Arte

Sgarbi: Maradona come Caravaggio, geni nel loro contesto

29 Novembre 2020

Sgarbi, con una sontuosa e fascinosa provocazione culturale, ha paragonato il genio di Maradona a quello di Caravaggio. Ha colpito nel segno.

Su Caravaggio il critico e storico d’arte ferrarese ha scritto un libro nel quale ha tratteggiato come si sia compiuta con Lui la rivoluzione nell’arte pittorica -che lo ha reso a suo dire “ impareggiabile “-e descritta anche la scandalosa vita sino all’abiezione:  “Il punto di vista del cavallo”, Bompiani editore.

Il quotidiano comunista “Il Manifesto”, il giorno successivo alla morte di Diego Armando Maradona, ha aperto con un titolo regale in lingua partenopea: “Tu sì na’ cosa grande”.

Il pibe de oro, il sinistro di Dio non era sopportato a Barcellona. Ha voluto Napoli, una città di mare che ha molti tratti similari a Buenos Aires: quartieri popolari, di povera gente, che vive di stenti ed ai limiti della sopravvivenza. Diego è nato in una delle favelas poverissime della capitale argentina e Dio gli ha dato il dono di toccare con grazia “la pelota” che ha cambiato la sua vita e lo ha reso famoso in tutto il mondo, anche come rappresentante delle istanze degli ultimi. Era amico di Fidel Castro ed adorava Che Guevara.

Sgarbi ci ricorda il genio di Caravaggio: riproduceva nelle sue tele la realtà che vedeva come se fosse una fotografia: la fotografia è nata nel 1839-40, ma Caravaggio la prefigura già nel 1601, rifiutando di rappresentare la realtà quale dovrebbe essere, come proiezione di sentimenti, di un Bene e di un Male intesi come valori simbolici.

Caravaggio osserva e riproduce la realtà esattamente com’è, una fotografia non nell’accezione di ritratto posato, ma alla ricerca di una realtà che ci coglie come di sorpresa, dell’“attimo decisivo” cui fa riferimento un grande fotografo come Henri Cartier-Bresson: fotografia come attesa e cattura del momento in cui la realtà si sta determinando. Con lui, per la prima volta, il valore dell’arte consiste non più nel rispettare la nobiltà e il decoro del contenuto bensì nella capacità tecnica e intellettuale di riprodurre le cose per quello che sono. La realtà non è più qualcosa da abbellire, da migliorare, da superare, poiché volgare nella sua apparenza: diventa piuttosto l’unico punto di riferimento possibile per l’artista, anche sul piano morale. L’artista deve tendere a far vedere le cose come stanno, a mostrarle nella loro verità, senza finzioni. Perciò Caravaggio sceglie provocatoriamente i suoi soggetti, sapendo bene di mettere in crisi non solo i valori tradizionali dell’arte, ma anche quelli della morale e della religione. Dipinge pezzenti come quelli che si potevano trovare nelle strade della Roma del suo tempo e li trasforma in santi; converte prostitute in madonne, ragazzini di facili costumi in personaggi biblici o mitologici, senza alcun abbellimento, con la loro fisicità schietta, chiassosa, maleodorante, in un modo straordinariamente realistico, lavorando dal vero senza disegni preparatori, riproducendo la luce e l’ombra come nessun artista aveva mai fatto prima.

Così Maradona viene in Europa e non si inserisce in schemi calcistici  prestabiliti, non ha un ruolo definito, gioca in mezzo al campo baciato da Dio, come un solista capace di risolvere la partita con una giocata magica, con una punizione imparabile che sconvolge anche le leggi della geometria.

Maradona si allenava poco, e diranno sia Bianchi che Bigon, suoi allenatori, che pur non correndo molto, nascondeva la palla, se la incollava al piede e cadendo si rialzava come se nulla fosse accaduto. Ma era capace di penetrare le difese avversarie, di fare passaggi smarcanti tali da consentire alle punte, centravanti come Careca  e Giordano, di spingere solamente la palla in rete.

Caravaggio, dice Sgarbi, può essere paragonato alla doppiezza di Pier Paolo Pasolini, grande poeta, ma di notte frequentatore di quartieri oscuri ove si dispiegava la sua omosessualità.

Caravaggio ha visto la prigione, ha ucciso, frequentato prostitute ed ha riportato nella sua arte pittorica queste semenze, invenzioni, rivoluzionando le tradizionali tenute delle tele di un Tiziano, di un Raffaello, di un Michelangelo. I popolani dei suoi dipinti rappresentano la lotta di classe, il quarto stato, il popolo alla conquista della storia. Egli riscatta nell’arte i più umili perché è convinto che il regno dei cieli appartenga a loro, come dice il Vangelo, non alle alte gerarchie ecclesiastiche o alle corti nobiliari, che si scandalizzano nel vedere i più umili assurti a protagonisti della storia.

Maradona gioca con il Napoli, si batte per i ragazzi di Forcella, dei vicoli bui, dei vasci che non vedono la luce del sole. Ma in campo è regale, magnifico.

Come Caravaggio che è in grado di guardare in faccia la malattia, la morte e rappresentare il mondo senza una morale, Maradona, come dice il filosofo Biagio De Giovanni, vive in modo dissoluto, con droga ed alcool, con frequentazioni camorristiche, conosce il vituperio e l’abiezione e si acquieta in un cupio dissolvi per accorciare la sua esistenza.

Caravaggio è il pittore dei piedi fangosi, scrive magnificamente Sgarbi.  I famosi piedi sporchi di Caravaggio: i “piedi fangosi”  che descrivono la povertà cruda della miseria. Per Caravaggio, gli eroi sono gli umili, in una prospettiva che non vuole conoscere i turbamenti delle anime belle, che è il rifiuto dell’arte come evasione, che è presa diretta sulla realtà. Quella stessa realtà che, se da un lato pervade la sua arte portandola alla più alta espressività, dall’altro precipita la sua vita in tragedia. Il Caravaggio dei primi anni romani è ancora quello descritto dal Mander come sorta di genio attaccabrighe: “Egli è un misto di grano e di pula; infatti non si consacra di continuo all’ozio, ma quando ha lavorato un paio di settimane, se ne va a spasso per un mese o due con lo spadone al fianco e un servo dietro, e gira da un gioco di palla all’altro, molto incline a duellare e a far baruffe, cosicché è raro che lo si possa frequentare”. Genio e sregolatezza, come Diego.

Ecco. Ma Caravaggio è eterno e lo ricordiamo per l’assoluta grandezza della sua arte, come Maradona che, con dodici tocchi di palla a Città del Messico, andò da solo in porta scartando tutto il centrocampo e la difesa dell’Inghilterra, vendicando anche le Falkland.

Il genio, ricorda Sciascia, è solo nel suo contesto.

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