Beni culturali
La bellezza non ci salverà, ma può aiutarci a scoprire il nuovo
Tra i due provvedimenti di chiusura determinati dal Coronavirus, la mostra Canova e Thorvaldsen. La Nascita della scultura moderna aveva ripreso a lavorare a pieno ritmo, salutata da un afflusso ancora una volta molto importante. Qualcuno ancora giovedì 5 marzo mi ha chiamato dicendomi: “Ci vado stasera. Ho bisogno di bellezza”. E nei giorni successivi la gente è tornata a mettersi in fila in Piazza della Scala, seguendo le distanze prescritte. Canova avrebbe probabilmente corretto il passo di Dostoevskij secondo cui “La bellezza salverà il mondo”. Lo scrittore russo amava contemplare le Madonne di Raffaello quasi come una forma di terapia d’urto contro tutto ciò che è l’utile, che contrapponeva al bello. C’era una dimensione religiosa, cristiana nel suo pensiero, e “L’Idiota” è di fatto modellato come un’imitazione di Cristo, un personaggio che attraverso la bellezza vede nell’altro il prossimo da amare. La frase di Dostoevskij ha assunto nell’uso popolare una cifra estetica che non le era proprio, somigliando più se si vuole agli enunciati di Baudelaire che evocano una palingenesi, una rinascita, che scaturisce da nuove forme di bellezza, trovate in fondo a quel che l’uomo non ha ancora esplorato. Non siamo troppo lontani in definitiva dallo slancio che anima coloro che in questi giorni sui social ripetono che forse ciò che stiamo attraversando ci farà cambiare modello di vita, salvando dunque il mondo. E scambiano così la sospensione della vita dalla pratica di modelli più sostenibili. Chissà forse un pensatore neoclassico o romantico di fronte al mondo di oggi penserebbe che “bellezza è sostenibilità”, finendo in definitiva per ricalcare il tracciato Dostoevskijano, che identifica il bello con il bene, senza distinguerli davvero. L’accezione che oggi noi diamo alla frase pronunciata (ma la dice davvero?) dal principe Myškin è che il mondo sia crudele, e all’interno di esso, delle sue logiche e della sua illogicità, dei meccanismi deterministici ma anche di fronte all’esplosione dell’imprevedibile, dell’irrazionale, esista una sorta di bene-rifugio, immateriale, e dunque non contaminabile da materia e materialismo. Si tratta di un principio ingenuo, che pure riscuote successo quando viene declinato in piccole pratiche poetiche di desistenza, decrescita, allontanamento apparente dalle cose che ci soverchiano.
Canova non avrebbe di certo compreso questo tipo di pensiero. E non perché appartenesse a un’epoca più cinica. La bellezza è chiamata a educare il mondo, a dirozzarlo, a emancipare gli uomini dalla loro natura di selvaggi. Nel carme di Foscolo dedicato alle Tre Grazie e ispirato al gruppo dello scultore veneto, la bellezza agisce come forza civilizzatrice del genere umano, intervenendo nella Storia. L’opera di Canova però prescinde anche da questo significato morale. È un omaggio alle forme naturali e sensuali delle tre Cariti, Aglaia, Eufrosine e Talia, figlie di Zeus. L’ideale di una bellezza femminile serenatrice, ispirato da Winckelmann e modellato sulla statuaria classica, con la mediazione di Raffaello, risponde in definitiva solo a un movimento di danza fissato nel marmo, che comunica la corresponsione dei sentimenti tra queste creature mitologiche che si abbracciano tra loro, diffondendo gioia, prosperità e splendore nel mondo naturale. Non l’idea religiosa, presente in Agostino e rafforzata in Lutero e nella Riforma, idea che in definitiva discende da San Paolo e dalle sue Lettere. Molto più prosaicamente l’etimo rimanda all’idea della riconoscenza per i doni concessi all’uomo e da questo graditi, in una dimensione che è protetta dalle passioni umane grazie al velo regalato da Pallade.
Allo stesso modo, è difficile dire se la bellezza, la cultura, l’arte possano effettivamente salvare il mondo. Possono aiutare a educarlo e a responsabilizzarlo, dove non siano concepiti come una forma di possesso o di consumo, di prevalenza. Anche a noi serve un velo, quando ci avviciniamo alla bellezza, che ci consenta di separarla dal Mondo e dai suoi principi di utilità, come abbiamo imparato in questi giorni. L’idea altissima dell’”Idiota”, che contempla la dimensione morale, quella del Foscolo, che intreccia illuminismo e romanticismo, e quella più contemplativa del Canova, che forse sembra esaurirsi in sé, senza agire davvero sulla Storia, hanno in definitiva uno stesso orizzonte. Quello delle cose mutevoli che stanno sullo sfondo. È difficile negare alla bellezza questo carattere di bene rifugio, anticiclico, di risorsa non comprimibile. Oggi, di fronte alla chiusura di musei, mostre, cinema, luoghi d’arte, siamo allora chiamati a essere anche noi in qualche modo baudeleriani, e “a discendere l’Ignoto nel trovarvi nel fondo, infine, il nuovo”.
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