Arte
Sulla mostra “Inizio fine. Rotondo. Tutte le cose del mondo” di Chiara Camoni
Da poco terminata all’Hangar Bicocca la personale milanese “Chiamare a raduno. Sorelle. Falene e fiammelle. Ossa di leonesse, pietre e serpentesse” per la cura di Lucia Aspesi e Fiammetta Griccioli, é possibile visitare fino al 20 ottobre un’altra personale di Chiara Camoni, stavolta a Spoleto, Palazzo Collicola.
Attentamente curata da Saverio Verini che dei Civici musei spoletini é direttore, “Inizio fine. Rotondo. Tutte le cose del mondo” é una mostra messa in opera attraverso una strategia interstiziale di sorellanza che si insinua negli spazi storici del piano nobile, interrogandone le presenze, gli arredi, i quadri, i pavimenti, le decorazioni.
Si accede al Salone d’onore per incontrare i delicati paraventi di seta Senza titolo (2024); montati su esili tubolari quadri di ottone, lì stanno anche per lasciar percepire come in filigrana la sensazione di materiali vegetali fiori e fogliame che Camoni ha raccolto in loco – in larga parte al Bosco Sacro di Monteluco – per restituirli e renderli a suo modo urbani proprio a Palazzo Collicola.
Comincia intanto a lato, a terra, Sister (Serpentessa, 2024) segno materico che svelerà, articolandosi per circa 150 metri di materiali i più vari – dai rami, alla terracotta, ai disegni, alle piume e alle penne, alla corda etc. – l’intero percorso di mostra accompagnando visitatrici e visitatori attraverso un processo di trasformazione e di timide sorprese, fino alla conclusione straniante ma per nulla strana:
Restandosene acquattata sul pavimento Sister (Serpentessa, 2024) rappresenta in modo discreto la narrativa dell’intero lavoro, una orizzontalità continua che solo in ultimo cresce in altezza per rivelarsi animalesca anima d’animale d’invenzione.
Per l’italico stanco mondo delle mostre e degli allestimenti si tratta di una lezione sottile e preziosa perché permette, mai ricorrendo alla forza, di connettere le opere ed i microinterventi che diversamente resterebbero a loro modo e mondo invisibili o perduti – date le moltissime informazioni visive che l’esposizione permanente offre di suo, in quanto locus.
Così Sister (Serpentessa, 2024) vien da paragonarla, con tutte le implicazioni e le infedeltà di genere che ciò comporta, ad un’opera non realizzata di Massimo Bartolini, che una dozzina di anni fa, invitato ad intervenire nel noto edificio modernista romano del Corviale – forse l’ambiente più lontano possibile dallo storico palazzo nobiliare spoletino – progettava un purissimo corrimano continuo lungo circa 1 chilometro. Concettualmente queste continuità entrambe insegnano ed ispirano, ovvero nel caso di Chiara Camoni Sister (Serpentessa, 2024) spiega con garbo e gentilezza, unendo i 22 (ventidue) lavori puntuali, puntiformi ed in qualche caso anche appuntiti che costruiscono la mostra – come pure inevitabilmente “tutte le mostre del mondo”, per parafrasare la stessa artista.
Visualizzata ovvero ideogrammata in forma di mappa, questa esposizione spoletina diverrebbe piuttosto un sistema di punti connessi da una unica linea fluida che incanta la vista e rivendica il tatto, invece di restare nascosta dietro l’algido e protocollare “non toccare” museale – a sua volta perversa eredità d’Occidente che talvolta umilia in un sol colpo le opere tutt’insieme con le fruitrici ed i fruitori.
NB: Chiara Camoni é anche una tra le rare artiste ad aver realizzato il manifesto del Festival di Spoleto – quest’anno alla 67ma edizione, per la direzione di Monique Veaute. L’opera prescelta si intitola Burning Sister:
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