Arte
Per me era matta!
Uno degli esempi più rinomati della pittura di tutti i tempi potrebbe essere il ritratto di una folle. Sì, l’opera che più di tutte rende conto di contenuti spirituali, culturali e storici, fino a celebrare la sublimazione dell’arte come evento straordinario e paranormale, raffigura lo stato confusionale di una donna cinquecentesca. Certo, proprio, lei, la star del Louvre: La Gioconda!
Da secoli, il celebre dipinto di Leonardo elargisce il suo inesplicabile sorriso. Di un’espressione tanto criptica, ogni critico ha dato l’interpretazione che più si adeguava alla propria concezione di intimità, trasferendo nella figura osservata un carattere che le è estraneo. Il radar dell’osservatorio di molti accademici consente loro unicamente di rifarsi a concezioni e apprezzamenti stereotipati, da catalogo, appartenenti a un materiale nozionistico diventato esso stesso storico, ma che non si può e non si deve continuare a considerarlo come parte imprescindibile della storia dell’arte.
L’arte è lì, nelle sue forme, depositata nei musei, o all’aria aperta, per offrirsi al giudizio universale, non a quello esclusivo di chi ha svolto regolarissimi corsi di studio. Occorre, pertanto, che di fronte a una testimonianza creativa di livello eccelso, come nel caso del dipinto leonardesco, il critico chiuda la mente, dando libero spazio ai sensi e abbandonandosi alla trepidazione che si prova al cospetto di una bellezza senza perché. Su, state buoni, professori, chi ha detto che il pathos debba essere necessariamente sostitutivo della scienza? Qui, si afferma, per gioco, che l’impressionabilità può concorrere all’interpretazione dell’opera d’arte, senza porsi come alternativa alla disciplina che ne studia la composizione, i significati e la genesi.
Seguitemi nell’assurdo, prego: chi è la Gioconda? Una donna chiamata Monnalisa, moglie del fiorentino Francesco del Giocondo, oppure l’dultera Pacifica Brandanti da Urbino, come suggerisce Roberto Zapperi con una faticosa ricostruzione storica, o ancora, come sostiene la studiosa tedesca Magdalena Soest, il soggetto ritratto da Leonardo è Tiziana Sforza, figlia illegittima del duca di Milano, detta la Tigressa? Di ponderabile c’è solo l’impronta emotiva che l’inestimabile tela diffonde nelle sensibilità più diverse. E perché mai quella che vado esprimendo, provocatoria, o meno, non dovrebbe essere degna anche solo di una semplice lettura? Pur non inseguendo il paradossale e non caricandomi di una forzata stravaganza, percepisco (sin da bambino), nel dipinto del Louvre, una donna che, attraverso un sorriso accennato solo intenzionalmente, proveniente dallo stato più profondo dell’animo, quindi un sorriso che potrebbe non essere stato tratteggiato, ma che si vede (consiste in questo il miracolo dell’opera), assume un’espressione di una eleganza sbalorditiva che fa trasparire bellezza, dolcezza e mistero femminile.
Senza voler scandalizzare gli amanti dell’arte, resto convinto che soltanto una persona emotivamente diversa, ossia con un intreccio mentale dissonante e caratterizzante, inaccessibile se non all’osservazione dello psicoterapeuta, possa raggiungere nello sguardo la meraviglia di un’intensità che racchiude l’incanto, nella sua inimitabile versione. Leonardo, dunque, potrebbe essere stato affascinato dalla luce che una donna, mossa da un groviglio intellettuale, dava al proprio volto. Dipingendo la Gioconda, egli volle rendere stabile e perenne quella luce infinita. Credo, infine che Monnalisa, oggi, rappresenterebbe l’icona perfetta delle trans, racchiudendo in sé il divenire di anima e corpo, il mutamento e allo stesso tempo la ricongiunzione, lo scorrere senza fine della esistenza e della realtà.
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