Beni culturali

Agorà, ombre e storie nelle piazze di Napoli 4

Il libro é esplorazione di storia, arte, antropologia e ancora un’indagine di credenze, modi di sentire che hanno dato vita a diversi racconti scaturiti da eventi reali e fantastici che seguono il fil rouge di narrazioni in cui storie, folklore e suggestioni si intersecano

2 Dicembre 2024
Presso l’istituto Errico-Pascoli, scuola della periferia di Napoli, Secondigliano, é stato presentato
il quarto volume della collana “Agora’ –  ombre e storia nelle piazze di Napoli” -, dedicato alle periferie della città di Napoli. Il libro é esplorazione di storia, arte, antropologia e ancora un’indagine di credenze, modi di sentire, emozioni che hanno dato vita a diversi racconti scaturiti da eventi reali e fantastici che seguono il fil rouge di narrazioni in cui storie, folklore e suggestioni si intersecano.
Il volume, curato dal Dirigente scolastico Piero De Luca, è stato introdotto dall’editore Mario Rovinello de “La valle del tempo”. Gli autori-abitanti del quartiere di Secondigliano, Maria Falco, Antonella Pisano e Salvatore Testa, hanno illustrato i testi relativi alle piazze del loro territorio, con letture interpretate dagli attori della compagnia teatrale Liberaimago. Le periferie spesso abbandonate all’incuria di amministrazioni, malinconiche, luogo di esclusione sociale dove fare cultura diventa una necessità comunitaria per rendere i luoghi e aree degradate e in disuso il motore di una riqualificazione urbana, sono il nucleo e centro fondante di una frontiera che non é luogo di scarto.
Se il margine è il contrario del centro, diventa metafora della periferia, della resistenza a ciò che esso imprime sullo spazio. A volte il margine é segregazione in tutte le sue accezioni – razziale, sociale, di genere – e la segregazione ha bisogno di margini. Tuttavia, nei margini si sviluppano anche risposte di natura opposta. Si cercano soluzioni, si praticano innovazioni che sconfinano rispetto ai percorsi che hanno dato origine alla crisi, incanalando sulla strada dell’emancipazione i modi di fare società su scala locale. Dai margini le contraddizioni sociali si possono vedere nella loro dimensione più radicale, e pertanto è lì che i fattori che danno origine e alimentano la crisi si vedono in modo più elementare e nitido.
Nel tipo di spazio che chiamiamo città, nel suo essere intreccio di macchine, infrastrutture, esseri umani e non umani, istituzioni, reti, metabolismi, materia e natura, nel suo propagarsi nello spazio, nelle distruzioni creative, implosioni ed esplosioni, chi vive il centro si identifica nel modello che nega il periferico. Allo stesso modo, un giovane che vive in una zona definita marginale si discosta, come atto di forte autodeterminazione, da tutto ciò che rimanda al nucleo, al privilegio della città dei quindici minuti. I margini sono fatti di abitudini e di linguaggi, ancor prima che di sezioni territoriali. La prima tra queste abitudini consiste nel pensarsi passaggio per giungere altrove, sia logisticamente che per gli obiettivi di vita.
Come riconoscerne la natura fisica e simbolica in grado di segnare le vite di chi li abita, di chi vive tra un lato e l’altro di queste linee dalle concrete implicazioni umane e non solo? Come intercettare la storia di chi su di esse si posiziona: stare ai margini della società, della legalità, della povertà?
Di vite ai margini ci racconta Maria Falco che ci racconta Piazza di Vittorio (anticamente Piazza Capodichino) “intitolata alla forte figura umana, civile e politica di Giuseppe Di Vittorio, appassionato sindacalista e antifascista coraggioso negli anni bui e repressivi del regime….Piazza Di Vittorio é luogo di “confine”, ” confino” e ” sconfinamento”… é nata come confine tra centro e periferia, città e campagna, ha costituito e ancora costituisce un limite fisico tra cittadino e paesano….Forse la chiusura dell’ anello della linea “Uno” della metropolitana cittadina, Stazione Di Vittorio, potrà avviare uno “sconfinamento della piazza”, rompendo l’ultima barriera di isolamento fisico e distanza dal centro pulsante della città. Barriera che ha in qualche modo “confinato” la popolazione di Secondigliano con un muro di esclusione fatto di scelte politiche ed economiche a dir poco miopi…Piazza Di Vittorio é stata per più di settanta anni anche simbolo di “confine umano tra ” sani” e ” malati”, se solo si voglia pensare alle contigue possenti e invalicabili mura dell’ospedale psichiatrico ” Leonardo Bianchi”, ” cittadella fortificata della follia, sorto nel 1909 nel punto più alto della piazza. La ” Pazzaria”, termine che ancora oggi qualcuno usa per definirlo, fu aperta per rispondere al sovraffollamento dei vari nosocomi che si occupavano della gestione dei” mentecatti poveri”.
