
Arte
Uno scrittore, un pittore e un fotografo
Uno scrittore, un pittore e un fotografo emiliani si confrontano offrendo le loro visioni del mondo.
Tre emiliani di grande spessore umano e culturale sono i protagonisti dell’incontro letterario celebrato nel piccolo volume edito da Casagrande Il pianeta sul tavolo. Si tratta del pittore Giorgio Morandi (1890-1964), del fotografo Luigi Ghirri (1943-1992), dello scrittore Giorgio Messori (1955-2006). Ho conosciuto personalmente quest’ultimo nel 1985, quando per un anno è arrivato a Zurigo come supplente negli stessi corsi in cui insegnavo come dipendente del Ministero degli Esteri. Ospite qualche volta a cena da noi, io e mio marito ne avevamo apprezzato non solo i molteplici interessi intellettuali, ma anche la discrezione e la sensibilità con cui sapeva rapportarsi alle persone, pur nell’intensità dei suoi silenzi e degli sguardi. Ritrovo ora la sua gentilezza di allora in queste pagine uscite a quasi vent’anni dalla sua prematura scomparsa, che raccolgono due saggi già pubblicati nel 1992 e nel 2005, e sette fotografie di Luigi Ghirri.
Proprio con il conterraneo Ghirri, che aveva iniziato a frequentare negli anni ’80 con sempre maggiore familiarità e amicizia, Messori aveva deciso di rendere omaggio al pittore bolognese Giorgio Morandi nel 1990, visitando le sue due abitazioni-atelier (ormai museali) in Via Fondazza, in centro città, e nella residenza di campagna nel paese di Grizzana, per produrre un reportage fotografico in intensa e fattiva collaborazione.
L’appartamento cittadino in cui Morandi aveva vissuto in affitto per quasi tutta la vita, insieme alla madre e tre sorelle, era sobrio e ordinato: il pittore ne occupava un’unica stanza che fungeva da camera da letto e da laboratorio, a cui accedeva da una piccola porta che lo costringeva ad abbassarsi, nel suo metro e novanta di altezza, con un movimento che suggeriva umiltà e dedizione. Davanti al letto si trovava il tavolo su cui erano disposti gli oggetti privilegiati della sua pittura: “brocche, bottiglie, tazze, scatole, vasi, barattoli, teiere”, che per il loro utilizzo quotidiano implicavano una totale confidenza dello sguardo. Materiali semplici e domestici, a cui Morandi consacrava lunghi momenti di paziente contemplazione prima di accingersi a riprodurli. Messori dedica parole commosse al lavoro artigianale del pittore, alla sua volontà di confrontarsi con le cose, che abitano non solo lo spazio ma anche il tempo. Fedele a una vocazione all’immobilità e al silenzio, Morandi secondo Messori era un artista “che sceglie l’esercizio costante del lavoro per entrare nell’intima realtà delle cose. Il silenzio, di cui Morandi ha voluto circondare la sua vita, è quello di uno sguardo contemplativo che testimonia l’apparizione stessa del mondo, il suo costruirsi in uno spazio visibile che si forma davanti agli occhi”. Questo processo metodico di concentrazione sugli oggetti attivava sensorialmente in lui una prassi di conoscenza creativa, permettendogli di avvicinarsi alla loro enigmatica purezza e realizzando l’assenza dal sé, dal soggetto che guarda, e l’immersione estatica nella natura più intima del reale.
Messori individua nell’arte di Morandi alcune caratteristiche fondamentali: la luce, in primo luogo, che dà sostanza anche al colore, senza eclissarlo ma rendendolo più impalpabile. E poi la ripetizione di temi sempre uguali, ripresi secondo infinite modalità, “rifuggendo da un’ansiosa ricerca espressiva del nuovo, che finirebbe soltanto per ritrovare l’identico sotto le apparenze più svariate”.
Questa necessarietà “dell’esserci” intuito dalla pittura di Morandi era stata ben compresa dall’occhio fotografico di Luigi Ghirri, per il quale vedere coincideva con il fotografare, secondo “un progetto di amplificazione delle percezioni e non di una indiscriminata moltiplicazione degli oggetti”. Tale rigorosa pulizia dello sguardo accomunava la pittura di Morandi alla fotografia di Ghirri, e Messori ne offre una preziosa testimonianza nel commentare una foto che viene riprodotta anche nel volume. Il letto della casa di campagna di Grizzana “ha un solo colore, il bianco, così anche il volume e il disegno delle cose vengono dati da lievissime sfumature di bianco, che certo non cancella ma comunque fa sì che il mondo fisico degli oggetti, delle cose, quasi si smaterializzi in un soffio di luce”.
La stima e l’affetto che univa Messori a Ghirri è ben esemplificato in quanto scrive nel secondo saggio del libro: “A differenza di molti altri fotografi, Ghirri non chiudeva il mondo nell’obbiettivo di una macchina fotografica, come se il mondo fosse semplicemente qualcosa da mettere dentro un’inquadratura. Semplicemente guardava, con insaziabile curiosità, e andare in giro con lui si traduceva nell’esperienza di vedere nel mondo tante immagini che poi, solo in alcuni casi, finivano in una stampa fotografica. Perciò la cosa sorprendente ed emozionante era scoprire, attraverso di lui, quante immagini popolassero il mondo, che così finiva di essere quel tutto indistinto in cui normalmente ci muoviamo… E così è riuscito a farmi a capire, meglio di tutti, che dal mondo è anche stupido difendersi. Tanto non siamo che passanti, siamo stranieri anche alla strada che percorriamo ogni giorno”.
La sintonia con gli oggetti che Morandi e Ghirri esperivano, permetteva loro di “varcare la soglia che normalmente separa chi guarda dalla cosa guardata”, annullando la distinzione tra esteriorità e interiorità in un momento epifanico capace di restituire l’anima a ciò che è inanimato. Il tragitto poetico si risolveva per entrambi in un percorso mistico in direzione della luce, della chiarezza, dell’essenzialità ontologica.
In questi due brevi testi Giorgio Messori è riuscito a amalgamare in un’unica visione spirituale le esperienze creative di due grandi artisti, arricchendo le pagine con qualche appena accennata e pudica nota biografica, e con appropriate interpretazioni critiche di filosofi, sociologi, psicanalisti (Bateson, Bachelard, Merleau-Ponty, Fachinelli…), e con citazioni tratte da poeti e scrittori come Rilke, Kafka. Bousquet e Holan. Tra queste, la più in sintonia con il dettato del libro è forse l’affermazione ammonitrice di Cézanne: “Bisogna sbrigarsi a guardare le cose perché tutto sta scomparendo”.
GIORGIO MESSORI, IL PIANETA SUL TAVOLO. GIORGIO MORANDI E LUIGI GHIRRI CASAGRANDE, BELLINZONA 2025.
Fotografie di Luigi Ghirri. Postfazione di Gino Ruozzi. Pagine 83
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