Arte
Sognare significa sopravvivere. Rileggendo “L’Incal” di Jodorowsky e Moebius
L’Incal è una delle grandi opere della storia del fumetto. Un imponente romanzo grafico imbevuto nella fantascienza, nel misticismo e nell’esoterismo. Un lavoro multiforme, complesso e dai meccanismi narrativi estremamente fluidi. Un’epopea all’interno della quale è facile perdersi per non ritrovarsi mai più.
Personalmente credo che leggendo il capolavoro di Jodorowsky e Moebius una delle tematiche che risaltano maggiormente sia senza dubbio quella del doppio. Il “poliartista” cileno d’altronde sosteneva che il rebis – la cosa doppia – fosse parte di noi, risiedesse nel nostro animo.
Ne L’Incal è evidente che l’alchimia del doppio sia onnipresente e lampante. Lo è fin dalla ripartizione dei titoli dei volumi di cui è composto: L’Incal nero e L’Incal luce, Ciò che è in alto e Ciò che è in basso e le due parti nelle quali è suddiviso l’ultimo intitolato La quintessenza. Ma il doppio ha anche a che fare con lo sdoppiamento: quello che spesso subiscono i personaggi e quello che affligge il protagonista John Difool che è un’entità umana, ma è controllato dall’Incal quindi instabile nella sua struttura fisica ed emotiva e dunque anche egli dipartito.
Anche i mondi rappresentati all’interno de L’Incal sono doppi o perlomeno hanno una superficie che fa sempre presagire che ci sia qualcosa che va al di là di essa. Il contrasto che si manifesta in ogni dove è quello evidente tra il sogno e la realtà, dicotomia sicuramente comune in racconti di questi tipo, ma che l’astuzia e l’infinità di riferimenti evocati da Jodo e Moebius rendono particolarmente accattivante. E tutto ciò si palesa in questo modo anche perché alle volte si ha la sensazione che si tenda a voler celare un mistero, a voler nascondere qualcosa che è effettivamente insondabile.
Come sostiene infatti lo stesso Jodorowsky: “Un mistero è qualcosa che rimane incomprensibile per l’intelletto. E l’universo de L’Incal non è comprensibile per l’intelletto. Come mai? Perché quest’ultimo non smette mai di discriminare. Separa ciò che è piccolo da ciò che è grande, ciò che è bello da ciò che è brutto… Ma l’universo è un assoluto, le discriminazioni non hanno senso!”. Con questo ragionamento si accetta il fatto che ciò che è doppio sia anche in qualche modo naturalmente incomprensibile nell’istante in cui non si abbia la possibilità di conoscere il contesto dentro al quale esso si manifesta.
Una visione in un certo senso olistica che sta effettivamente alla base del racconto nell’interezza del suo sviluppo. Ed è effettivamente la vera forza del messaggio comunicato da L’Incal: è il flusso ciò che conta, la corrente che trasporta verso spazi simbolici ulteriori, che si trasfigurano e si rendono, nell’accumularsi continuo dei propri dettagli, astratti.
È un viaggio L’Incal, che racchiude al suo interno anche il continuo moltiplicarsi delle esistenze per mezzo di ciò che ci ha preceduto e ciò che ci succederà. In questo senso la creazione è un altro tema centrale: i padri e le madri generano figli che a loro volta generano ulteriormente la vita. Una corrente continua e aleatoria che si configura perfettamente anche attraverso il processo creativo dell’improvvisazione.
Moebius e Jodorowsky infatti interagivano in modo serrato, ma mai preconfezionato, influenzandosi a vicenda nel proseguo della realizzazione dell’opera. Anche la rapidità con la quale il disegnatore realizzava le sue tavole (una al giorno) condizionava senza dubbio la struttura del lavoro complessivo. Con il susseguirsi dei capitoli infatti, si ha la sensazione che ciò che era all’inizio del racconto, non sia più; ciò che la forma conteneva non è più presente, mutato nello scorrere delle pagine tanto quanto lo è la forma stessa.
Nel catalogo della mostra Moebius Transe Forme, il fumettista francese specificava: “Tutti noi ci trasformiamo di continuo, solitamente in risposta a stimoli di diversa natura, visibili o invisibili, interni o esterni, ma che ci spingono verso un moto vitale, un cambiamento fisico o psichico. Per me la metamorfosi plastica che permea i miei disegni non è un feticcio o una trovata grafica, bensì la metafora di quanto avviene costantemente nel nostro intimo”. In qualche modo il viaggio de L’Incal vuole riallacciarsi a questo discorso: è il cambiamento, il mutare delle strutture che sono sempre le stesse ma sono nuove ogni volta che si procede e ci si sposta nello spazio e nel tempo.
È il ciclico e l’infinito strutturarsi del sogno, l’Incal, ed è della stessa materia delle piramidi intrecciate materializzate dai protagonisti nel momento in cui devono per forza di cose combattere la tenebra. Il futuro forse è sempre il presente – sembra dirci Jodorowsky – e ricordare è l’unico modo per sondare il passato e dare forza al sogno. E, fondamentale, “sognare significa sopravvivere”. Un messaggio che resta, soprattutto in questi tempi che si preannunciano difficili e duri da affrontare.
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