Arte
Qui si recita a domicilio: Antonio Rezza torna su Rai3
La tegola e il caso, nuova incursione su Rai3 per Antonio Rezza. Perfomer, scrittore e cineasta, dal 4 giugno in onda con frammenti dal suo repertorio teatrale dalle case di italiani (in)verosimilmente ignari. O ignavi, pronti al contrappasso dell’azione; cavie di scena temporanee soggette al dolce comando del taumaturgo quale è – nei suoi scimpanzé d’autore, nei Gidio e Luciana transgender – quest’uomo-piteco, futurista postmoderno. Daje Antonio, simo noi!
La produzione televisiva entra nelle stanze con costumi, microfoni e telecamera. Il teatro scompare, l’habitat si restringe ad un tinello; nei salotti italiani con credenza, centrini e sofà, la tv s’insedia ed esce diffusa in altre case. Il format ideato dal sodalizio Rezzamastrella è “galoppato” dal performer affiancato dal fido puledro Ivan Bellavista. Dopo una sigla meTroppolitana newyorkese-acida a cavallo delle 20.30, la sagoma di Rezza si aggira tra condomini e vie residenziali seguita dalla troupe; suona un campanello, si presenta bonariamente, e quando gli è concesso entra, mostrandoci qualcosa accaduto qualche tempo prima. Dai calendari appesi ai muri si evince (ovviamente) la “differita”. In questo caso la diretta avrebbe aggiunto qualche brivido in più, vista la sua impossibilità. L’effetto-finzione tuttavia svapora davanti al fattore umano, mai tendenzioso, sobrio, nonostante le riprese in corso. Una scena ridotta tra due stipiti di una porta, il bagno che fa da camerino e parte un frammento domestico dal repertorio: momenti di Pitecus, di Anelante o di 7-14-21-28 impreziositi dal poco spazio, davanti a chi si trova in casa, spettatori unici, a un palmo dalle sforbiciate dell’artista, a un soffio dal suo fiato. Poi gli ospiti, senza aspirazione o dote alcuna, entrano a loro volta in scena, chi stando fermo, chi manipolato in un abbandono assistito dalle leve articolari di Rezza. Con la voce li induce a fare, li vivacizza, incoraggia alla disfatta. Nonostante il fallimento interpretativo, alla fine tutti si sorridono e il commiato è di onesta cordialità.
E’ un Rezza insolito quello de La Tegola, meno aggressivo, quasi dolce, per quanto assertivo; incline all’ascolto di lagne e confidenze discutibili (lui affetto da logorrea molesta). Porge all’ospite l’altra guancia, quella che sorride (la prima digrigna i denti); si mostra capace di un’accoglienza che s’arrischia nella ricerca di un sulfureo (ri)sentimento popolare; lo sollecita e con i presenti, lo metabolizza. Quando c’è da tagliare, con netta eleganza se ne va, senza serbare rancore (citiamo sue parole).
Oltre alle performance gradite anche in quanto sgradevoli, quello che colpisce è il coinvolgimento di persone anziane, per lo più donne sole o vedove, con le quali Rezza empatizza nel giro di pochi secondi. Un contatto fisico-vocale che la prossemica potrebbe collocare tra l’intervistatore sociale (alla stregua di un rilevatore statistico porta-porta) e il viandante-predicatore avvezzo ad umanità isolate. Elasticamente si piega, si allunga, si accorcia e si riduce foneticamente e fisicamente in relazione allo spazio e all’interlocutore.
Lancia tegole al cuore questo breve (in tutti i sensi, perché terminerà il 15 giugno e dura una manciata di minuti) programma che promuovendo il lavoro della coppia Rezzamastrella, inneggia alla vitalità, al il rischio di diventare vivi, anche solo temporaneamente.
Sono dialoghi fratturati e artritici, che rifioriscono con dono d’improvvisazione, senza forzature. Una tv che riproduce momenti di teatro istantaneo rimontati per ottimizzare il poco tempo, mescolando ambiente domestico e spazio scenico. Dove Rezza si fa anche conduttore, domanda e incontra il silenzio della riflessione muta. Lo riduce, lo va a colmare di micro-movimenti facciali; con l’eloquio del suo mento occhiuto soccorre l’ospite, lo riconduce alla parola mozzata dal proprio riserbo, riconsegnandolo alla vanità del dire. Di un volto devastato come il suo ci si fida, come di una voce che sa modularsi all’ascolto, ridursi a un’accoglienza insolita, che spiazza i tanti abituati alle “voci di condominio” o di strada.
La gentilezza spettinata di questo format trova nei reietti deformi di Rezza il primo contraltare. Lui conduce soavemente, i suoi reitetti brutalizzano, scimmiottano, e questa alternanza produce effetti catartici.
Non è nuovo in assoluto ma nemmeno troppo indagato questo elemento della casa-teatro; l’ingresso tecnico-scenico dentro il simbolo dell’Io, l’allestimento al suo interno di una scena che accolga l’ospite di turno. Tutto questo – nel correre di quindici minuti – fa de La Tegola un teorema che dimostra quanto la velocità di azione e il limite al pensiero annientino le paure, quanto aprirsi all’ignoto (anche artificialmente dato e con rischi di varia natura) faccia bene. Antonio Rezza riconferma in questa prova televisiva la sua immolazione al fantastico, al cubismo linguistico; la sua aurea ieratica, di predicatore folle, alla maniera di un Savonarola incombusto, di un Piteco inintelligibile, misterico, che tuttavia penetra l’umano, ne riscatta la fiducia.
L’invito è a considerare di questo nuovo programma l’aspetto psicologico e antropologico, prima ancora che d’intrattenimento. Le visite a domicilio de “La Tegola” potrebbero rivelare, nel lungo corso, effetti imprevedibili, molti dei quali certamente sottratti al pubblico, da qui già l’idea di una Tegola-off. Queste incursioni di Rezza potrebbero arrestare la marcia dell’invecchiamento, scatenare una comunità di debuttanti-attori over-65 o portare le pubbliche amministrazioni ad arruolare il performer dentro ospizi, case famiglia, centri geriatrici e di riabilitazione, fino all’ipotesi accademica di un teatro-elisir di giovinezza, terapeutico, psicotropo, indiscusso luogo del sociale.
Ben venga il Leone d’oro alla carriera che attende la coppia a Venezia il prossimo luglio, attestazione pubblica del tempo che lega il suo impegno al teatro, alla gente, da Troppolitani al film Milano Via Padova, dai primi cortometraggi anni ’80 a questa nuova serie tv.
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