Arte
Sgarbi e la “bella amata” di Canova
Canova non meritava un giudizio negativo della sua arte come lo conferì Roberto Longhi, noto critico.
Per Longhi infatti Canova era “uno scultore nato morto”, autore di “svarioni cimiteriali”.
Lo ricorda Sgarbi nel suo ultimo libro ”Canova e la bella amata”, edizione La Nave di Teseo.
Contrariamente a Longhi, Sgarbi ( come altri critici tra i quali Giulio Carlo Argan , che ne diede un giudizio lusinghiero) riconosce il genio dello scultore di Possagno che è capace “di far vibrare la materia”, effettivamente un “nuovo Fidia”, un “sontuoso artigiano”.
Ecco allora che si può dire nel bicentenario della sua morte,1822-2022, che “Canova sia stato salvato” dalla feroce stroncatura del Longhi.
Ammette Sgarbi che Canova con la sua arte rappresenta l’esaltazione classica della figura umana come centro del mondo, recupero non solo della statuaria antica, ma anche dei valori espressi nell’arte rinascimentale.
Nella sua scultura, asserisce Sgarbi, c’è l’armonia del corpo umano, soprattutto quello delle donne: si pensi alla Paolina Bonaparte come Venere Vincitrice, esposta alla Galleria Borghese di Roma.
È così perfetta che la sua prorompente bellezza, la si può vedere anche di spalle
“Forse nessuna scultura-scrive Sgarbi-come quella di Canova è fatta per essere vista a 360 gradi. Bisogna girare attorno alle statue, notare i loro diversi equilibri, cogliere le impalpabili suture attraverso le quali giungono a bilanciarsi; capiremmo poco di “Amore e Psiche” e delle “Tre Grazie”, se così non giudicassimo”.
Si ricorda nel libro di quanto il Canova fosse apprezzato da Napoleone Bonaparte e di come lo avrebbe voluto direttore del museo di Parigi, ove erano conservate tutte le opere che furono da lui trafugate dall’ Italia.
Ma Canova amava l’Italia, la libertà, Roma.
Sarà proprio Sgarbi, nel suo perenne girovagare nel 2017 a Cremona su insistenza di una signora che voleva che giudicasse i suoi quadri, in una soffitta abbandonata a trovare una straordinaria scultura appartenente al Canova: “la Bella Amata”.
Ci rammenta Sgarbi che Canova era attratto da bellissime donne, in particolare Minette Armendariz, il cui marito barone, nel constare l’immediata affinità che lei nutriva per lo scultore, volle lo scioglimento del matrimonio. Ma anche Juliette, Delphine.
Con Canova si raggiunge l’apogeo della ricerca della congiunzione tra l’ideale ed il naturale: per esempio nelle teste delle “Tre Grazie”, scultura che ispirò anche il Foscolo, la bellezza si ferma in un punto di perfezione assoluta, in un istante impalpabile ove si compie, senza che possa mai sfiorire.
Le sembianze di queste opere allora hanno, una spiritualità, una divinità, un’eternità per la classicità che rappresentano.
Le tre bellissime sacerdotesse, raffigurano la poesia, la musica e la danza e si fanno portatrici dell’armonia universale: una suona soavemente l’arpa, l’altra porta in dono un favo – simbolo della dolcezza della poesia – e l’altra danza con grazia ed eleganza, prefigurando un mondo di serenità e di equilibrio.
È un libro scritto con amore da Sgarbi, in un magnifico italiano, con un periodare lussuoso, quanto la bellezza che trasuda dalle statue del Canova.
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