Beni culturali

Il bello e il bruto

17 Gennaio 2020

Per la sfilata uomo 20/21 Prada fa allestire una piazza italiana con tanto di statua equestre, un chiaro omaggio alla metafisica di Giorgio De Chirico e insieme una celebrazione dello spazio condiviso per eccellenza: la piazza.

Per ribadire il concetto meneghino che il lavoro e il successo non si ottengono con un post, Miuccia Prada sceglie la piazza forse anche perché in questi tempi divorati dai social “farsi vedere” assume un ulteriore significato.

Persino lo spazio metafisico di De Chirico risulta quasi ingenuamente nostalgico se confrontato alla deriva virtuale a cui tutto ormai sembra soccombere.

L’allestimento pradesco rimanda anche all’installazione che Francesco Vezzoli, artista gravitante intorno alla fondazione di Miuccia, ha esibito un biennio fa da Nahmad a Londra.

E se per un attimo gli abiti e la musica fanno pensare all’ennesimo swinging london, appena i New Order virano sulle note languidissime del Tanhauser (il più viscontiano dei Wagner), ecco i giovani scapestrati trasformarsi nei tanti Helmut Berger che Luchino Visconti mandò in scena, dalla Caduta degli Dei fino a Ludwig, svelando così il segreto di un immagine maschile insieme marziale e fragilissima.

E scoprire così, per dirla alla Miuccia, l’altra faccia del brutto, o del bruto.

Se questo regista milanese così filologicamente raffinato affiora nel rigore della Signora Prada, stupisce vedere nell’allestimento del romano Alessandro Michele per Gucci un chiaro riferimento al tragico epilogo della vita di Pier Paolo Pasolini.

Visconti e Pasolini emergono in questo confronto Prada/Gucci non tanto per la classica antinomia Milano/Roma ma  per come i loro stili stanno in rapporto al mondo, per come il procedimento creativo viene concepito.

Accantonando la scelta genderless di far sfilare insieme uomo e donna,  Gucci debutta sulla passerella dell’uomo in un’arena di sabbia dove il pezzo dei Coil dal titolo Ostia (The death of Pasolini), spiega il perché di quello sterrato sopra il quale oscilla l’enorme pendolo senza tempo.

Alessandro Michele scegliendo di evocare la fine di Pier Paolo Pasolini proprio alla sua prima sfilata maschile, tributa un omaggio coraggioso a uno scrittore, un regista e un uomo la cui smisurata disperazione deve ancora trovare argini.

E guardando sfilare questi “ragazzi di vita”, sempre con qualcosa fuori posto, forse scappati troppo presto da casa al punto da indossare ancora gli abiti dell’infanzia, si continua a pensare a un riscatto e a una celebrazione.

Il riscatto dalla violenza che la diversità attrae e la celebrazione del talento di chi ha resistito.

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