Beni culturali
Fior(di) birra? Mai devi domandarmi
Mai devi domandarmi. È la frase che Lohengrin dice a Elsa, non devi mai chiedermi il nome perché questo porterà solo disastri. Noi invece il nome delle cose ce lo chiediamo sempre, almeno io, per come ci hanno insegnato fin dalla scuola elementare. Esistono i nomi comuni di cosa, maschili e femminili, all’epoca non si parlava di schwa, e nell’analisi grammaticale bisognava indicare anche se era concreto, singolare o plurale.
Birra Messina, per esempio, è composto di due parti. Birra è un nome comune di cosa, concreto, femminile, singolare. Messina è un nome proprio di luogo, concreto, femminile e, diciamo, singolare. Non so se esistano altre Messina in qualche sperduto stato negli U.S.A., se ci sono Palermo e Siracusa può anche starci Messina. In questo caso, per precauzione, si potrebbe mettere “plurale (forse, da verificare)” e il compito si prenderebbe un bel 10.
La Birra Messina, proprio lei, in persona, ha incontrato i giovani siciliani dell’AIGU, Associazione Italiana Giovani per l’Unesco, e hanno prodotto insieme un libello in pdf che si può liberamente scaricare o vedere in rete, dove si raccomandano delle “Esperienze di Sicilia” ossia “Piccole e grandi esperienze nelle quali “la Sicilia si sente”…”.
Proprio così: un esperienziario per i giovani millennial (s) che volessero approfondire le esperienze interessanti che la Sicilia possa offrire: dieci per ogni provincia, se ancora si possono chiamare così. Sono così disorientato, il mio antico ordine geografico è stato sconvolto dai nuovi raggruppamenti che un po’ restano, un po’ non si capisce. Insomma sempre all’italiana, incompleti. Naturalmente, ça va sans dire, con un consumo smodato di Birra Messina Cristalli di Sale a ogni angolo, non si capisce se da chiedere al bar o da portarsi dietro nella borsa termica, perché a volte in certi luoghi non si trova manco l’acqua minerale. Vabbè, è lo sponsor, funziona così. Ma questo è solo un dettaglio della bizzarra mia narrazione che si svilupperà più avanti, inaspettatamente, e che si ricollegherà all’antica sapienza delle scuole elementari di un secolo fa.
Fin qui, niente di male, la bellezza della Sicilia è cosa nota da tanto tempo. Esiste una villanella in lingua franca del 1450, di anonimo, che fa così: “Ayo visto lo mappamundi e la carta di navigari, ma Xixilia me pari la più bella d’aquesto mundi…” poi continua che sono tre Sicilie, una ultra farum e l’altra citra farum e una terza che forse si assimila a una non identificata Donna Cecilia, su cui si gioca l’assonanza foneticamente. Una vera delizia. Già la bellezza della Sicilia era nota, anche in tempi molto più antichi del 1450. “Diventerà bellissima” anodino spot per il partito dell’attuale presidente della Regione, Nello Musumeci, non ci dice niente di nuovo se non una superba presunzione, peraltro disattesa, di rendere più bello ciò che molta gente con maggiori competenze e amore ha già reso bellissimo molto tempo prima di lui. Ne abbiamo già parlato altrove. Ma in tutta questa “biddizza” risuonano note forestiere.
Cerchiamo di procedere nella narrazione, anche se le divagazioni ci vogliono per meglio capire il concetto di bellezza della Sicilia e del perché tutti vogliano appropriarsene. Anche i Savoia vollero, e fu la prima regione da cui partì l’impresa dei Mille. Basta, fermatemi.
Allora, torniamo ai giovani siciliani dell’Unesco.
Dal punto di vista grafico, il libello è attraente. Belle foto, bei luoghi, distribuzione fatta bene. Però, però, però… dando una scorsa rapida molte cose non si notano ma io, che sono una carogna e non lascio passare nulla, noto subito uno sgarruni macroscopico. Quando si vuole usare il latino poi si può incappare in un editor, magari millennial, magari dell’Unesco, magari di Carrapipi, che il latino non lo sa e che quindi si basa sulla versione che gli hanno fornito nelle alte sfere. Enna, a pagina 24 e 25, diventa “URBUS INEXPUGNABILIS”. Ahimè. Capra, capra, capra! In latino si dice “URBS”, e, nell’indice, a pagina 2, figura nella sua corretta grafia “URBS”. Probabilmente gli editor si sono divisi il lavoro ed è sfuggita una “U”. Ma non si fa. Scopro che a Caltagirone, a pag. 20, cittadina spacciata per medievale ma che di medievale ha conservato veramente quasi nulla dopo il terremoto del 1693, qualcuno ha voluto denominare i vicoli della città come i “famosi carruggi“. Senza sapere che “carruggio” è il termine usato per i vicoli stretti delle cittadine liguri e solamente lì. Chissà per quale motivo. Si chiamano vicoli, viculu, strittu, vanedda, se proprio si volesse usare un termine etnico appropriato, il ligure lasciamolo ai liguri.
