Beni culturali
L’immagine della banalità
Non si tratta di fabbricare un’immagine, occorre che essa giunga sulle proprie ali.
Pierre Reverdy, Il guanto di crine, 1927
In un mondo concepito esclusivamente per il commercio è chiaro che non c’è spazio per altro che non sia sempre e comunque una compravendita.
La destra di questo Paese, oltre ad avere un passato ingombrante occupato da una dittatura e dai suoi fantasmi fascisti assai difficili da esorcizzare, è stata profondamente contaminata da una nefasta influenza berlusconiana di stampo consumistico. Inevitabilmente ne seguono le orme molti dei ministri che adesso stanno col signor Meloni, i quali un tempo erano valvassori e valvassini del re di Arcore, spesso figure di cortigiani abbastanza squallidi, e la formazione forzista è comunque rimasta nel cuore. Meno male che Silvio c’è… non per molto, ormai, anche se probabilmente, in futuro, per illudere fan e aficionados che sia ancora in vita, lo imbalsameranno e gli faranno muovere il braccino automatico per salutare come faceva la regina Elisabetta dall’auto regale. Perché una volta partito lui partirà anche il suo partito. The end.
Questo plagio di impostazione mentale, secondo la quale le tre “i”, ossia internet, inglese e impresa, solo per fare un esempio, mostravano come perfino la scuola dovesse essere vista in un’ottica aziendale, intride fino all’ultima cellula il cervello di tutta ’sta gente che sta al governo attualmente. Una visione all’americana, superficiale, dove per essere felici bisogna possedere e dominare nel nome della competizione, portata alle estreme conseguenze dal trumpismo, cogli esiti che tutto il mondo ha visto.
Ovviamente gli affari sono necessari per la vita di un paese, ma ci sono campi in cui gli affari proprio non c’entrano perché esisterebbe anche altro.
Non sembra esistere altro, comunque, per questa gente che quantifica ogni cosa sebbene poi sia incapace di quantificare realmente e quindi di far quadrare i conti per tutto ciò che riguarda le opere da eseguire nel Paese grazie a una quantità immane di soldi che arrivano dall’UE, non riuscendo nemmeno a programmare in tempo un piano per gli asili nido, e quindi penalizzare proprio un settore della società che questo governo vorrebbe privilegiare, ossia le famiglie con figli presenti e futuri. Non riescono a fare nemmeno qualcosa per i loro elettori. Proprio negati, inetti. Ma pagati profumatamente da tutti noi.
Probabilmente la ragione va ricercata nel fatto che tutto ciò di cui abbiamo parlato prima è appiccicato come una decalcomania sui componenti dell’attuale destra, non digerito fino in fondo, perché, almeno, il cavaliere del lavoro investito dal presidente Leone nel 1977 i suoi affari li sapeva fare, costruendo imperi che faceva e disfaceva a suo piacimento, inondando il mondo di una enorme quantità di spazzatura mediatica e di eredi, col suo harem infinito. Non si può dire che non abbia contribuito a tenere alto il buon nome della natalità italiana.
È un modo di fare imprenditoria alquanto farlocco perché una delle maniere berlusconiane è quella della superficialità e, apparentemente, del camuffamento di tutto attraverso lustrini e culi di ballerine mentre sottoterra i legami economici sono solidi e coinvolgono politica e malaffare, come Mani Pulite ci ha insegnato. E poi, tanto, mica sono soldi loro, i soldi maneggiati sono del contribuente.
Saint in what, per esempio, è un’imprenditrice che, solo per tutta la faccenda della Visibilia, ha dimostrato di essere capace di fallimenti colossali. E una così che si occupa del ministero del turismo, ma anche se si occupasse di altri settori, dovrebbe essere tenuta lontana dalla gestione della cosa pubblica. Non per altro che per aver dimostrato di essere inetta.
Certo fare politica aiuta, rivendicare orgogliosamente e rumorosamente di essere fascista, come colei ha più volte dichiarato, oltre a confinarla in un ambito macchiettistico, fa il suo gioco perché sta sempre a galla ed essere fascista in una repubblica antifascista fa sempre notizia e indigna. Che è ciò che colei brama, pubblicità. Il disastro mediatico della campagna Open to Meraviglia, dove gira una somma di 9 milioni di soldi pubblici e forse più, che inevitabilmente si ascrive a lei, perché si può obiettare che Armando Testa fa ciò che vuole il cliente, non poteva manifestarsi che in questo modo. Una fallimentare campagna di pessimo gusto.
