Beni culturali

Le bustine di Minerva

14 Dicembre 2024

Marcello Veneziani si è accorto che siamo “Senza eredi” ossia che siamo nella fase avanzata di un annullamento della memoria. Così s’intitola il suo ultimo libro, sconsolato, terrorizzato dall’abisso che ci attende al varco.

Lo aveva già scoperto, in realtà, Pier Paolo Pasolini a metà degli anni Settanta dello scorso secolo, quando vedeva il deperimento della società, annullata dal sistema capitalista e dal consumo.

E, sempre un secolo fa, pochi decenni prima della presa di coscienza pasoliniana, ci sono stati diversi tentativi di cancellazione della memoria, operati dai totalitarismi che hanno devastato l’Europa. Molte cose sono andate perdute per sempre nelle distruzioni umane e materiali che ci sono state. Cosa avremmo dovuto dire all’epoca, quando interi paesi sono stati polverizzati, su tutto il territorio europeo e asiatico, quando milioni di persone sono state uccise insieme all’eredità che portavano?

E perché colpisce tanto, oggi, questo regresso culturale in tempo di pace, almeno da noi, tanto da spaventare intellettuali come Veneziani e non solo lui? Io stesso sono rattristato dalla piega che sta prendendo ormai da molto tempo la salvaguardia del sapere in Occidente.

Io credo che ciò avvenga perché la nostra epoca vorrebbe presentarsi come quella che ha sconfitto l’analfabetismo, ha diffuso la cultura, o, meglio, le culture, a livello capillare come mai era successo in passato, e quindi la paura di perdere quest’enorme bagaglio di informazioni che costituiscono la nostra Storia, il nostro passato, la nostra eredità, significa perdere la sicurezza che l’Occidente stia salvando ancora una volta la Biblioteca d’Alessandria dall’avvento dei barbari.

Barbari che non sono orde di stranieri venuti da lontano ma sono gli stessi cittadini, i vicini di casa, quelli che s’incontrano a far la spesa al supermercato, gli studenti che non studiano inebetiti dai tiktok, gli indifferenti di cui parlavo articoli fa.

Coloro che distruggono la cultura e quindi l’eredità sono le stesse persone che ci governano, ma si dà la colpa forse solo alla tecnologia sfuggita di mano, mentre invece la responsabilità è condivisa tra l’uso distorto di quest’ultima e l’inadeguatezza di chi invece la cultura dovrebbe difenderla e trasmetterla, ossia i ministri dei beni culturali e della scuola. «Anche la miseria è un’eredità» diceva Riccardo Bacchelli, l’autore de “Il mulino del Po”.

I Classici sono in pericolo, scrive Veneziani, e lui cerca di lasciare un viatico attraverso profili di uomini illustri per riaccendere un interesse, in modo che non si perdano. Quasi che bisognasse ricostituire i monasteri benedettini del Medioevo, attrezzati di amanuensi per ricopiare i testi da salvare dall’oblio.

Tutti lasciamo messaggi nelle bottiglie (Umberto Eco affidava le sue bustine di Minerva all’ultima pagina dell’Espresso), sperando di salvare qualche tesoro ma, ovviamente, il problema è assai complesso e non basta un bignami delle Vite degli uomini illustri. È il contesto in cui vanno inserite codeste vite l’importante, altrimenti non si capisce perché coloro abbiano creato delle pietre miliari fondamentali sul cammino della cultura e del progresso. E il contesto, non c’è altro da dire, lo dà il metodo di apprendimento, che può essere nozionistico o più pindarico, saltuario, bignamistico, telegrafico come un bigliettino dei Baci Perugina, ed è affidato a coloro che trasmettono il sapere e il pensiero critico.

Per questo, in un articolo precedente, suggerivo ai progressisti, visto che la Destra fa l’opposto, usando, peraltro, a sproposito la parola “merito”, a interessarsi di riprendere in mano la situazione proponendo, per esempio, corsi comunali serali come faceva un tempo il Comune di Milano, oltre a riprendersi anche gli spazi delle case del popolo, dove, in aggiunta alla briscola pomeridiana, agli svaghi e alla mensa popolare, un tempo c’erano costantemente presentazioni di libri cogli autori, proiezioni di film costruttivi, scambi di pensieri e azioni, concerti, lezioni.

L’indifferenza, se continua, cancellerà buona parte della consuetudine di avere quotidianamente a che fare col sapere. I libri resteranno nelle biblioteche ma se non ci saranno persone che li leggeranno saranno solamente raccoglitori di polvere. E, una volta resi inutili, c’è il rischio che si decida di distruggerli, come succede in Fahrenheit 451 di Ray Bradbury. E com’è successo in passato colla Biblioteca d’Alessandria e i libri proibiti delle inquisizioni religiose e laiche, che hanno frenato il progresso e che continuano a farlo dove ci sono le teocrazie e le dittature.

Però, se ci pensiamo bene, nei secoli passati la cultura era appannaggio di una ristrettissima cerchia di persone. Gli analfabeti erano la stragrande maggioranza. Fino al secondo dopoguerra erano un’enorme fetta della popolazione italiana, e non solo italiana, e l’alfabetizzazione operata dalla televisione, tramite il maestro Alberto Manzi, ha contribuito ad avvicinare persone mature da sempre escluse dalla lettura: Non è mai troppo tardi. La televisione, in seguito, è diventata altro e, se anni fa nelle trasmissioni a quiz si presentavano persone abbastanza preparate, oggi, in trasmissioni analoghe, si sentono dire certe castronerie dai concorrenti che verrebbe voglia di entrare nel monitor e prenderli a schiaffi per l’offesa fatta alla cultura. E poi anche perché passa il concetto di premio in denaro se dai la risposta esatta mentre non è la quantificazione in soldi il valore dell’informazione. Ma “L’eredità”, così si chiama una di quelle trasmissioni, è la conferma che tutto è reso consumo.

