Beni culturali

La verità dietro il tesoro del re vichingo Dente Azzurro

31 Maggio 2018

Sembra la trama di un film d’avventura degli anni ’80. In una fredda giornata dello scorso gennaio, immersi nella bruma dell’isola tedesca di Rügen, un uomo e un ragazzino tredicenne muniti di metal detector trovano un tesoro. Una scoperta che viene salutata come “eccezionale” dai quotidiani di mezzo mondo. Ma andiamo con ordine: durante le loro peregrinazioni, il metal detector fischia; i due cercatori di tesori capiscono di aver trovato qualcosa. Chinatisi a controllare, si rendono conto di non aver rinvenuto un banale pezzo di metallo, ferraglia senza valore, ma un’antica moneta. Senza esitare, telefonano subito a Michael Schirren, archeologo dell’Ufficio per la cultura e la conservazione dei monumenti del Meclemburgo-Pomerania Anteriore (Land sul Baltico di cui fa parte anche l’isola di Rügen).

Arrivato sul posto, Schirren può confermare che si tratta di un reperto di epoca medievale. La scoperta viene tenuta segreta per mesi, mentre nella zona del ritrovamento iniziano gli scavi. Solo ad aprile, una volta rinvenuti tutti gli oggetti, la notizia viene diffusa: è stato ritrovato un vero e proprio tesoro, risalente all’epoca del leggendario re vichingo Harald Gormsson, alias Harald Dente Azzurro (da cui, sembra incredibile, il termine Bluetooth).

Si tratta di oltre 600 oggetti d’argento del tardo X secolo d.C. Collane, spille, perle, anelli, un martello di Thor e, soprattutto, tantissime monete. «È tra i maggiori tesori rinvenuti sulle coste meridionali del Baltico – dichiara Schirren parlando con Gli Stati Generali – e può darci informazioni importanti sui rapporti fra le popolazioni di questo mare. Inoltre non erano mai state ritrovate così tante monete coniate da Harald Dente Azzurro fuori dalla Danimarca».

Sull’appartenenza del tesoro al re vichingo, data per assodata dai media, Schirren – da scienziato qual è – ci va cauto. «È sempre molto difficile, spesso impossibile, attribuire l’appartenenza di un reperto a una determinata persona – spiega –. Questi tesori non sono accompagnati da una targa che dica “proprietà di Harald Dente Azzurro”, ad esempio».

Ma chi era Harald Dente Azzurro, e perché è importante nella storia? «Fu il re di Danimarca dal 958 circa fino al 987 – spiega Sverrir Jakobsson, professore di Storia medievale presso l’Università d’Islanda –. Ha lasciato una testimonianza del suo regno, la pietra runica di Jelling, dove sostiene di aver conquistato la Danimarca e la Norvegia, e di aver convertito i danesi al cristianesimo». Harald, infatti, fu il primo re vichingo a voltare le spalle al pantheon nordico della celebre mitologia norrena.

«Prima di lui la Danimarca non era un paese unito – dice Anders Winroth, professore di Storia all’università di Yale e autore del saggio The conversion of Scandinavia –. In effetti l’introduzione della cristianità in Scandinavia fu strettamente collegata alla formazione degli stati. Quelli erano tempi violenti, con molti capi e piccoli re che si contendevano potere e risorse. È da questo contesto che scaturirono le incursioni vichinghe. Non è una coincidenza che Harald Dente Azzurro, il primo re danese cristiano, sia stato anche il primo a regnare su tutta la Danimarca. Molti re e capi tribù dell’epoca utilizzarono il cristianesimo a loro vantaggio per aumentare e stabilizzare il proprio potere e le proprie risorse».

Il battesimo di Harald in un rilievo del XIII secolo

Figlio del re Gorm – da qui il cognome Gormsson – Harald fu ben avviato da suo padre nell’impresa di unificazione e conquista della Danimarca: Gorm era riuscito a sconfiggere gli altri governanti della regione, scacciando anche gli svedesi, che dal 910 governavano su molte isole danesi.

Non a caso, spiega Schirren, Gorm fu il primo re vichingo a coniare le proprie monete, imitando lo stile carolingio. «E Harald Dente Azzurro creò qualcosa di assolutamente nuovo – continua – la prima moneta danese, una moneta sulla quale sono incise una o più croci. A dire il vero, in questo tesoro ci sono due tipi di monete coniate da Harald. Uno è quello con le croci, successivo alla sua conversione. L’altro invece è precedente, ed è davvero molto simile alle monete di Carlomagno».

Talmente simile, spiega Schirren, che si potrebbe pensare che si tratti di monete del IX secolo mentre in realtà sono del X. «Il mito di Carlomagno esisteva già a quell’epoca – sottolinea – anche se i Vichinghi non avevano avuto nessun contatto diretto con lui. Ma credo che Harald abbia voluto ispirarsi a lui per rievocare in qualche modo il potere di un grande imperatore proprio quando lui ambiva a costruire il suo di impero».

Rimangono non poche incognite sul regno di Harald Dente Azzurro, molte delle quali probabilmente non troveranno mai risposta. Una, ad esempio, riguarda la guerra scoppiata fra questi e suo figlio alla fine del X secolo. «Secondo lo storico Adamo da Brema, Harald fu inseguito da suo figlio Svein fino alla città fortezza di Jomsborg, in Pomerania – spiega Jakobsson –. Ma poiché Adamo da Brema visse circa un secolo dopo questi eventi, e a tratti è considerato una fonte poco affidabile, gli studiosi non sanno fino a che punto credere a questo racconto».

Di certo, nota lo studioso, la scoperta del tesoro dell’isola di Rügen dimostra che Harald aveva rapporti con la regione meridionale del Baltico, ma non prova che sia andato davvero a Jomsborg. «Comunque è un ritrovamento molto interessante, che aggiunge parecchio alle scarse informazioni che abbiamo sul regno di Dente Azzurro» conclude Jakobsson. Secondo Winroth «l’abbondanza di monete coniate da lui suggerisce che questo tesoro sia collegato in qualche modo all’esilio di Harald. Inoltre, questo ritrovamento ci dice molto su quanto fossero intensi i contatti nella regione del Mar Baltico».

Muniti di metal detector i due cercatori di tesori, René Schön e il suo studente tredicenne Luca Malaschnitschenko, hanno fatto una scoperta davvero eccezionale, spiega Schirren. D’altra parte, non è la prima fatta da comuni cittadini anziché da archeologi in questa regione. «Ci sono molti volontari che seguono i nostri corsi – spiega l’archeologo –. Poi perlustrano il territorio con i metal detector e usano anche il GPS per geolocalizzare i ritrovamenti. È una sorta di scienza cittadina, se vogliamo. E negli ultimi dieci anni hanno fatto davvero tante scoperte, recentemente uno di loro ha rinvenuto degli oggetti dell’età del bronzo. È una sorta di rivoluzione».

Nel Land del Meclemburgo-Pomerania questa è una tradizione sin dagli anni Cinquanta, spiega Schirren. «È una cooperazione fantastica, le persone ritrovano oggetti antichissimi e ci telefonano subito per analizzarli. E così l’emozione della scoperta è anche più grande». Che emozione si prova? Schirren esita qualche istante cercando le parole giuste per descriverla. «So di essere il primo a toccare quegli oggetti dopo centinaia o migliaia di anni.  Per me è un contatto diretto con la persona che li ha sepolti o li ha persi. È come una stretta di mano attraverso i secoli».

 

 

Immagine in copertina: Pixabay

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