E tutto viene da lì, dalla formazione imprenditoriale di un Nord Italia assolutamente vicino al modello brianzolo e tascio del cavaliere d’Italia. Vendere vendere vendere. La scuola serve per vendere e imparare a vendere, quella pubblica va abbattuta e quella privata va esaltata e facilitata, tanto ci sono sempre i grulli che pagano pensando che un diploma comprato è la stessa cosa di un diploma guadagnato studiando, vedi il caso del Trota a cui fu attribuita una laurea nientemeno che in Albania, comprata in un’università che non esiste più. La sanità va privatizzata perché si devono vendere le assicurazioni e si devono far guadagnare gli amiciucci che possiedono cliniche private, e l’Italia si può vendere e svendere come se fossero delle mutande tre per due.
Carunchio, i ricchi sono meglio perché sono ricchi, punto e basta.
Secondo quest’ottica Open to Meraviglia sarebbe stata una macchina da guerra perfetta, nella mente di Saint in what. L’amico e socio Briatore, grande arbitro di eleganze, garantisce dalla sua posizione che questa campagna è una figata, ripetuto diverse volte sottolineando “che nel mondo è più conosciuto il Billionaire che la Venere di Botticelli, soprattutto tra i giovani”, lo ha detto lui a Re Start, Rai2, probabilmente intendendo che così facendo l’immagine della Venere travestita avrebbe fatto breccia tra i giovani, che avrebbero affollato di conseguenza il Billionaire e non gli Uffizi. Strano che non ci sia una pagina colla Venere in visita al Briatore nazionale. Io l’aggiungerei tra i posti da non perdere in Italia, il Billionaire.
Così Saint in what l’ha avviata nell’unica maniera che conosceva, ossia il neotascismo. Tascia, sempre tascia, fortissimamente tascia. Non c’è nulla da fare, il neotascismo inzuppa profondamente tutti in questo governo Meloni, ma Saint in what in particolar modo. E si vede anche dall’attenzione che ha manifestato colei per la chirurgia estetica, che si fa fatica a distinguere i suoi pezzi originali. Anche questo fa parte dell’immaginario berlusconiano, l’artificio continuo. Per lui quello di avere una folta criniera, che non si capisce se tatuata o dipinta, per le donne (e anche per diversi uomini, oggi) quello di avere una faccia di plastica che non corrisponde più a niente di umano.
Che la testa della Venere del Botticelli fosse ritoccata, a una che di ritocchi ne ha fatti un bel po’, non la tange minimamente, anzi le sembra una cosa fatta bene e di gran gusto. Per di più blasonata col marchio Armando Testa. Come se avesse consultato un armocromista, che oggi va tanto di moda, ma non fosse stato quello giusto, sciatta per come si presenta vestita ’sta povera Venere in questo sito. Forse un armocromista migliore servirebbe anche alla Saint in what.
Ma non è questa la cosa più fastidiosa della povera Venere. In fondo, di ritocchi di opere d’arte animate, con maggiore e magistrale ironia, se ne sono già visti parecchi. Tra i tanti, la sigla di Desperate housewives, piccolo capolavoro di manipolazione dell’arte in chiave postmoderna.
Ma era una sigla, non un programma promozionale dell’Italia. Nemmeno Renzi e il suo Rinascimento, come se lo avesse inventato lui, e il suo Genio Fiorentino, erano arrivati a un tale livello di neotascismo. È pur vero che Renzi sul Rinascimento ha idee bizzarre, tanto da credere che ce ne sia uno in atto in Arabia Saudita, e che sia parallelo a quello italiano di cinque secoli fa. Forse nel senso che non si possono incontrare mai, se non all’infinito. Poverino, neotascista, comunque, anche lui.
Open to Meraviglia e le sue veneri hanno il sapore del Romolo e Remolo di Berlusconi, pronunciato al G7 di diversi anni fa. Una storia dell’arte mal digerita, forse mai studiata veramente se non sul Bignami, dove tutto equivale sempre a tutto, dove non c’è una scala di valori che serva d’orientamento. Tutto è appiattito sulla banalità.
Cosa si aspettava il signor Meloni da una come la Saint in what? La pizza, che al Twiga forse si pagherà un fottio, la conoscono già tutti, non c’è bisogno che la mangi pure la Venere influencer. Il vino sembra che sia sloveno, chissà perché. Probabilmente anche il pesce verrà dall’Atlantico, ma chi se ne frega. Bisogna vendere l’Italia.
“Noi dobbiamo saper vendere l’Italia. La Venere del Botticelli, allora, simbolo della rinascita e della primavera che fiorisce dopo il rigido inverno pandemico, è la testimonial d’eccezione che ci prende per mano e ci accompagnerà lungo questo percorso” sono parole sue.
E infatti si vende un’idea dell’Italia, un’idea fatta di cliché, così come fatto di cliché è il Twiga. Ma il Twiga è un ristorante attrezzato di spiaggia, l’Italia no, è forse qualcosa di più complesso, anche se, nella visione ministeriale, vuol essere trattato come un ristorante attrezzato di spiagge, “Un’experience indimenticabile”, come recita la pagina home del Twiga, perché esperienza, in italiano, non andrebbe bene. Tasci.
