Beni culturali

Ecco come muore il patrimonio culturale italiano

22 Giugno 2015

Non occorre essere esperti di economia o analisti finanziari per comprendere il lento e inesorabile declino che sta vivendo il nostro paese, è sufficiente osservare le condizioni del patrimonio culturale stritolato tra malagestione, tagli, scandali e politiche errate.

Per comprendere questa situzione, ci viene in aiuto un servizio realizzato da Beppe Sebaste e Claudia Arletti su Il Venerdì di Repubblica.

Una breve inchiesta su alcune situazioni di degrado e tagli nella gestione del patrimonio culturale: dall’Istituto verdiano di Parma, alla casa-studio di Luigi Pirandello, al cinema America a Roma, con un articolo a parte per l’Accademia della Crusca.

Nella città emiliana l’Istituto verdiano è senza un direttore e con un comitato scientifico non all’altezza del prestigio dell’istituto, la casa-museo di Pirandello rischia invece la chiusura per la mancanza di fondi a disposizione.

L’Accademia della Crusca si trova a convivere con una situazione di costante precarietà: “lo Stato ha ridotto il finanziamento annuo da 700 mila a 640 mila euro, e pazienza; soprattutto, sono venuti meno i soldi della Regione: due anni fa arrivarono duecentomila euro, l’anno scorso centomila e adesso – semplicemente – zero”.

Addirittura il presidente, professor Claudio Marazzini, dichiara che ci sono soldi disponibili sono per andare avanti qualche mese e non ci sono risorse per rinnovare le borse di studio e i contratti di ricerca.

Se tutti condividono le cause della malattia che attanaglia la cultura del bel paese, diverse sono le medicine proposte per risollevare il paziente Italia. Lo stesso Beppe Sebaste nel suo articolo cita Derrida che accusava “un economismo miope che considera produttivi solo gli investimenti a breve termine (…), una politica ispirata dal misconoscimento cieco e dal risentimento verso tutto ciò che è giudicato, a torto e secondo un cattivo calcolo, improduttivo, addirittura nocivo per gli interessi immediati di un certo mercato liberale: la ricerca, l’educazione, le arti, la poesia, la letteratura, la filosofia…”.

La cultura non è e non può essere improduttiva, il più grande errore dei nostri dirigenti e dell’opinione pubblica – non sufficientemente informata sull’argomento – è quello di considerare la cultura come un settore in cui è lecito investire denaro senza un ritorno economico.

Ancora oggi, complice una stampa che tratta non con la dovuta attenzione l’argomento, in molti non conoscono la differenza tra mecenatismo e sponsorizzazione gridando alla svendita del patrimonio culturale quando c’è un intervento di imprenditori privati.

La vera sfida per il futuro del nostro paese sarà quella di rendere sostenibile, attraverso l’intervento di sponsor e imprenditori privati, la gestione del patrimonio culturale italiano. Il ruolo dello stato dovrà essere quello di regolamentare e supervisionare la gestione degli investimenti con regole chiare e precise sanzionando i privati intenzionati a utilizzare per fini personali il patrimonio culturale.

 

@francescogiub

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