Arte

Perché scrivere a mano nell’era digitale

13 Novembre 2016

Un convegno internazionale a Milano lancia l’allarme sul futuro della comunicazione: se la diffusione dei device elettronici farà sparire definitivamente carta e penna, metteremo a rischio il nostro modo di percepire la realtà e di relazionarci col mondo

Occuparsi di comunicazione significa intrattenere una stretta relazione non solo col significato, ma anche con i diversi significanti. Immagini, suoni e, ovviamente, anche testi scritti.

E’ tipico di chi lavora nella grafica sviluppare un particolare interesse nei confronti del lettering e, ad esempio, sorprendersi a guardare le vetrine non tanto per la merce che espongono, ma per riconoscere le diverse font utilizzate nei marchi e nelle insegne dei negozi. Loghi e brand, tema di fondamentale importanza nel marketing, debbono molto del loro successo al tipo di caratteri di utilizzano, sebbene negli ultimi anni si veda affermare un trend che predilige simboli aziendali “muti”, ovvero senza il nome dell’azienda, ma solo con un’immagine. L’esempio più evidente è quello di Nike, che ormai si fa rappresentare solo dal suo famoso “swoosh”, ma la casistica ha declinazioni quotidiane, che riguardano tutti e ovviamente anche la comunicazione politica.

Una caratteristica tipica delle campagne di affissioni di Berlusconi è stato l’uso tambureggiante della font Impact, che ha caratteristiche di linearità ed un’assenza di fronzoli perfettamente coerenti con il suo tipo di messaggio (e con la sua idea del popolo italiano). Si tratta di scelte comunicative fondamentali, che però possono essere facilmente imitate dai competitor, perché qualunque carattere (anche quelli creati appositamente per un committente) si può riprodurre digitalmente. E’ un effetto collaterale dovuto alla diffusione dei computer, mentre la calligrafia manuale ha la caratteristica di essere unica, in quanto traduce in segni grafici esterni i nostri stati interiori.

C’è però chi ritiene che, in un mondo nel quale siamo connessi h24 con i più disparati device, scrivere a mano sia ormai solo un ricordo del passato. Non quanto la scrittura cuneiforme, ma quasi. Negli USA, ad esempio, non la si insegna praticamente più. I Common Core State Standards (CCSS) sono le linee guida federali destinate a stabilire criteri di omogeneità nella scuola pubblica dei vari Stati americani e prevedono l’obbligo di insegnare la scrittura a mano solo fino al primo anno della scuola primaria. Di conseguenza, in molti Stati si è scelto di abbandonare la scrittura manuale (e in particolare il corsivo), per sostituirlo con lezioni di dattilografia. Chi porta avanti una posizione opposta è l’Associazione Calligrafica Italiana, fondata nel 1991 proprio allo scopo di salvaguardare questo particolare mezzo di comunicazione.

Se ne parlerà diffusamente durante il convegno internazionale “La scrittura a mano ha un futuro?”, organizzato il 25 e 26 novembre all’Archivio di Stato di via Senato, a Milano. L’evento coincide con i 25 anni di attività di un’associazione che intende preservare un’arte le cui basi sono state poste proprio in Italia, durante il Rinascimento. Per quanto sia stata capace di sopravvivere all’avvento delle macchine da scrivere, oggi il dominio di PC e smartphone rischia di farla scomparire, con effetti non trascurabili.

Lo si vede soprattutto nei “nativi digitali”, che in larga parte non riescono sviluppare una calligrafia leggibile o adeguata all’età. Questo però ci spinge a due considerazioni. La prima riguarda il fatto che, nel mondo, soltanto il 40% della popolazione ha accesso alla tecnologia digitale e quindi la scomparsa della scrittura manuale non farebbe altro che accentuare la già enorme forbice tra la parte agiata e quella disagiata del pianeta.