Anche gli svarioni idiomatici, non solo in tedesco ma pure in italiano, non si contano in Open to Meraviglia. Oltre a depistaggi insensati riguardo a itinerari da seguire come quello su Caravaggio, di cui ho già parlato qualche giorno fa.
Per diffondere l’immagine dell’Italia da promuovere, ossia quella più segreta, quella che non ha avuto chance di essere scoperta prima e che avrebbe di certo incrementato il turismo di curiosità verso il nostro paese, bisogna fare un altro gioco. Firenze, Roma, Venezia eccetera sono già note e arcinote e le hanno descritte nel tempo scrittori e registi amati nel mondo e forse avrebbero bisogno di una promozione al contrario, assediate come sono dal turismo di massa. Ma i borghi più interni, quelli che sono più a rischio di spopolamento, quelli che magari conservano gemme artistiche e che avrebbero maggior bisogno di essere promossi, sono trattati come cenerentole. Faccio solo un esempio di una regione che conosco bene perché l’elenco sarebbe lunghissimo. Immagino ciò che è stato omesso nelle altre regioni.
In Sicilia vengono descritti solamente e sommariamente i capoluoghi di provincia e poche altre cose. Seguiamo il percorso suggerito da Messina a Palermo, sulla litoranea panoramica: Milazzo, Tindari, Cefalù, Bagheria sono le uniche tappe considerate da questa “promozione”, e sono luoghi già noti e stranoti. Molti altri borghi che invece meriterebbero visite e riscoperte come Mistretta, Isnello, Polizzi Generosa, Caccamo, Ciminna, ecc., i quali faticosamente cercano di emergere – e che sono invece riscoperti grazie a trasmissioni televisive nazionali che ne mostrano le attrattive – insieme a decine e decine di altri, sono invece ignorati in blocco. Di Polizzi Generosa si mette solo un piccolo museo ambientalistico, ma si tace che nella chiesa madre ci sia un polittico fiammingo attribuito a Rogier Van der Weyden…
Se si cerca Caccamo sul sito si trovano solo due ristoranti e stop, come se non ci fosse nient’altro, mentre il borgo vanta uno dei castelli più importanti della Sicilia, oltre ad altri monumenti di un certo rilievo.
O Ciminna, la cui chiesa madre, piena di decori barocchi, fu set del Gattopardo viscontiano, nella scena del Te Deum a Donnafugata. O le Grotte della Gurfa e i suoi fenomeni acustici… Forse sono queste le cose particolari che possono interessare i turisti e anche quei territori che continueranno a essere dimenticati grazie a una promozione che non c’è.
A Enna, provincia interna, altro esempio, sono completamente ignorati i borghi di Nicosia e Agira (cittadine piene di monumenti e panorami, dove è pubblicizzato solo un agriturismo) nonché il parco archeologico di Morgantina, che sono luoghi abbastanza fuori del comune. Per Morgantina, che avrebbe paesaggi spettacolari con l’Etna sullo sfondo, è stata presa di peso una pagina web di Google, con immagini mediocri e sfocate e il prezzario ufficiale. Nient’altro. Mah… Che promozione è?
C’era una cosa che si sarebbe potuta fare ma che non sembra sia venuta in mente a nessuno.
L’errore fondamentale è stato affidarsi a un simbolo dell’Italia come personaggio principale, come se l’Italia fosse la Venere del Botticelli che cambia vestito a seconda delle situazioni. È qualcosa di estremamente artificiale che non entra nella percezione di un turista straniero. Perché mai dovrei seguire ‘sta Venere pure vestita male?
Invece, di sicuro, spendendo un po’ di più ma a questo punto investendo meglio tutti quei soldi – che, certo, saranno anche usati per affittare gli spazi dove fare questa pubblicità – non sarebbe stato meglio far intervenire proprio quegli stranieri famosi che hanno scelto l’Italia per abitarci? I divi del cinema e della musica che vivono da noi perché amano l’Italia e le sue terre, il suo clima, le sue bellezze, i suoi prodotti. Loro hanno scelto di viverci, era il miglior esempio possibile. E avrebbe forse attratto un settore di pubblico danaroso che avrebbe anche investito in Italia, pur con tutte le difficoltà che può trovare un investitore in questo paese bizantino.