Un altro bell’errore, tra i tanti, riguarda un’indimenticabile esperienza per i millennial(s) al n.3 della provincia di Ragusa: la Playa Grande. Perché “playa” colla “y“? Da quando in qua siamo in Ispagna? È vero che la Sicilia, insieme al resto del Regno di Napoli fu parte dell’antica corona aragonese, ma la “y” a parte in alcuni nomi propri di discendenza iberica, nella nostra lingua non si usa. Si usava, fino a non molto tempo fa la “j” che è la i lunga, non la ipsilon, sono due caratteri diversi. Sarebbe come scrivere baya anziché baia, o paya anziché paia. Per quale oscura ragione? Ultimamente il suono è stato unificato con “i” per cui “Plaia“. La moda esterofila investe i giovani dell’Unesco, e i loro correttori, per dirci che la Playa Grande, che si potrebbe trovare a Formentera come a Lanzarote oppure a Malaga, invece si trova a Ragusa. Nossignore, si usa la grafia ITALIANA, ed è Plaia (o Plaja, come le mappe di Google suggeriscono). E controllate… Una curiosità: perché, sempre nella medesima esperienza, le strade di Scicli, sarebbero “barocche” tra vigolette? Sono barocche e basta.
A volte si crede di sapere le cose ma non si sanno, ma la cosa più grave è che non le sanno nemmeno coloro che dovrebbero controllare chi non le sa. Chissà che si raccontano tra loro ‘sti giovani dell’Unesco che fanno esperienze straordinarie per la Sicilia. E, comunque, tutto ciò ha un vago sentore di tascio, non so, mi pare un decalogo delle cose tascie che si possono fare in Sicilia.
Se scoprirò altri refusi ve lo comunicherò. E comunque, è sempre valido il detto “Sceccu ca parra latinu è signu di bona annata”, infatti il turismo in Sicilia quest’anno va a gonfie vele, per fortuna. Sicuramente lo svarione di latino, urbus, ha avuto la sua parte.
Sembra strano che però di una cosa così specifica, come le cose da fare assolutamente in Sicilia, se ne occupi la Birra Messina, che di siciliano tiene solo il nome, nome proprio di luogo e concreto, e nient’altro. La Birra Messina, sì, è vero, in origine era siciliana, tanti anni fa, ma nel corso del tempo è stata assimilata da Dreher e poi da Heineken. Lo stabilimento attuale sta a Massafra (TA). Bye bye Sicilia, chi ci lavorava non ci lavora più. Però siccome fa esotico, e la bellezza della Sicilia richiama, basta mettere nel libello qualche baroquinerie un po’ dappertutto, céramique, panoramà, façade de l’église, piastrellando la grafica con ricci e capricci, affidarsi ai giovani dell’Unesco, che si fa sempre buona figura dando delle possibilità di espressione alla gioventù, si confonde medioevo e barocco tanto chi se ne frega, e si suggeriscono esperienze dove “la Sicilia si sente”. Tranne che nella birra, anche se pare che la Cristalli di Sale sia prodotta in parte dal birrificio di Larderia. Ma ci torniamo alla fine perché darò io dei suggerimenti da siciliano D.O.C. e saranno, nel vero senso della parola, cazzi. Abbiate solo la pazienza di aspettare.
La cosa che mi ha spinto a fare ricerche, in questa calda estate siciliana, anche se normalmente calda perché le estati in Sicilia sono calde e basta, proviene da un articolone su “Il Messaggero” (che fa parte del gruppo Caltagirone, famiglia di origine palermitana, peraltro) del 28 luglio, poco fa, che riprende il libello ed estrapola liberamente 10 esperienze che un millennial deve assolutamente fare in Sicilia, una da ogni provincia, copiando parecchio dal libello stesso e aggiungendo, per darsi un tono da intenditore, cose straordinarie. Sicuramente sarà stato un millennial anche questo, anonimo come l’autore della villanella, perché non spunta il suo nome da nessuna parte. Lui (o lei, potrebbe anche essere una lei) non sa che tutti possono leggere e che io sono sempre in agguato. Devo essere sincero e rivelare che questo articolo me lo ha inviato un amico che ama la Sicilia come me, su whatsapp, dove la quantità di cose che si inviano è micidiale. Un amico attento come me alle note stonate.
