Arte

Quello strano che si dà fuoco ai capelli

26 Agosto 2021

Il palcoscenico ha le luci spente. La band ha già preso posto, ma regna un silenzio di tomba, disturbato solo dal ronzio dell’amplificazione. La gente è inquieta, o perché sa, o perché suppone. È l’estate del 1968, ed a Londra si è visto tanto, ma  non ancora tutto, c’è ancora spazio per l’incredibile.

In una vampa, si accende il fuoco, che disegna un volto dipinto di nero. È il cantante, Arthur Brown, che ha sulla testa un elmetto che gocciola petrolio e brucia. Dapprincipio l’elmo, poi le raffazzonate protezioni in cuoio, poi i capelli di Brown che, alla fine della canzone, dopo 3 minuti di atroci dolori, doveva gridare come la Banshee, la fata con gli occhi di pianto della tradizione celtica – e vi assicuro che urlava a squarciagola.

Arthur Brown sul palco con la moglie (1979)

Dopo i primi secondi di sorpresa e di spavento, Arthur alzava le braccia, mostrando un grande abito talare multicolore, e rutilava nel microfono: I am the guardian of the hellfire (sono il guardiano delle fiamme dell’inferno) and I bring you FIRE. Da lì 3 minuti di rock psichedelico assolutamente unico al mondo (basato sull’organo Hammond, e non sulle chitarre), con una melodia bella e aggressiva, che in pochi giorni arriva al numero 1 in Inghilterra e poi in tutto il mondo, Italia compresa.

Arthur ha già 26 anni, ed una lunga esperienza alle spalle. Dopo l’università a Leeds ed a Londra, e la partecipazione a diverse band di blues bianco dell’epoca (non gli è mai piaciuta la musica beat) nel 1965 si trasferisce a Parigi dove lavora come tecnico teatrale e cinematografico per Roger Vadim, aiutandolo anche nelle colonne sonore. A Londra è tornato nella primavera del 1967 perché gli hanno offerto un contratto succulento in un coro, The Foundations, che negli anni successivi avrà una ventina di hits internazionali.

Arthur Brown, il Prete (The Priest” nell’opera rock “Tommy” degli Who (1975)

Brown resiste solo per un mese, poi si scoccia, e chiama Vincent Crane, il tastierista con cui ha lavorato all’inizio della carriera londinese. Crane è l’unico che suona l’organo blues a Londra, ed ha suonato (non a caso) con Graham Bond. Arthur gli propone uno spettacolo metà circo metà musicale, ed i due mettono insieme lo show e la band, che hanno lo stesso nome, The Crazy World of Arthur Brown – un successo travolgente, specie grazie alla scena di Brown e ad un giovane batterista, Carl Palmer, che davvero non aveva uguali – e che diventerà famoso insieme a Keith Emerson e Greg Lake.

Con il successo londinese in tasca, la Polydor organizza un grande tour in America, ma va tutto male. Crane viene ricoverato per schizofrenia dopo una sola settimana, e viene sostituito da pianisti locali che non hanno il suo drive. Poi, non appena arrivati alla California, Arthur incontra una ragazza hippie e scompare in una comune per sei mesi. Quando torna, non solo il tour è stato cancellato, ma la band ha perso il contratto, la Polydor si è tenuta i soldi, e Palmer si è trovato una nuova band, gli Atomic Rooster, portandosi appresso Vincent Crane dopo un anno di manicomio.

Arthur Brown e Jimi Hendrix (1970)

Brown continua con musicisti occasionali, ma il numero con la maschera in fiamme non va più, e lui ha la testa piena di cicatrici. Così, per sconvolgere il pubblico, delira, oppure, come in un Festival a Palermo, nell’estate del 1970, si spoglia nudo e lo arrestano. È il primo musicista ad adoperare una batteria elettronica ed a scrivere un concept album, sotto il nome di Kingdom Come, che racconta di un’umanità che sopravvive negli zoo delle multinazionali, che hanno venduto la terra agli alieni. Negli anni successivi le sue immagini apocalittiche peggioreranno, finché non incontra Kathy, sua moglie, che danza durante i suoi spettacoli, ed ancora gli è vicina.

I due sono alla costante ricerca di lavoro. Nel 1975 ha impersonato il Prete nell’opera rock “Tommy” degli Who. Nel 1979, ad esempio, per una stagione ha lavorato come direttore d’orchestra al teatro dell’Opera del Burundi, e la sua orchestra suonava solo brani di Jimi Hendrix. Finché, negli anni 80, si è stufato, si è trasferito ad Austin, nel Texas, ed ha preso un diploma come psicoterapeuta – un lavoro che alternava a quello di carpentiere insieme a Jimmy Carl Black, il vecchio batterista di Frank Zappa. E lo trovate ancora lì, irriconoscibile, oramai in pensione, anche se ogni tanto qualche grande artista lo chiama per farlo cantare in coro nei loro dischi.

Arthur Brown e sua moglie oggi, nella loro casa di Austin (Texas)

Dei tempi che furono racconta: “Mi piaceva l’idea della testa avvolta nelle fiamme, anche se faceva un male terribile. Ma negli anni 60 tutto era terribile, non c’era nulla che fosse privo di atroci dolori, fisici o spirituali, di esagerazioni puerili, di migliaia che volevano emergere e non ce la facevano. Io almeno ho avuto una grande canzone e l’amicizia di Jimi e di altri eroi del rock. Ma ti assicuro che oggi, quando guardo dalla finestra i miei nipotini e fingo di parlare con il mio cavallo, che mi ascolta ancora meno di mia moglie, la gioia di vivere mi sgomenta. Quella della beat generation non era gioia di vivere, era solo commercio. Altri davano il culo o addirittura la vita, io soltanto i capelli”.

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