Ma metti un George Clooney, una Helen Mirren, uno Sting, un Elton John, una Carole Bouquet, una Helena Bonham Carter, e le loro case sul lago di Como, nel Salento, nel Valdarno, a Venezia, a Pantelleria, a Firenze. Magari illustrando le proprie attività imprenditoriali, il passito Sangue d’Oro, i vini del Palagio, i melograni di Helen Mirren, o inscenando la visita guidata da loro stessi alle bellezze dell’Italia che li hanno colpiti e perché, nonostante gli attacchi dei neotascisti, abbiano comunque scelto di stare qui. Facciamoci accompagnare da Harrison Ford nei siti archeologici siciliani dove è stato girato l’ultimo Indiana Jones, e magari a mangiare nel ristorantino non blasonato dove, fedelissimo, andava lui a Marsala. O facciamoci illustrare da Helena Bonham Carter le colline di Firenze, dove lei abita quando viene in Italia, uno splendido posto vicino Arcetri. Quella è la vera promozione, il vero contatto col territorio. C’è l’imbarazzo della scelta, tra i divi. E fai un figurone internazionale cogli stranieri che invitano alla visita.
La gente ama i divi, soprattutto questi, e l’operazione avrebbe avuto un effetto doppio: avrebbe attratto stranieri che s’identificavano negli artisti e avrebbe fatto rendere conto gli italiani che, se l’Italia piace così tanto ai divi, forse è il caso di crederci e di conoscerla meglio per apprezzarla. Anche perché avrebbe dato un tocco di contemporaneità all’Italia, non rifacendosi a un antico quadro e a delle rovine mute, pur sublimi, quadro del quale peraltro si utilizza solamente la testa di Venere per poi applicarla a scialbi manichini da postal market.
Certo, può essere artificiale anche questo, ma è sicuramente meglio di una Venere malvestita che mangia la pizza o l’arancina, perché risulta sciatta e poco credibile, anche perché Venere è NUDA e ci piace così come l’ha dipinta Botticelli ed è così che piace anche ai visitatori degli Uffizi.
E facciamo illustrare anche agli stranieri famosi che vivono in Italia dove andare se si ha un problema, facendoli parlare in italiano e nella loro lingua madre, dove trovare persone dello Stato Italiano pronte ad aiutare chi è in difficoltà, poliziotti, carabinieri, finanzieri, medici, anche quando i consolati o le ambasciate sono chiusi. Facciamoli sentire protetti se vengono a visitare il nostro paese, non intruppati nella movida disordinata e basta, che si trova anche a Barcellona, a Madrid, a Las Palmas. È questa l’immagine vincente di un paese su un altro, non le ovvie bellezze decantate da tutti nei secoli.
Credo che l’intelligenza artificiale ormai abbia fatto danni irreversibili nella percezione della realtà da parte di chi colla realtà deve fare i conti. È vero che in una campagna pubblicitaria di questo tipo si vendono sogni ma allora rendi questo sogno il più possibile vicino alla realtà, ma non quella virtuale come se facessi un video game dove Venere cambia vestito e basta. Bisogna affezionarsi a un testimonial, e qui mi pare che ormai ’sta Venere sia sputtanatina.
I maghi della pubblicità non ci avevano pensato? Ma perché non si rivolgono a me per le idee? Certo, io costo, ma le mie idee sono buone assai. Le idee mostrate in questa sciagurata campagna non sembrano supportate da una cultura obliqua ed estesamente interattiva non necessariamente finalizzata al profitto immediato e rapace del turismo mordi e fuggi. Di quest’ultimo ce n’è fin troppo. Ma la cultura sembra latitare dalle parti di chi vorrebbe “vendere” il Paese o promuoverlo. E se glielo fai notare ti danno dello snob mentre i tasci sono loro. Ed è ridicolo pure il grazie fintamente accondiscendente dell’agenzia Armando Testa, la toppa è peggiore del buco.
Ma figurarsi se una Saint in what sarebbe capace di gestire una cosa così complessa. Nell’ottica berlusconiana e utilitaristica il rasoio di Occam è la maniera migliore per andare avanti. E intanto il Paese va indietro.
P.S.
Nel 1954 Rossellini, Brancati e Pietrangeli, cioè tre nomi di grande levatura, scrissero la sceneggiatura di un film di Rossellini interpretato da Ingrid Bergman, nomi che forse i millennials e Briatore non avranno idea nemmeno a chi appartengano. Il film era “Viaggio in Italia” un mélo su una separazione e forse una riconciliazione di una coppia di stranieri grazie alle mille suggestioni del nostro Paese. Perché non rivolgersi a chi sa scrivere, piuttosto che a sedicenti “esperti” di marketing, di inventare una storia (più sintetica, per carità) con un capo e una coda sull’Italia attuale e accendere la fantasia di chi vorrebbe venire a visitarla? Basta solo essere modesti e lasciare fare le cose a chi sa scrivere. Altrimenti si fa la Grande Bruttezza. Che rispecchia perfettamente i tasci che abbiamo al governo.
Devi fare login per commentare
Accedi