Il bello è che le cose straordinarie per l’eventuale millennial in visita si presentano già all’esperienza n.1 che riguarda la Provincia di Agrigento. Ebbene, sembra un’esperienza senza pari, e in effetti lo è, perché campeggiare sulla spiaggia bianca di Eraclea Minoa e contemporaneamente trovarsi in un fiordo, di fronte all’Africa, è davvero un’esperienza di quelle che nemmeno aprendo l’armadio di Narnia ti ci ritrovi. Un fiordo. La spiaggia di Eraclea Minoa è un fiordo. Non devo avere letto bene, mi sono detto. Che ci fa un fiordo sulla costa meridionale della Sicilia? Come mai non l’ho notato prima d’ora?
Ma andando avanti, nell’esperienza 10, che conclude, tornando non lontano dal fiordo di Eraclea, quest’indimenticabile giro di Sicilia per i Millennial(s), si parla addirittura dei primi templi greci della storia realizzati in pietra. A Selinunte. Mah. A me risulta che forse, nella madrepatria, i templi in pietra di Artemide a Corfù (590 a.C), e di Hera a Olimpia, sempre in quegli anni, fossero di poco precedenti a quelli di Selinunte. Mi pare che il tempio in pietra più antico in Sicilia fosse quello di Apollo di Siracusa, da ricordi scolastici, non vorrei sbagliarmi. Parliamo sempre di ciò che è rimasto e non distrutto.
… La Sicilia si sente…
Così è. Il millennial forse non ha studiato geografia (e storia). Ma sembra normale perché mi pare che una di queste ministre dell’Istruzione che abbiamo avuto, mi pare una certa Moratti, sì, proprio quella che adesso si propone con pervicacia alla presidenza della Regione Lombardia, l’abbia tolta di mezzo perché considerata inutile. La successora Gelmini, sì, proprio quella che adesso ha abbandonato Forza Italia per essere accolta a braccia aperte da Calenda, addirittura, quando faceva finta di occuparsi di istruzione per conto del suo partito di ignoranti – gli svarioni storico-geografici dell’ex-cavaliere sono talmente tanti che ci vorrebbe un’enciclopedia… voleva addirittura esportare la macchia mediterranea, colui, mah… – la eliminò quasi del tutto.
Il fiordo, lo dovrebbero sapere tutti (almeno quelli che hanno studiato e che scrivono su un quotidiano nazionale), è ciò che resta di una valle glaciale che sbuca al mare. In Norvegia, nelle Isole Britanniche, in Islanda, ma anche in Canada o in Patagonia, dove, insomma, tanto tempo fa ci sono stati dei ghiacciai. Anche i laghi glaciali alpini si potrebbero assimilare un po’ ai fiordi, solo che i fiordi stanno a mare. A Eraclea c’è il mare con una spiaggia bianca meravigliosa, visibile nella foto d’apertura, e questo è limpido. Ma il fiordo dov’è? Dove sono le altissime rocce, spesso rivestite di piante, a picco da un lato e dall’altro, che si inoltrano per chilometri nell’interno dell’isola? Dov’era il ghiacciaio che ha prodotto il fiordo? Cos’avrà mai voluto rivelare, in quale universo quantistico è andato a frugare l’autore dell’articolo? Dove lo ha visto?
Capra, capra, capra! Sgarbi, dove sei? Gliela insegni tu un po’ di storia e geografia a tutti?
Il resto dell’articolo è sempre costellato di esperienze dove “la Sicilia si sente” ma soprattutto sembra che in Sicilia si debba bere sempre Birra Messina Cristalli di Sale. Solo quella. Che, comunque, bisogna dirlo, è buona, soprattutto se si ha sete.
Arriva adesso il suggerimento che avevo annunciato. Esiste, ed è per i veri intenditori, soprattutto siciliani, perché il nome di questa birra ce l’hanno sempre sulle labbra (a volte, secondo i gusti, anche concretamente, perché il nome è femminile, singolare e concreto), una birra, questa sì siciliana, e ugualmente buona.
La Birra Sikania produce una marca di birra che si chiama, udite udite, “Minchia”. Proprio così, Birra Minchia. E esiste bionda, rossa e, la migliore, tosta. La pubblicità recita così:
“Quannu la furtuna vota, ogni amicu si fa la ritirata, resta sulu una bella BIRRA MINCHIA fridda” (quando la fortuna va via, gli amici se ne vanno e ti resta solo una bella birra minchia fredda).
Potrebbe essere un’incitazione ai piaceri della masturbazione, oggi è anche la Giornata internazionale dell’orgasmo! Perbacco!
Un pensierino, tra le esperienze siciliane dove la “minchia” è perennemente in bocca a maschi e femmine, sarebbe da fare. Minchia tosta per tutti! Fridda.
Devi fare login per commentare
Login