Arte
Tracce d’immortalità prima della peste: Concerto con Leucò al Macro Asilo
«L’uomo mortale, Leucò,
non ha che questo d’immortale.
Il ricordo che porta e il ricordo che lascia.»
Cesare Pavese
Agnese Ricchi è artista visiva, attrice e regista. Allieva del pittore Enzo Brunori all’Accademia di Belle Arti di Roma, amplia la sua formazione – con i maestri Aldo Trionfo, Luca Ronconi e Andrea Camilleri – diplomandosi all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica ‘Silvio D’Amico’. Il suo poliedrico percorso artistico – tra collage, video, performance, teatro e laboratori – è caratterizzato dall’elaborazione delle Avanguardie, attraverso una ricerca continua, che mira a “concertare” i vari linguaggi.
In occasione della presentazione, al MACRO ASILO Museo d’arte contemporanea di Roma, della sua ultima creazione Concerto con Leucò – tratto dai Dialoghi con Leucò di Cesare Pavese, – l’abbiamo incontrata, insieme all’attrice Cristina Golotta, per capire di cosa si tratta.
L’intervista***
Agnese Ricchi, lei definisce il suo Concerto con Leucò una “ibridazione tra teatro e installazione video-sonora”, che cosa intende dire esattamente?
È un’opera polisensoriale dove quattro linguaggi – il video, il sonoro, la voce dell’attore/parola e il movimento del corpo – convivono insieme, interagendo all’unisono, senza che un linguaggio prevarichi sugli altri. Quindi è un concerto di linguaggi.
Perché l’interesse ai Dialoghi con Leucò di Cesare Pavese? Qual è la relazione con questo testo e con quest’autore?
Innanzitutto perché adoro la sua scrittura feroce, potente, immaginifica che dà la possibilità – a un attore/regista/artista – di poter costruire veramente tanto. Avevo già studiato i Dialoghi con Aldo Trionfo [che ne aveva fatto una storica messinscena nel 1964 con Marisa Fabbri, n.d.r.] durante il periodo dell’Accademia. A distanza di anni, la rilettura e la riscoperta della sua struttura narrativa stratificata, a più livelli, mi ha suggerito una sovrapposizione d’immagini e suoni, e l’urgenza artistica di crearne un’opera multimediale.
Qual è il fil rouge dei tre dialoghi scelti? Perché ha preferito Le streghe, Schiuma d’onda, La vigna tra i ventisette miti raccontati?
Perché ci sono dei personaggi al femminile. Nei tre dialoghi, in particolare, incontriamo Leucotea, Circe, Saffo, Britomarti, Ariadne… Si tratta di ninfe, dèe, streghe o donne mortali che, in realtà, sono dei personaggi ’schermo’, degli alter ego dell’autore, tramite i quali egli affabula il suo cercare se stesso, come una sua confessione, per ritrovarsi attraverso la ritualità e il mito. Quindi si parla di morte, d’immortalità, bestialità, sessualità… Tutto questo per cercare l’archetipo, l’origine.
Abbiamo parlato del mito. Mito è, nello stesso tempo, qualcosa di necessario e d’impossibile, ma il mito oggi ci serve per vivere meglio la nostra quotidianità?
Il mito, secondo me, convive con noi, sempre.
Che cos’è il mito?
È la vita di tutti i giorni. È il nostro percepire gli elementi naturali.
Cristina Golotta: Per me il mito rappresenta questo: l’uomo che non ha perso la dimensione del divino. E oggi, a quest’uomo sempre più disorientato, il mito serve a far capire quanto sia importante recuperare la dimensione della trascendenza, e tornare ad avere un rapporto con gli elementi primari – la Terra, il Fuoco, l’Aria, l’Acqua –, cioè quello che ci dà nutrimento.
Ritornando all’evento performativo, quali sono gli artisti che l’hanno ispirata per questa sua creazione?
I riferimenti sono tanti. Dal teatrodanza di Pina Bausch a Bob Wilson, Lindsay Kemp… passando per il teatro di parola come quello di Carmelo Bene, Leo de Berardinis… Direi, tutto il periodo d’avanguardia nostra ed estera – così stimolante! – degli anni Settanta, fino agli Ottanta.
