Beni culturali

L’ex ministro egiziano frequenta l’Italia ma tace sul caso Regeni

21 Luglio 2024

Nella stessa settimana in cui è stata rinviata di due mesi l’udienza di Matteo Renzi e Marco Minniti al processo per l’omicidio di Giulio Regeni a Roma, a Orvieto si teneva una conferenza che, fatte le dovute proporzioni, rimarrà come un ricordo indelebile per chi si occupa di arte e di politica in relazione alla cultura. Protagonista uno studioso settantasettenne che è stato Ministro della Cultura in Egitto nel 2011, ossia l’anno in cui espansero le cosiddette Primavere Arabe iniziate in Tunisia.

Quella stagione significò la fine della vita (politica e non solo) di molti leader di paesi arabi, ma anche la persecuzione dei dissidenti e l’aumento dell’ostilità nei confronti di chi desiderava approfondire quella fase e i suoi effetti, proprio come Regeni, dottorando italiano dell’Università di Cambridge che svolgeva un periodo di ricerca al Cairo sui sindacati egiziani, per poi scomparire il giorno del quinto anniversario delle proteste di piazza Tahrir ed essere ritrovato morto, sfinito da atroci torture.

Ma non è di lui che si è parlato a Orvieto. Del resto, ad accogliere Zahi Hawass, questo il nome dello studioso ed ex ministro, c’era Roberto Giacobbo, conduttore televisivo noto per trasmissioni a volte poco accurate e libri pubblicati dalla Rai che contengono un certo numero di bufale (ne hanno scritto ad esempio Stefano Dalla Casa e Massimo Sandal su Wired.it). Le premesse, dunque, non erano delle migliori.

Hawass utilizza l’archeologia come farebbe Giorgia Meloni, insistendo sull’identità del popolo, a costo di incorrere in forzature. E perché Hawass era in Italia?

Facciamo di nuovo un passo indietro: Meloni e Sangiuliano non apprezzano l’attuale direttore del Museo Egizio di Torino Christian Greco, reo di aver fatto fare a tutta Fratelli d’Italia una pessima figura durante la campagna elettorale del 2018, quando a seguito di una iniziativa del Museo rivolta alla persone parlanti arabo (così come ce ne sono molte altre rivolte a categorie di visitatori) il gotha di FDI accusò Greco – che per di più è un direttore competente e di successo – di un inesistente “razzismo al contrario”, protestando all’esterno del Museo. Senza dilungarci su quello scambio, diciamo che, anche quando si tratta di ambiti che frequenta raramente, Meloni preferisce interagire con direttori che sente affini, come ad esempio Eike Schmidt, che dopo aver guidato in senso apertamente aziendalista gli Uffizi è stato il candidato delle destre a Firenze, perdendo le elezioni comunali dello scorso giugno contro Sara Funaro del PD.

Ecco com’è che Zahi Hawass viene ospitato. E lo sarà di nuovo mercoledì prossimo, nonostante la riluttanza dell’Egitto a far comparire in aula gli imputati del delitto Regeni, al fine di ostacolare e ritardare il regolare svolgimento delle udienze, come ha spiegato l’avvocata Alessandra Ballerini.

Hawass in Egitto è soprannominato “Il Faraone“, perché è un uomo di potere noto per lo stile censorio con cui nega o concede visite ai siti archeologici, gestendo personalmente le interviste, da richiedere solamente a lui, essendosi intestato una sorta di monopolio sulle Piramidi.

Nonostante la lunga esperienza come archeologo, i temi oggi caldi in museologia non rientrano tra i suoi interessi. Quello delle restituzioni tra paesi, attualissimo soprattutto per quanto riguarda i saccheggi di stampo coloniale e le mostre contemporanee che li trattano, non gli appartiene.

Così a Orvieto, in un’intervista concessa – bontà sua – nelle modalità servili consone a lui come a Meloni, il vate volato dal Cairo ha subito servito una figuraccia che farà ridere amaramente anche gli studenti appena immatricolati: avendo stabilito che per amare la patria dobbiamo riprenderci ciò che è nostro (e sorvolare su quanto abbiamo sottratto), l’ex ministro vuole riportare in Egitto almeno tre oggetti: la stele di Rosetta esposta al British Museum, la statua della regina Nefertiti a Berlino e lo Zodiaco al Louvre. Andrebbe allora precisato che le esposizioni non sono automaticamente dei furti.

Ma è ciò che dice subito dopo a mostrare la confusione in merito.Al Ministro Sangiuliano consiglierebbe di far di tutto per riportare la Gioconda in Italia?, chiede un cronista italiano in modo forse non consapevole, avvalendosi di una traduttrice visibilmente emozionata. Sì, risponde Hawass. “E quando lo vedrò gli dirò di unire le forze per riportare in Italia tutte le opere”.

