel disco del live in chiusura si ascolta Maroccolo leggere un breve messaggio di Claudio Rocchi in cui il musicista saluta quel lavoro con parole colme d’amore. “L’idea è positiva, radiosa, piena di fiducia, di speranza, di entusiasmo. L’esatto contrario del presente che si vive, che ci vuole costringere in spazi di disperazione, di disagio, di povertà, di isolamento, di confusione, di paura. “vdb23/Nulla è andato perso” è per chi crede nella trasformazione, per chi è affascinato dalle sorprese che può rivelare lo sviluppo del potenziale umano, dall’ignoto al noto, dall’insostenibile al sostenibile, dalle ipotesi alle applicazioni, dalla speranza alla vita. Ed è per chi non si è arreso, per chi difende visioni ideali, per chi è vivo nella mente e nell’intelligenza, per chi vorrebbe stare meglio e vuole esprimersi per cominciare a farlo”. Il viaggio volge al termine. Nulla è andato perso.

Il concerto “Nulla è andato perso” volge verso la fine. Il viaggio è concluso
Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.