È un motto che dovremmo sempre tenere in mente, non è mai troppo tardi. Tutto è un atto di volontà, non sempre ci vogliono troppi quattrini per avviare dei progetti. Il progetto di salvaguardia della cultura da ereditare potrebbe costare pochissimo se attuato da persone che hanno a cuore la trasmissione delle arti e della sapienza e, soprattutto, sanno come farlo.

I locali dove farlo ci sarebbero eccome, in un paese dove le scuole vengono chiuse e accorpate per mancanza di alunni.

Non sarebbero solo i bambini e i ragazzi gli studenti da incrementare ma anche gli adulti, riportarli a studiare alla sera, le cose più disparate, le più bizzarre, le più interessanti, le più importanti. Credo che ci sarebbero anche le persone a cui piacerebbe dedicarsi all’insegnamento, di certo non equiparabile a un insegnamento universitario ma almeno medio, questo sì. Anche tra gli stessi pensionati immagino che ci sarebbero insegnanti che continuerebbero a esercitare volentieri in contesti diversi che non siano gli ambiti scolastici sempre più insensati stabiliti dai vari ministri che si alternano. Bisognerebbe lasciare carta bianca ai sapienti, che trasmetterebbero la cultura secondo metodi diversi, in quanto la finalità non sarebbe più la scuola azienda, dove tutto deve preparare gli studenti al “lavoro”, senza neanche sapere di che lavoro si tratti, anche perché, oggi, le tipologie di lavoro cambiano con una velocità esponenziale rispetto al passato e quindi diventa inafferrabile. Ed è proprio una buona cultura generale che può dare gli strumenti per rinnovarsi, inventarsi nuovi lavori, adeguarsi al vortice. Oltre a rendere capaci di distinguere chi ti sta truffando e chi no.

Se pensassimo a quanti, all’epoca di Pascal, solo per fare un esempio, lo conoscevano come filosofo e matematico, il numero delle persone si ridurrebbe a poche centinaia. E le scuole di pensiero erano pochissime, non esisteva una scuola dell’obbligo, tutto era a pagamento, i seminari erano centri di sapere, oltre che di potere, anche perché le due cose andavano spesso congiunte, a differenza di oggi, dove si vedono certe persone impresentabili al potere che addirittura dileggiano la sapienza (Salvini quando parla con disprezzo dei “professoroni”, che ne sanno più di lui) e la distruggono.

Noi, oggi, vivendo in un contesto totalmente diverso, dove esistono una scuola elementare e media sovvenzionate dallo Stato, non ci rendiamo veramente conto di cosa significhi vivere in un paese dove la cultura è accessibile a tutti, soprattutto oggi, anche tramite la rete e i suoi strumenti, il telefono intelligente e i suoi motori di ricerca, se solo non fossimo diventati tossicodipendenti dal consumo.

Ma l’intellettuale è sempre scontento e, nell’avanzamento dell’analfabetismo di ritorno, vede la minaccia costante del restare senza eredi. Perché la cultura e l’istruzione sono il suo mondo, probabilmente, e perché la salvaguardia delle informazioni antecedenti alla sua vita, che sono sempre state il suo punto di riferimento, è la priorità.

Il fatto che non lo sia per le masse è una cosa che è sempre esistita, ogni epoca ha i suoi distruttori, anche a livello istituzionale, e di certo la lotta dell’intellettuale sta anche in quello, non solo apprendere ma conservare il sapere.

Ciò che si può fare, oltre a mandare a casa una classe dirigente ignorante e arrogante (per sostituirla con chi, è anche quello un problema), è proporre dal basso dei piccoli rimedi perché è proprio dal basso che bisogna agire contro il consumo che annienta ogni cosa. Cercare di sensibilizzare le persone a leggere, informarsi, seguire i propri figli nei compiti a casa, così vituperati da certe maniere moderne d’intendere l’istruzione, leggere insieme a loro, andare insieme a teatro, al cinema, ad ascoltare musica o a vedere dei film insieme a casa, potrebbero essere delle piccole azioni individuali valide.

Io ricordo con grande ammirazione mio padre, grande appassionato di cinema, il quale, quando uscì, ci portò a vedere 2001, Odissea nello spazio, era il 1968. Io avevo otto anni, mio fratello cinque, ma restammo incantati da quel mondo di luci e suoni, dai viaggi nello spazio, capendo solamente il primo livello di comunicazione, ignari dei significati più profondi. Il fascino delle immagini, peraltro nel periodo in cui si stava per sbarcare sulla Luna, era fortissimo per un bambino. Negli anni che seguirono ne parlammo a lungo con lui, lo rivedemmo insieme, e discutemmo degli interrogativi che il film poneva, leggemmo il romanzo di Clarke, con tutte le suggestioni che simili romanzi e film possono stimolare nella mente degli adolescenti.

Ecco, questa è una cosa che si potrebbe fare dal basso, per cercare di arginare la perdita dell’eredità paventata da Veneziani. Ma ci vuole una forte sensibilizzazione da parte dei genitori, degli insegnanti, degli intellettuali, visto che le persone che ci governano hanno l’insana e pervicace tendenza alla superficialità e all’oblio. Oltre che una patologia demolitoria assai fastidiosa. È a costoro che Veneziani dovrebbe, soprattutto, rivolgersi, in modo che il Gattopardo non diventi un film di Lucchini e che Times Square da Londra torni a New York.

 

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