Anche molti italiani credono alla bufala della Gioconda rubata, quando in realtà fu lo stesso Leonardo che la dipinse a volerla in Francia. Trattandosi di una delle opere più viste al mondo, è bene ricordare che oggi è al Louvre dopo essere passata da Francesco I fino a Leone XIV, prima a Versailles. Napoleone la volle per qualche anno con sé, e poi di nuovo al Louvre. E nel 1991 Monna Lisa fu sì rubata, ma da un italiano alla Francia.

Mentre si cercava il ladro, il caso diventò l’occasione per scambi di accuse internazionali (è stata la Germania?!) e furono interrogati artisti quali Picasso e Apollinaire. Il ladro Vincenzo Peruggia fu il primo a credere, come molti pensano tuttora e sbagliando, che fosse stata sottratta durante l’era di Napoleone. Peruggia poi cercò di venderla in Toscana, e al processo parlò di patriottismo come un Giovanni Donzelli qualsiasi.

La storia dell’arte ci mostra anche con questo furto realmente avvenuto (ma non sotto Napoleone, e a parti invertite rispetto alla vulgata) quanto contino le relazioni internazionali: in quel periodo fu possibile esporre l’opera in Italia, per poi farla tornare a Parigi due anni dopo circa. Conservata con la cura che si riserva ai capolavori, negli anni sessanta fu esposta a New York, perché spesso la notorietà di un’opera dipende anche dalla possibilità di essere vista, e va agevolata con competenza.

Tornando all’opportunità dell’attuale amicizia tra Italia ed Egitto, quello con Hawass a Orvieto non è solo l’ennesimo episodio che mette in imbarazzo: nei suoi scambi d’ora in poi frequenti (lo ha annunciato lui stesso) con Sangiuliano, sono in ballo, per l’appunto, interessi politici ed economici. E se Hawass dovesse, in aggiunta, sostituire Greco o un altro direttore, sapremmo perché succede.

Ma se al ‘Faraone’ piace tanto parlare con gli italiani, o quanto meno con quelli al governo ora, ci aiuti a far arrivare prima di gioconde e fantasie varie gli imputati nel processo per l’omicidio Regeni che il suo paese sta coprendo: il generale Sabir Tariq, i colonnelli Usham Helmi, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. Faccia venire a galla Hawass l’emersione i fatti noti ai posti di comando.

Senza dimenticare che Regeni è stato ucciso una prima volta al Cairo e poi una seconda con questa farsa infinita in cui si è messa di mezzo persino Report, la trasmissione Rai che vorrebbe lasciar intendere che il professor Gennaro Gervasio – rispettato accademico che al Cairo avrebbe dovuto incontrare Giulio, di cui era amico, nel giorno della scomparsa – stia tacendo una qualche verità.

Un’accusa ingiusta e semplicemente infamante, come quelle che i media avevano portato all’accademica Maha Abdelrahman, la supervisor di Regeni nel Regno Unito, screditata in poche settimane per mezzo di una teoria del complotto poi smontata con le indagini, ma solo dopo il proliferare di violenti attacchi nei suoi confronti dall’Italia.

È tempo di smetterla di far soffrire chi è stato accanto a Giulio Regeni, e confermare ai suoi cari una verità ormai emersa.

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Riceviamo e pubblichiamo la replica dell’Ufficio Stampa del Ministero della Cultura
Gentile Direttore,
in riferimento all’articolo pubblicato sul giornale da lei diretto dal titolo “L’ex ministro egiziano che collabora con Sangiuliano tace sul caso Regeni”, a firma di Chiara Zanini, (https://www.glistatigenerali.com/beni-culturali_geopolitica/egiziano-sangiuliano-regeni/) vogliamo precisare che è del tutto falsa l’affermazione secondo cui il signor Zahi Hawass collabori con il Ministero della Cultura italiano o con il Ministro Gennaro Sangiuliano.

L’articolo è poi pieno di supposizioni e congetture che non corrispondono a dati di realtà e che sono solo espressione di pura fantasia da parte dell’autrice.
Il Ministro della Cultura ha più volte speso parole di elogio e di apprezzamento per il Direttore Christian Greco e, come ribadito nel corso delle diverse visite pubbliche fatte al Museo Egizio di Torino, per il lavoro che sta portando avanti da tempo. Il Museo Egizio di Torino è una delle eccellenze culturali dell’Italia, conosciuto in tutto il mondo, che ha visto, negli ultimi anni, un grande impegno per la valorizzazione della sua splendida e unica collezione che custodisce, oltre ad un forte miglioramento dell’offerta dei suoi servizi come sta avvenendo in molti altri musei della Nazione. Come ulteriore manifestazione di stima, lo scorso marzo il Ministro Sangiuliano ha reso noto che lo stesso Direttore Greco collaborerà col Ministero anche per il progetto relativo al nascente Museo Egizio di Benevento.
Quanto, poi, alle ulteriori illazioni presenti nel testo dell’articolo: “nei suoi scambi d’ora in poi frequenti con Sangiuliano, sono in ballo, per l’appunto, interessi politici ed economici”, il Ministro Sangiuliano si riserva di valutare eventuali azioni legali a sua tutela.

 

 

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