Luogo di ” confino”, di esclusione e di sofferenza, nonostante i criteri di modernità che ne ispirava la missione terapeutica – ma dove si praticheranno a lungo elettroshock e lobotomia – l’ospedale inizierà la sua lenta dismissione a partire dal 1978, quando la legge Basaglia ne imporrà la chiusura….Da quella data e per molti anni il popolo “altro”, larvale degli ex internati riempirà la piazza, facendo storcere il naso e voltare la faccia ai più”.
La piazza é punto di riferimento all’interno del nostro quartiere, qui ci incontriamo con i nostri cari, qui ci dirigiamo quando visitiamo una nuova città. Appare così ancora più evidente l’importanza che la piazza assume all’interno del sistema urbano, tanto da renderla fondamentale per la sua sopravvivenza.
Nel corso dei secoli, ha assunto le più svariate funzioni: da quelle civiche a quelle religiose, da quelle commerciali a quelle popolari. Nella maggior parte delle volte è proprio la loro funzione che ha dato vita alla piazza e non viceversa: un mercato, un sagrato hanno permesso con il trascorrere del tempo la nascita di uno spazio pubblico. Per questa ragione, la piazza, come in generale lo spazio pubblico, è un luogo spontaneo d’incontro e per questo è simbolo di democrazia. Non a caso era proprio l’Agorà il luogo adibito alle pubbliche riunioni politiche nell’antica Grecia.
La piazza, così come risulta dalla concezione tipicamente barocca, rappresenta il salotto delle nostre città, un luogo dove storia, architettura e cultura si fondono e assumono il fulcro della vita urbana, affermando l’identità di un popolo e rafforzandone l’unità. Proprio come quando accogliamo qualcuno in casa nostra, la piazza rappresenta il luogo dove il visitatore può mettersi comodo e godersi quello che di bello abbiamo da offrirgli.
Antonella Pisano ci racconta quella che può essere considerata il cuore di Secondigliano: piazza Luigi di Nocera, “una figura storica e tra le più rappresentative di quelli che al suo tempo era il Comune di Secondigliano accorpato alla città di Napoli nel 1926, in seguito alla riorganizzazione urbanistica avvenuta negli anni del Fascismo…. La Chiesa dei SS Cosma e Damiano, sita nella piazza, presenta un crocifisso ligneo di Nicola Fumo, uno degli scultori più attivi nella Napoli barocca, che si distingue per una vastissima produzione di statuaria lignea in un momento in cui quest’arte si esprime di meno rispetto ai secoli precedenti….Tra gli aspetti più caratteristici della chiesa non si può tralasciare la cripta, che ancora oggi accoglie la Terrasanta, ed é testimonianza viva dell’antico e affascinante rito delle Anime del Purgatorio. Qui, come in altri luoghi di Napoli molto più famosi, si custodiscono le famose ” capuzzelle”, teschi chiusi in un grande ossario che vengono chiamati ” anime pezzentelle”, dal latino ” petere” chiedere. Queste anime chiedono di essere ricordate, con le preghiere, affinché la Misericordia della Madonna porti sollievo alle loro pene e riduca la loro permanenza nel Purgatorio.
Salvatore Testa, giornalista, scrittore, presidente del Self( Secondigliano libro festival) ci presenta Piazza Zanardelli, conosciuta nell’immaginario popolare col toponimo di “Mmiez all’Arco”. Un tempo c’era infatti qui un Arco che segnalava una delle porte di accesso a questo paese… la piazza fungeva da luogo di incontro delle diverse anime del territorio: la ricca borghesia, insediata fra la vicina Piazza Di Nocera e le vie Vittorio Emanuele e Dante e le famiglie di agricoltori e di sottoproletariato insediate nei Vicoli Censi” . In piazza dell’ Arco, dove c’era la sua casa, é diretto Don Mimí, che aveva lasciato Napoli, devastata dalla guerra, per andare a Caracas dove il padre aveva avviato un ricco commercio di biancheria per la casa.
La periferia è stata vista, spesso e unicamente, come luogo dell’assenza: di storia, di significato, di identità; o come luogo della perdita: di forme, di relazioni, di qualità. Lo stesso termine “periferia” ha finito per comprendere una serie di stereotipi, significati negativi e pregiudizi trasformandosi in un aggettivo che indica una condizione più che rappresentare a volte un luogo fisico. La periferia è diventata un punto di vista a senso unico dove i quartieri sono le aree marginali della città, i luoghi dell’emarginazione e del degrado. Le esperienze in atto mostrano come gli abitanti di aree definite degradate, marginali siano profondamente radicati al loro habitat e agiscano per migliorarne la qualità. Perciò lo sguardo di chi osserva dall’esterno, sia esso tecnico o amministratore o cittadino, ha bisogno di connettersi con quello di chi guarda da dentro la realtà in cui vive: i quartieri di periferia, che sembrano esser stati progettati in modo tale da poter essere rapidamente dimenticati, hanno innanzitutto bisogno di essere osservati, di essere ascoltati.
