Beni culturali

Il bianco e dolce cigno ballando more

12 Aprile 2022

Ci siamo. Io qualche settimana fa scherzavo sull’eliminazione dello Schiaccianoci di Ciaikovskij, facendo fare il volo nella spazzatura al mio CD, in un’esecuzione superlativa dell’Orchestra della Radio di Mosca diretta da un direttore iperrusso e cosa mi tocca leggere poco fa? Che un corpo di ballo ucraino che avrebbe dovuto eseguire Il lago dei cigni a Vicenza cambia programma con Giselle perché Ciaikovskij è troppo russo e russo in questo momento vuol dire mostro.

Adesso, tutti possiamo solidarizzare col popolo ucraino (il popolo, ben distinto dai capi, quelli col vero potere in mano), ma attribuire un valore negativo al povero Ciaikovskij che non c’entra assolutamente niente con Putin (altro rappresentante di potere che col popolo russo e, ancor meno colla cultura russa, c’entra qualche cosa), mi pare una di quelle sciocchezze, ma talmente assurde e inutili, che verrebbe da prendere a schiaffi il ministro della cultura ucraino che ha impartito l’ordine alla compagnia in tournée. Sempre che l’ordine non venga da più in alto, anche perché in simili regimi orientali non si capisce bene quanta libertà abbiano le persone e i rappresentanti della cultura e quanto invece si debbano adeguare a diktat superiori palesemente grotteschi.

Il lago dei cigni. E quindi anche La bella addormentata nel bosco avrà una valenza negativa, solo perché opera dell’autore più russo di tutti. Probabilmente, entro l’estate, se ne farà una versione scenica con la malvagia fata Carabosse vestita da Putin che avvelena gli arcolai dell’Ucraina per uccidere tutte le fanciulle sedicenni e Aurora neonata principessa sarmata in carrozzina che viene giù dalla scalinata di Odessa mentre il corpo di ballo, in uniforme russa, fucila tutti… Sicuramente ci sarà qualche regista che lo presenterà in questa versione al Festival di Aix-en-Provence dopo certi Ratti dal Serraglio in versione militare mediorientale. E il Cigno Nero sarà sicuramente un aereo bombardiere che lancia le sue uova fatali sulle città ucraine, vista Cleopatra nel Giulio Cesare che cavalcava un missile a Salisburgo. Oggi si fa così per attualizzare l’opera e il balletto e per “attrarre” pubblico nuovo. Nuovo di sicuro perché chi invece ama l’opera e il balletto classici preferirà rinchiudersi in casa e vedersi qualche vecchia ripresa televisiva di prima della decadenza. Magari con Vassiliev e la Maximova, che più russi non si può.

Resta l’amaro, dopo l’incredulità, resta il disorientamento su come si riesca a non vedere quanto ridicola possa essere quest’operazione di cancellazione, di negazione, di mancanza totale di prospettiva, soprattutto costringendo all’obbedienza una compagnia di artisti che, proprio in quanto tali, dovrebbero mostrare come l’arte unisce i popoli anziché dividerli, come autori russi o francesi o italiani o messicani o quello che volete voi possano parlare un linguaggio di pace, di unione anziché di divisione, anzi, di contrapposizione. E mostrare come il povero Ciaikovskij, che tanto soffrì per mille ragioni in quella società oppressiva a fine ’800 e che cercava un mondo migliore altrove o in altro tempo, parla un linguaggio immortale e universale per comunicare i suoi disagi. Russo ergo escusso. Ma chissà quante altre ne vedremo.

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