Beni culturali
Alessandro Giuli – Gramsci è vivo. Sillabario per una egemonia contemporanea
Alessandro Giuli – Gramsci è vivo. Sillabario per una egemonia contemporanea- Rizzoli 2024
Ho abbordato questo libretto sotto l’impulso della forte curiosità destatami dalla copertina con quel titolo chic e choc: “Gramsci è vivo”. Da tempo ho osservato una strategia di avvicinamento di intellettuali di punta di destra verso la figura intellettuale di Antonio Gramsci. Si vedano Giuliano Giubilei coi suoi titoli così scopertamente gramsciani “L’egemonia culturale”, e “Gli intellettuali di destra e l’organizzazione della cultura”, e anche il Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano che vuole mettere una targa alla clinica Quisisana dove s’è spento il pensatore sardo. Mentre l’altro intellettuale di punta Marcello Veneziani finora ha proceduto all’annessione nel pantheon del pensiero di destra di Cesare Pavese. Vedremo in futuro.
Insomma la presa del Palazzo d’Inverno ha galvanizzato gli intellettuali più vivaci della cultura di destra che a tutta prima sembrano più vispi e ruspanti, sicuramente con la tentazione dello spariglio, rispetto a quelli di sinistra da un lato chiusi nel recinto identitario e nelle pose rigide dell’antifascismo rabbioso e militante e dall’altro fluttuanti nel mare mosso del gender, del linguaggio ampio dello schwa e della kefiah palestinese per tutti.
Personalmente non avendo ruoli né intellettuali né politici e una età in cui mi interessa più dibattere da studioso indipendente le idee che difenderle o attaccarle, non mi stupisco più di tanto, seduto su questa panchina, dell’operazione audace di Giuli che si appalesa al solo adocchiare la copertina del suo libello. A quasi novant’anni dalla morte credo che Gramsci possa essere ritenuto un intellettuale di tutti, destinato agli studi spassionati un po’ come Vilfredo Pareto, Gaetano Mosca, Robert Michels per nominare intellettuali a lui coevi oppure. come un Machiavelli dei nostri tempi, ossia uno scienziato della politica sottratto alla passionalità e agli schieramenti del suo tempo, senza più chiederci se tenesse per il Papa o per l’Imperatore.
Ma il fatto resta ugualmente eclatante perché Gramsci è stato fino a ieri il capo degli intellettuali del “partito a noi avverso” per replicare rovesciato un vecchio tormentone di Walter Veltroni.
Ed ecco che Giuli propone la rottura degli steccati della vecchia sinistra e anche della vecchia destra. A dispetto dell’incipit un po’ flou e un po’ parolibero che emerge tuttavia qua e là nel corso del pamphlet (“Siamo figli della terra e del cielo stellato, celeste è l’origine”)!, Giuli propone alla destra al potere l’uscita da quel recinto culturale ben descritto a suo tempo da Furio Jesi (Mito, Tradizione, Passato, Razza, Origine, Sacro ecc.) e dal più recente immaginario orfico-tolkeniano nonostante ne replichi i toni in certi tratti.
Una destra, quella prospettata da Giuli, dell’establishment contro le derive del vannaccismo, consapevole della propria storica e imperdibile missione, insediata com’è nella Struttura dei gangli del potere e desiderosa di egemonia nella Sovrastruttura culturale nella piena considerazione di assumere in sé anche quota parte dei valori e delle figure del pantheon della sinistra (apertura della cittadinanza agli stranieri, sensibilità nuova verso il terzo sesso e il mondo arcobaleno, rilettura di Gramsci ecc.) nella consapevolezza che la «la sinistra è troppo importante per lasciarla alla sinistra e parimenti che la destra è troppo importante per lasciarla alla destra» e nel proposito di edificare «una cultura diffusa che sia un discorso coltivato insieme da destra e da sinistra, un soft power, persuasivo e onnipervasivo, che circoli liberamente a partire dal reciproco riconoscimento».
Citando Bottai (figura molto consentanea a Giuli, in quanto il più liberale degli intellettuali fascisti o il più fascista degli intellettuali liberali) il Presidente Mattarella più volte con deferenza, ossequio e rispetto, la Costituzione del ’48 e i suoi saldi principi e valori, Ciampi e il suo maestro Guido Calogero e di questi il suo principio della filosofia del dialogo “l’indiscutibile è il dover discutere”, Giuli si propone come singolo intellettuale e come responsabile del MAXXI di indicare vie nuove al mondo intellettuale da cui proviene seppur con il tono e il dono della sprezzatura e dello spirito di fronda. Ricordo a tal proposito che mi sorprese non pochi anni fa quando lo vidi citare in una trasmissione televisiva Guido Dorso e i suoi “Cento uomini d’acciaio” segno di antiche frequentazioni dei territori della sinistra non comunista che da noi ha avuto una tradizione tanto nobile quanto minoritaria e sfortunata.
Resta tutto da appurare come verrà declinato il disegno egemonico neogramsciano. Altrove (urly.it/3_drr ) ho osservato che il concetto di egemonia di Gramsci e del connesso “intellettuale organico” non è solo l’occupazione delle casematte nella guerra di posizione (TV, giornali, strapuntini vari negli Enti culturali), quello si chiama rubamazzetto o cara vecchia lottizzazione, ma sapere declinare i due momenti dell’egemonia, quello della forza (dominio) e quello del consenso (direzione) che non è solo culturale e che soprattutto già prima di gestire il potere occorre essere, come non era sfuggito ad Augusto Del Noce ne “Il suicidio della rivoluzione”, classe dirigente non nella plancia di comando degli apparati dello Stato, ma disseminata nella Società civile. E qui credo che manchino alla destra i Cento uomini d’acciaio a giudicare dalle nuche troppo squadrate, gli sguardi evanescenti, l’eloquio paratattico di troppi muppet che appaiono in tv in quota governativa. Sapere intercettare le correnti di fondo del mondo di fuori degli apparati, gli umori e i malumori e incanalarli in un progetto di futuro, anche ad essere una comunità di destino se proprio si vuole ricorrere a vecchie formule non di sinistra. È davvero un “vaste programme” direbbe il sardonico e un po’ scettico generale De Gaulle. È comunque tutto da vedere.
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