Piero De Luca, Geografo per passione e Dirigente Scolastico per dovere, sia da Docente che da Dirigente ha sempre lavorato in Istituti Scolastici della periferia napoletana, sebbene non viva in periferia, la periferia l’ha sempre osservata e ascoltata da dentro e attraverso la cultura si dedica al recupero di un quartiere individuandone reali potenzialità e valorizzando risorse positive.
Il punto di vista attraverso cui scaturisce la sua narrazione si articola sulle suggestioni indotte dall’opzione del “risveglio” della memoria suscitato attraverso esperienze capaci di rievocare eventi partecipati. Si tratta di un processo che non è riferito esclusivamente alla sensibilità della memoria individuale ma che, piuttosto, ruota intorno alla sollecitazione della memoria collettiva di un popolo in funzione di un itinerario intellettuale la cui valenza si esprime in termini di memoria storica o culturale. La memoria, d’altra parte, ha bisogno di “spazi”, ovvero di luoghi e di oggetti attorno a cui si possa organizzare il ricordo, perché non c’è memoria collettiva che non si dispieghi in un quadro spaziale, proprio perché esso si configura come una realtà che dura e ci offre la possibilità di conservare, nei suoi luoghi e nei suoi oggetti, le nostre impressioni, i nostri ricordi che sono vissuti all’interno di quella cornice.
A fare memoria, in via Emanuele De Deo, nei Quartieri Spagnoli, è il murale di Diego Armando Maradona. “Siamo alla fine degli anni 80, in una Napoli alle prese con gli effetti delle grandi trasformazioni sociali e soprattutto culturali che a partire dal decennio precedente ne hanno profondamente mutato l’essenza. Allo stesso tempo, è preda degli assalti predatori della speculazione edilizia mai doma e sempre a braccetto con una classe politica ancora famelica ma ormai sul viale del tramonto. La città è un coacervo inestricabile di sacche di sottoproletariato urbano diffuse non solo nelle dilaganti periferie che la fanno corona ma ben radicate anche nelle enclaves popolari che punteggiano un centro storico ancora non ostaggio di fiumane turistiche che di lì a poco ne stravolgeranno ritmi e paesaggio urbano. Tra queste numerose enclaves , i Quartieri. Un nome divenuto, nel tempo, per antonomasia, bastante a se stesso al punto da poter spesso fare a meno della sua appendice “Spagnoli”. Una mappa ortogonale, a imitazione delle antiche geometrie grecoromane, in cui le superfici si restringono sempre di più e l’affollamento di case e persone inghiotte progressivamente ogni spazio utile. Sorprende dunque che, in questa cornice, sia rimasto qua e là qualche spazio aperto, qualche slargo che consenta all’agglomerato di respirare, e ai suoi abitanti di vedere un po’ di cielo”. Negli anni 90 a Mario Filardi, giovane artista dei Quartieri, viene l’idea di omaggiare il secondo scudetto del Napoli dipingendo sulla facciata di uno dei palazzoni l’immagine di Diego Maradona. “Sembra una follia…. Mario non ha risorse né mezzi e deve operare su una facciata di quasi 20 metri…..Per tre giorni e tre notti Mario sta lì, abbracciato su quei tubi, lavorando senza sosta e praticamente senza dormire…. E con lui non dormirà tutta la piazzetta, tutto il Rione, tutta la gente che si alterna per sostenerlo, nutrirlo, illuminare di notte la facciata con i fari delle macchine”. Nel 2016 il murale stava andando in rovina, era deteriorato e devastato dal tempo, inoltre una finestra aperta in modo abusivo sicuramente di notte per non aizzare una rivolta popolare, rappresentava un sfregio, diventando parte integrante di quell’opera. Salvatore Iodice, “ex detenuto che ha trovato redenzione tra le mura grazie ai romanzi di Matilde Serao e alla frequenza con profitto della scuola carceraria”, uscito di prigione, apre prima un laboratorio di falegnameria e poi un’associazione “La Miniera”, con lo scopo di rilanciare il quartiere in cui è nato. Mette mano al rifacimento. Oggi la piazza è luogo di culto e pellegrinaggio da tutto il mondo.
Agorà “ombre e storia nelle piazze di Napoli” “è un libro scritto a più mani, frutto di un’intelligenza collettiva. In questo caso essa trova compimento nella capacità di riannodare un filo rosso in grado di legare le storie ed i luoghi che sono narrati”. La marcata attenzione verso le componenti immateriali del territorio, nonché la rilevanza attribuita ai luoghi intesi come spazi di significazione, hanno evidenziato la necessità di parlare di universi simbolici, significati, emozioni sottesi alle relazioni tra luoghi e collettività umane.
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