Beni culturali

Matera, capitale europea senza cultura?

11 Febbraio 2016

Matera di questi tempi è una città felice ma smarrita. È l’euforia per la nomina a capitale europea della cultura, certo, ma pesa l’esito delle ultime amministrative, un frullatore che ha rimescolato tutto e tutti: chi s’era raccolto attorno al sindaco uscente e al progetto Matera 2019, tutti sconfitti dal voto dei materani, ma anche chi a quel progetto s’era accostato criticamente e ora è alle prese con la realizzazione. Nel mezzo, una città spaesata, la quale tuttavia vuole godersi il momento, oltre che tuffarsi nel grande affare, ché i turisti da tempo già arrivano, e tanti, e la città si trova a vivere come mai prima d’ora, e finalmente a stare stabilmente sulle pagine dei quotidiani nazionali. Insomma, il futuro sembra una promessa di felicità. Declinare questa promessa come un riscatto è però il modo più rischioso di riscuotere.

Eppure, proprio attorno a questa parola – riscatto – la città sembra dipanare l’attesa per il 2019; riscatto soprattutto dalla marginalità nella quale ha vissuto a lungo, e riscatto da un passato oramai in archivio, come in archivio, e da tempo, è finito Carlo Levi. E il problema, evidentemente, non è nella traballante notte di Capodanno sulla Rai. Il rischio, insomma, non sta nell’emozione dell’esserci, finalmente, insieme agli altri, bensì nella tentazione di farsi uguale agli altri, rinunciando a sé, consegnandosi a una gentrificazione monocorde tendente all’effetto luna park. Ed è soprattutto questo che adesso raccontano i tanti locali, gli alberghi, i nuovi ristoranti, i bed & breakfast i quali, espugnati i Sassi, stanno occupando il Piano e sembrano prepararsi a scavalcare la via Lucana per arrivare chissà dove. Probabilmente, ovunque.

Poco male: si ricordi cos’erano i Sassi e cosa sono adesso, così che, infine, il saldo – al netto d’ogni storia racchiusa in quelle pietre cave – appare positivo. Ma, dopo la sbornia per la nomina a capitale europea della cultura, la questione relativa a cosa d’improvviso stia diventando questa città inizia a porsi davvero. Per farla deflagrare ci vorrebbero però un Antonio Cederna o qualcuno di quei grandi architetti i quali, dopo lo sfollamento dei Sassi, rifecero la città; ma non ci sono più, così come manca molto un Adriano Olivetti. Ed è per questo che l’ambizione di Matera a diventare «piattaforma culturale» di un nuovo Mezzogiorno rischia d’esser tradita. Il fatto è che le parole d’ordine che hanno accompagnato la candidatura non sembrano altro che slogan. Resilienza, buone pratiche, sostenibilità: tutto molto bello, sì, e accattivante, certo, ma come una slide; una slide evanescente. E la città sta reagendo altrimenti.

Così, la libreria dell’Arco ha dovuto lasciare la sua sede in via Ridola, strada diventata d’improvviso appetibile per attività più redditizie che ora lì s’affollano. Nicola Tamburrino, uno dei titolari, lamenta il mancato governo di queste dinamiche e spiega che «il 2019 è stato preso più come una consacrazione che come una opportunità; come un traguardo e non come un inizio». La biblioteca provinciale Tommaso Stigliani, che conserva anche 30mila volumi provenienti da fondi antichi, sconta invece le conseguenze della dismissione delle Province che qui significa riscaldamenti e ascensori che si guastano o impossibilità di acquisire nuovi libri e giornali. «È più facile trovare un quotidiano di vent’anni fa che uno di oggi», riassume con una battuta Pasquale Doria, giornalista molto ascoltato in città e autore di un volume – Scripta manent – che è un piccolo e divertito manuale di tecnica tipografica scritto per «accendere un interesse per le pagine di un patrimonio che – si legge nell’introduzione – non può rischiare di andare perduto», ossia quella biblioteca che, dice Doria, va tutelata comunque, a prescindere dal 2019.

Si dirà: mere occorrenze casuali. E così è, in fondo, sebbene faccia impressione il constatare, nella città che si prepara ad esser capitale europea della cultura, la sofferenza delle infrastrutture culturali, alla quale fa da contraltare una fioritura di ristoranti e camere d’albergo, come fosse questa l’unica cosa a contare. E saranno anche piccole cose, certo, ma sono segnali che raccontano il rischio vero che si sta correndo: quello del consumo irrimediabile della ricchezza di questa terra, ossia la cultura, il paesaggio, l’estrema bellezza d’ogni cosa; ed è un rischio che si corre anche passando per certe semplificazioni utili al marketing e al turismo ma che finiscono per negare la cultura stessa della città e addirittura la sua identità, molto più delle difficoltà di una libreria o di una biblioteca.

Nei documenti a sostegno della candidatura, per dire, si legge che Pasolini scelse Matera per il sole ferocemente antico e «per la bellezza e la storia che vi si respiravano, in quel connubio eccezionale di natura e cultura»; e però, come è noto, le ragioni che mossero Pasolini furono alquanto più complesse. In Terra Santa «il mondo biblico appare, sì, ma riaffiora come un rottame», spiegava proprio Pasolini nei Sopralluoghi in Palestina per dire dei motivi che lo spinsero ad ambientare a Matera il Vangelo secondo Matteo. Questa città, infatti, al contrario di Gerusalemme, mostrava ancora un volto arcaico e non in relazione col “centro” omologatore e col nuovo potere, come Pasolini lo avrebbe poi definito in Acculturazione e acculturazione o sul finire della Forma della città. Ed è, quest’ultimo, un monumento ideologico su paesaggio e modernità che ancora oggi sarebbe utile a Matera se Matera volesse davvero scommettere su una modernità diversa da quella che ha già fallito altrove; e si veda, per tutte, l’agonia di Venezia.

Insomma, se proprio Pasolini deve essere, allora che Pasolini sia, e però non soltanto come testimonial inerme e buono per il marketing, bensì Pasolini con tutto intero il suo pensiero il quale ha poco a che fare con il «connubio eccezionale di natura e cultura», e che invece esprime una critica feroce a una modernità molto simile al genere di modernità che si sta affermando ora in città con quella gentrificazione larvatamente hipster alla quale prima s’accennava, povera sineddoche di ciò che rischia d’accadere più avanti ma soprattutto negazione clamorosa proprio delle ragioni che portarono Pasolini a scegliere Matera. Poi sì, si può decidere di mandare in archivio anche Pasolini. Ma sarebbe un bel rischio poiché l’alternativa sta in ciò che un paio d’anni fa disse Oscar Farinetti: «Per me al sud c’è una roba sola da fare: un unico, grande Sharm el Sheikh».

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