Beni culturali

L’Italia immobile

25 Maggio 2017

C’è sempre la speranza che il nostro paese possa cambiare marcia per diventare, a tutti gli effetti, un sistema in grado di competere almeno con i cugini europei. Le possibilità per uscire da quel clima di torpore e indolenza che ci caratterizza in numerosi ambiti, non sono certo mancate. Gli stimoli per abbracciare una nuova dimensione, più internazionale e aperta ai cambiamenti li abbiamo vissuti con timore, ma poi, alla fin fine, quando ci mettiamo a lavorare sul serio, riusciamo a ottenere ottimi risultati. È sufficiente pensare ad Expo che ha cambiato il volto di Milano, proiettando la città in un nuovo Rinascimento di cui si stanno raccogliendo i frutti.

Ora, se è banale affermare che l’Italia ha un patrimonio culturale infinito, è altrettanto noto a tutti quanto la politica, negli anni passati, abbia mortificato e ignorato la necessità di un forte ripensamento della gestione del patrimonio che abbiamo ereditato dalla Storia.

Con coraggio, ma soprattutto con una visione strategica importante, il Ministro Franceschini aveva fatto un passo importante: aprire le selezioni per i posti dei direttori dei musei anche a cittadini stranieri, o meglio, europei (sembra un piccolo dettaglio ma non lo è). L’apertura non è affatto una mossa un po’ provinciale, di immagine, ma una scelta strategica, volta ad attirare i migliori talenti e professionalità, in grado di gestire un patrimonio così grande e complesso come quello culturale italiano.

Sarà anche un caso, ma i risultati hanno premiato questa scelta, così come, in generale, il lavoro di Franceschini sta producendo frutti insperati che stanno rilanciando in modo sostanziale il settore culturale. Queste nomine rappresentano una parte di un progetto più grande, ma già questo provvedimento ha contribuito in modo sensibile a migliorare le performance dei musei. Però si preferisce parlare di Franceschini in relazione agli equilibri interni del Pd e non al lavoro svolto in questi anni.

Il TAR del Lazio, invece, ha bocciato le nomine dei cittadini europei adducendo diverse motivazioni, una delle quali proprio in relazione al fatto che non è possibile assumere cittadini non italiani. La parola passa al Consiglio di Stato e vedremo cosa succederà.

Il principio per cui le sentenze si rispettano vale sempre, anche in questo caso, però è necessario fare alcune considerazioni in merito.

Primo fra tutti è antistorico e fuori da qualsiasi logica il presupposto per cui è impossibile chiamare persone straniere alla guida di istituti così importanti e strategici. Fatto ancora più grave che si tratti di persone europee. Chiudersi nella propria dimensione autoreferenziale blocca il sistema paese che non accetta la contaminazione culturale e di know how sviluppato a livello internazionale e limita la platea di candidati, con l’altissima probabilità di escludere delle vere e proprie eccellenze nella gestione dei beni culturali.

Inoltre, in classico stile italico, ogni volta che qualcuno prova a muovere una pedina nello scacchiere della Pubblica Amministrazione, arriva, puntuale come il raffreddore d’inverno, il ricorso da chi non accetta un risultato, la class action del Codacons contro l’imposizione dei vaccini per i bambini, fino al comitato di quartiere che si forma per contrastare qualsiasi iniziativa che va ad intaccare uno status quo comodo, immutabile e sicuro.

L’apertura alle professionalità internazionali è la via giusta. Non può e non deve essere vista come un’umiliazione nei confronti dei dipendenti che già lavorano nei vari uffici che si occupano di Beni culturali. Piuttosto deve essere uno stimolo a migliorarsi sempre, ad abituarsi che oggi, la competizione si gioca su piani diversi e che tutto il sistema italiano, se vuole essere protagonista, deve confrontarsi con le eccellenze e le buone pratiche che già esistono negli altri paesi. Chiudersi dentro i propri confini è un passo indietro imperdonabile che ci condanna ad un eterno immobilismo, che fa dell’Italia un piccolo paese marginale, insignificante e non credibile.

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