Arte
Sounding out the Watershed: attraversare i paesaggi sonori del Fortore
Quando sono stato invitato a partecipare alla residenza artistica nell’ambito di Liminaria 2015 – #unmappingtime, non sapevo bene cosa aspettarmi dal trascorrere qualche giorno nel Fortore. Quella che mi era stata raccontata come un’area remota dell’entroterra campano, faticavo persino ad individuarla sulle mappe geografiche, mosso da quella curiosità impulsiva cui le cartografie di Google danno quasi sempre rapida soddisfazione.
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Ma si sa, scoprire un luogo significa prima di tutto capire come ci si approccia ad esso e mai, come in questo caso, il viaggio in treno da Venezia a Benevento, fino a raggiungere l’arroccato borgo di San Marco dei Cavoti, regala al visitatore curioso l’occasione di costruirsi una mappa mentale del sito, proprio grazie all’avventuroso e lento avvicinarsi alla meta.
Il Fortore, fortunatamente lontano da certi terribili stereotipi sull’uso scellerato della campagna dell’entroterra Campano, è al contrario un paesaggio della ruralità scampato alle logiche capitalistiche di sfruttamento del territorio in virtù sia della lontananza dalle grandi arterie di traffico interregionale, che per la peculiarità morfologia dei siti su cui insiste. Giunti a destinazione, basta volgere uno sguardo sommario intorno per rendersi conto che la piccola comunità di San Marco dei Cavoti è spalleggiata dall’Appennino Campano. Nello specifico dal Monte San Marco (1007 metri s.l.m.), sul cui valico troneggiano quegli oggetti apparentemente alieni rappresentati dagli alti fusti delle pale eoliche, sinistre guardie che si ergono sul filo di cresta.
LA RESIDENZA ARTISTICA
L’approccio che ho adottato per questa residenza artistica deriva in parte dai miei studi in urbanistica e pianificazione del territorio, con riferimento specifico ad un’idea presa in prestito alla teoria della Landscape Ecology e che sto ancora esplorando. Secondo tale teoria, il paesaggio può essere considerato composto da unità minime strutturali dette “patch”, aventi precise caratteristiche. Le patch, venendo a contatto tra loro, generano gli “ecotoni“. Gli ecotoni sono considerati zone di confine dove si mescolano elementi (animali e vegetali) propri delle diverse patches originarie. Un ecotone diviene così una nuova unità che fa sintesi delle caratteristiche principale delle singole parti. La proprietà più importante di cui gode un ecotone è che al suo interno si verifica un aumento nel numero di specie e nella densità delle popolazioni di individui, rispetto alle singole patch di cui esso stesso diventa area di transizione: questa ricchezza è detta “edge effect“. Provando a portare queste considerazioni al campo acustico, se riteniamo che allo stesso modo il paesaggio sonoro possa essere suddiviso in unità minime, il contatto tra queste darà vita ad aree di transizione che saranno più ricche di suoni delle singole parti da cui il suono viene originato.
Grazie anche all’ausilio della cartografia tecnica prodotta dalla Comunità Montana del Fortore, la mia ricerca si è concentrata sull’area a cavallo dei comuni di San Marco dei Cavoti e Baselice, in particolare sul Monte San Marco, da un lato identifico come ideale area ecotonale, dall’altra, sotto un altro profilo, ideale spartiacque tra i mari Adriatico e Tirreno. Nel mio errare alla ricerca di suoni, sono stato accompagnato oltre che da mia moglie Rachele, che mi ha dato un prezioso supporto nella gestione della strumentazione tecnica, dallo staff di Liminaria, in particolare da Giuseppe, Eva, Mariagrazia e Raffaele, che ringrazio sentitamente, nonchè da Michele Caserio, originale guida locale incontrata “strada facendo”, fonte inesauribile di aneddoti e portatore di una precisa conoscenza del territorio. Ho avuto quindi l’opportunità di raccogliere molto materiale sonoro, che poi ho presentato in forma di soundscape composition durante la serata conclusiva del festival, presso il Museo degli Orologi da Torre a San Marco dei Cavoti.
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Fermo restando che il paesaggio sonoro della nostre realtà geografiche va via via perdendo la sua tradizionale “topofonia” (sinonimo dell’impronta sonora di Schafer), ciò che mi aspettavo, e forse segretamente speravo, era di scovare quegli elementi di crisi dati dalla promiscuità degli usi contrastanti del territorio cui siamo abituati ad esempio noi veneti, che viviamo in un territorio in cui la dispersione insediativa e la pesante infrastutturazione hanno ridotto a brandelli la pianura e la collina. Scopro invece che il Fortore, grazie all’isolamento geografico di cui è rimasto prigioniero, presenta un paesaggio che in larga parte è rimasto illeso. Ancora oggi connotato da spiccati caratteri naturalistici (i querceti e i faggeti periurbani, l’alveo del fiume Fortore ad esempio), combinati ad un’antropizzazione “gentile” della campagna.
Mi riferisco alle pratiche di uso agricolo dei declivi intorno ai piccoli centri abitati, i cui campi sono misurati per tutta la durata del giorno (è giugno) dai ripetitivi e irregolari percorsi dei trattori e altri mezzi meccanici di piccolo calibro. Dove capita di imbattersi nello stonato scampanìo delle greggi al pascolo e ovunque essere circondati dallo stormire delle spighe di grano agitate dal vento, sempre presente. E a proposito di vento, uno dei suggerimenti non può essere che quello di posare l’orecchio sugli alti piloni delle turbine eoliche, le cui pale rotanti fendono l’aria come cadenzati colpi di smisurate spade.
CONNOTARE IL PAESAGGIO SONORO
Tutto questo, secondo me, contribuisce a connotare il paesaggio sonoro del Fortore, nel qui ed ora dell’esperienza cui siamo stati condotti per mano dai fautori di Liminaria. In quell’impreciso tentativo di esplorare gli attributi sonori di un luogo, dove l’unica vera bussola è alla fine la curiosità di scoprire l’origine dei fenomeni acustici dell’ambiente che ci circonda.
E dunque? Alla ricerca delle aree a margine del Fortore, con gli occhi dello straniero, sono giunto a comprendere la semplice, ovvia, verità che il Fortore, nel suo insieme, è un grande territorio di confine, composto dalle tessere di un mosaico che mantiene una forte integrità, la cui topofonia è la prova provata di un paesaggio sonoro che resiste agli assalti delle trasformazioni del contemporaneo.
Eccetto che per la presenza enigmatica di quelle pale eoliche, elefantiache strutture tecnologiche che solo in futuro saremo in grado di giudicare per l’avvenuta, o al contrario mancata, contestualizzazione al sito. Ma anche questo contribuisce ad identificare il genius loci, lo spirito del luogo dove azioni della natura e azioni umane qui producono uno dei possibili paesaggi della ruralità contemporanea.
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Enrico Coniglio – chitarrista ed artista sonoro, con interesse specifico nell’estetica dei paesaggi
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