Qual è il senso invece di essere artisti oggi?
L’artista ha una funzione di vivere e far vivere ad altri quello che percepisce attraverso il suo sguardo acuto e sensibile, avendo la possibilità di soffermarsi a pensare, a contemplare, a elaborare la realtà, della quale può suggerirne la sua chiave di lettura. Quindi l’artista ha per questo una funzione sociale.
Cristina Golotta: Per quanto mi riguarda, l’artista è – come lo definiva Achille Bonito Oliva –, colui che “cammina con il passo dello strabismo”, nel senso che è un outsider, uno che sta ai margini della vita fatta di ritmi costanti, di un lavoro che dà certezze… Ciò gli permette di avere un suo punto di osservazione, che può far riflettere su delle cose alle quali, forse, chi conduce un’esistenza più regolare non ha la possibilità di fare.
Qual è la sua necessità di fare arte?
La mia necessità è quella di esprimere le mie intuizioni che possono darmi la spinta a creare un’opera; se poi quest’opera ha un esito soddisfacente, si ha il desiderio di mostrarla agli altri. E anche per lasciare delle piccole tracce.
Oggi attraverso i social – postando di continuo pensieri, storie, selfie – tutti hanno la possibilità di lasciare tracce di se stessi. Ma cosa vuol dire per un artista lasciare tracce per l’immortalità?
L’opera di un artista è il risultato di una ricerca intellettuale. Certamente, solo pochi vengono riconosciuti per le loro opere/tracce. L’importante è, citando Pavese, lasciare un (buon!) ricordo, che è “quello che l’uomo mortale ha d’immortale“.
Le donne hanno conquistato molti privilegi. Nelle culture più avanzate, non è più così impensabile essere una donna artista. Ma nel mondo dell’arte tout court, c’è veramente quest’auspicata parità di genere o si percepisce ancora qualche pregiudizio sessista?
Sono stati fatti molti passi avanti, ma c’è ancora molta strada da fare per la parità dei diritti. In particolare, nel campo delle arti visive – un mondo ancora al maschile! – siamo una grande minoranza. Per questa ragione, nel Concerto con Leucò, ho preferito scegliere solo dialoghi al femminile!
Cristina Golotta: Il vero problema è che ai vertici del potere, nei ruoli apicali, ci sono molti più uomini, che hanno la facoltà di prendere le decisioni che contano veramente. Pertanto, si dipende sempre dalle loro scelte.
Uno dei temi ricorrenti dei Dialoghi con Leucò è la lotta degli uomini contro gli dèi, contro la “natura che ritorna selvaggia”, contro il destino ineluttabile della morte. Quasi in perfetta consonanza con la situazione tragica che stiamo vivendo in questi giorni, ci ritroviamo a lottare – forse per espiare la colpa/punizione della nostra hybris, per aver superato i limiti imposti dall’ordine cosmico! – contro un invisibile angelo sterminatore: il coronavirus. Sempre più minaccioso, ci pone davanti, la consapevolezza della nostra fragilità e della caducità della vita, vanificando ogni sforzo illusorio per la nostra esistenza. La funzione consolatrice dell’arte può esserci ancora d’aiuto in questi momenti di sconforto, di clausura forzata e di distanziamento sociale?
L’homo sapiens lottava per la sopravvivenza tutti i giorni, ma la trascendenza, l’arte figurativa, il senso estetico e le intuizioni che lo hanno evoluto, erano parti inscindibili – e consolatrici! – del suo istinto primordiale. La reclusione tra le mura di casa – impostaci giustamente per proteggerci –, m’inquieta poco, avendo una consuetudine all’isolamento, per ritrovare quella dimensione creativa di cui ogni artista ha bisogno.