La seconda è che su questo tema un approccio “evoluzionista” sarebbe fuorviante: se consideriamo la digitazione come il sistema del futuro, è evidente che, prima o poi, il suo dominio sarebbe totale. Le due modalità possono invece coesistere e, non casualmente, diverse aziende stanno producendo device che, grazie a penne digitali e touch screen, integrino la scrittura manuale come alternativa alla tastiera e al riconoscimento. Ad esempio, con l’iPhone si possono scrivere sms manualmente.

E c’è anche il caso opposto: Moleskine ha lanciato il Paper Tablet, un’agenda rigorosamente di carta, ma con una penna dotata di microcamera che traduce il segno tracciato con l’inchiostro in scrittura digitale, utilizzabile attraverso un’app. Il fatto che ancora oggi il taccuino caro a Van Gogh, Picasso, Hemingway e Chatwin sia di gran moda, soprattutto tra chi la tecnologia la usa eccome, conferma la bontà di una strategia di marketing che non si è mai posta in competizione contro un avversario potenzialmente inarrivabile.

Fra i temi in discussione nel convegno, ci sarà proprio la possibilità che la calligrafia continui a trovare un suo spazio nell’era digitale, così come la radio ha continuato ad esistere e prosperare anche nell’epoca della televisione. Dieci anni fa, sostenendo l’esame di Stato per diventare giornalista professionista, come molti colleghi mi lamentavo dell’antistorica scelta di costringerci a farlo su obsolete macchine da scrivere (“per” scrivere, secondo i cultori del genere), pesantissime da trasportare fino a Roma e soprattutto difficili da trovare, perché tutti noi da anni usavamo il computer.

Da questo punto di vista, la scelta delle scuole americane potrebbe quindi apparire corretta, ma diversi studiosi ci allertano sul fatto che la perdita della capacità calligrafica comporta anche degli svantaggi per quanto riguarda lo sviluppo cognitivo, la motricità fine, la concentrazione, l’osservazione, la pazienza e la capacità di prevenire eventuali errori, visto che è più difficile correggerli. Come si è detto, poi, il nostro stile di scrittura esprime anche contenuti profondi della nostra psiche, spesso ignoti persino a noi stessi, e non è detto che nel tempo le neuroscienze non ci dimostrino che la deprivazione di questa possibilità espressiva possa cagionarci del danno ulteriore.

Ciò che già ci hanno detto è che l’abolizione definitiva della penna, in favore della tastiera, comporterebbe alterazioni irreversibili di alcuni processi neurosensoriali e forme di percezione. Uno studio specifico ha messo a confronto due gruppi di volontari (adulti) ai quali è stato chiesto di imparare un alfabeto sconosciuto di 20 lettere. Il primo gruppo, che si è esercitato a scriverle a mano, le ha imparate meglio rispetto al secondo, che ha lavorato solo al computer. I soggetti sono stati sottoposti a risonanze magnetiche che hanno rivelato come nel gruppo di chi scriveva in forma digitale l’attivazione dell’area di Broca (la zona del cervello che elabora il linguaggio) fosse spenta o comunque inferiore rispetto a chi usava la penna. E’ inoltre facilmente osservabile lo stretto rapporto che esiste nella scrittura manuale tra il movimento fisico e il segno tracciato: digitando su una tastiera, il movimento è invece sempre lo stesso per ogni lettera, quindi si va più veloce, ma si fanno anche molti più errori, sebbene reversibili. Già nel 2012, un’analoga ricerca negli USA aveva dimostrato l’esistenza di un legame di tra la calligrafia ed una produzione verbale più ricca e qualitativa.

Per questo motivo, bisogna evitare di cascare in una semplificazione che rappresenta come un conflitto tra passato e modernità quella che è una problematica decisamente più complessa. L’Associazione Calligrafica Italiana non è certo una setta di adoratori del vintage, ma al contrario vive nel presente e propone la partecipazione (gratuita) al suo convegno attraverso questa pagina Internet, dove si trova l’elenco competo dei vari calligrafi, graphic designer, artisti, storici e studiosi che si confronteranno sul tema. In occasione dell’evento, sarà inoltre possibile ammirare i numerosi documenti dell’Archivio di Stato di Milano, attraverso i quali ripercorrere più di mille anni di storia della scrittura.

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