Cristina Golotta: In questi momenti difficili, l’arte viene potenziata anche da un’altra sua funzione importante e cioè quella terapeutica, sia per chi la produce e sia per chi ne usufruisce. Mi viene in mente l’immagine iconica della Madonna della misericordia di Piero della Francesca, che accoglie e protegge sotto il proprio mantello l’umanità sconvolta e bisognosa. Penso che sarebbe inimmaginabile, la continua quarantena di questi giorni senza libri, senza film, senza teatro in streaming, senza musica in teleconferenza, senza i canti catartici dai balconi…
Artaud diceva che il teatro/arte, come la peste, “è una crisi che si risolve con la morte o con la guarigione”. Come sarà l’arte post peste? Come cambierà il rapporto con tutto ciò che, difatti, non è prioritario quanto la vera necessità di sfamarsi e di curarsi? Dopo, avrà ancora senso continuare a fare l’artista?
Nel corso della storia l’uomo ha superato tante epidemie – peste nera, spagnola, asiatica ecc. – e tutte le volte le conseguenze sono state disastrose: morti e povertà. Anche dopo questa del coronavirus, oltre alle persone che non vedremo più, ci saranno sicuramente dei gravi problemi finanziari e organizzativi in tutti i settori, che dovranno essere risolti; ma la nuova condizione, non ci priverà del bisogno inscindibile di fare arte, anzi lo stimolerà ancora di più. Dopo gli archetipi dei graffiti rupestri, chissà quali icone ci riserva il futuro contaminato!
In un prossimo futuro, alla riapertura degli spazi pubblici, si ritornerà gradualmente alla vita “normale”, ma ci sarà da convivere, per lungo tempo, con la paura del contagio che continuerà a condizionare le nostre relazioni sociali. Nei teatri, come nella vita, si prevede sicuramente un ritorno alla moda – stile Settecento veneziano! – dell’uso obbligatorio di mascher(ine), magari griffate dagli stilisti riconvertiti. L’amara verità è che adesso sembra impensabile rivedere spettacoli, performance basate sul contatto fisico energetico e sensoriale. Non vedremo più, forse, le performance trasgressive di Jan Fabre! Agnese Ricchi, come muterà Concerto con Leucò, per adattarsi alla fase ultima pandemica, prima di un vaccino miracoloso?
Di certo, non possiamo riprenderlo così com’era perché basato sul contatto molto stretto dei corpi, dei movimenti… Bisognerà rivedere alcune scelte… Aspettando il miracolo, di sicuro, avremo un anticorpo immunizzante… citando Pavese: «Sorridere è vivere come un’onda o una foglia, accettando la sorte. È morire a una forma e rinascere a un’altra».
© Giuseppe Tumminello
*** Questa intervista è la trascrizione aggiornata e integrata della videointervista linkata sotto, che era stata registrata prima della chiusura forzata dei teatri, cinema, musei, scuole ecc. – in ottemperanza al D.P.C.M. del 4 marzo – per il contenimento del contagio da virus COVID-19. Per la situazione allarmante e sconfortante, si era deciso di posticipare le pubblicazioni in altro momento più opportuno. Visto il continuo prolungamento delle misure restrittive per arginare il coronavirus, alla fine, abbiamo deciso di postarle, nella speranza che tutto ritorni al più presto alla “normalita” e che, nel frattempo, l’illusione della funzione consolatrice e terapeutica dell’Arte possa aiutarci a esorcizzare questo orribile flagello che ha colpito l’umanità intera. n.d.r.
CONCERTO CON LEUCÒ
Ibridazione tra teatro e installazione video-sonora
Progetto ideato e realizzato da Agnese Ricchi
da Dialoghi con Leucò di Cesare Pavese
Con
Agnese Ricchi nei ruoli di Circe, Britomarti e Leucotea
Cristina Golotta nei ruoli di Leucotea, Saffo e Ariadne
Video Agnese Ricchi
Suono Agnese Ricchi
Costumi Gino Zampaglioni
Tecnico luci e video Claudio Milana
Tecnico del suono Stefano Silvia
Assistente al montaggio audio-video Giacomo Scarpini
Foto di scena Samanta Sollima
Produzione Ganesh Produzioni
Ufficio stampa Carla Fabi e Roberta Savona
Vista dal 13 al 15 dicembre 2019, ore 18.00
MACRO ASILO – MUSEO D’ARTE CONTEMPORANEA ROMA
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