Arte

Palmira, il nostro luogo di memoria per domani

21 Gennaio 2017

Ripresa Palmira, Daesh è tornato a distruggerla.  Il problema della fisionomia dei fanatici è equivalente a quello dei carnefici che abbiamo conosciuto in Europa nel corso del Novecento e di cui molti parleranno in occasione della giornata della memoria, il prossimo 27 gennaio.

In nome di una memoria che non sia solo conservativa bisognerebbe concentrare la nostra attenzione sul valore simbolico di ciò che Daesh intende distruggere. Ovvero guardare al profilo cultural-politico di cui quell’azione è testimone  anziché limitarsi alla questione dell’iconoclastia.

Molti fra coloro coloro che dichiarano di essere contro la violenza di Daesh, quando parlano di Palmira intendono la salvaguardia e la tutela degli oggetti, delle statue o dei reperti.

A Palmira Daesh  colpisce gli oggetti non perché essi, in sé, siano l’avversario, ma perché testimoniano di una storia che rifiuta e che vorrebbe distruggere. Il nemico di Daesh non è l’archeologia o l’architettura, ma è la storia. Meglio la storia che in quel luogo è avvenuta.

Quindi quando distrugge è per uccidere il valore simbolico di Palmira. Ne discende che la nostra attenzione, prima ancora di essere rivolta agli oggetti o ai monumenti, deve misurarsi con la sfida e la guerra che Daesh muove a ciò che Palmira  rappresenta.

Che cosa è Palmira e soprattutto che cosa rappresenta?

Palmira è un simbolo, e un luogo, come scrive lo storico Paul Veyne, che esprime il concetto di  “saggezza straniera”. Un luogo che nel tempo produce  meticciato culturale. Ovvero un luogo di incontro tra codici culturali distinti che producono qualcosa che contemporaneamente è l’insieme di molte cose non condivise e la cui coabitazione produce una nuova forma di esperienza sociale e culturale. Palmira era una realtà in cui lo sciovinismo della monocultura – un’invenzione del XIX secolo oggi universalmente condivisa – non aveva casa.

Palmira, in altre parole, come segno dell’intercultura, più che della multicultura. Per questo Daesh la vuole distruggere, radicalmente. Per questo, una volta ritornati a Palmira, sono ricominciate le distruzioni.

Per lo stesso motivo anche noi, occidentali multiculturali non amanti dello “scontro di civiltà” non l’abbiamo difesa più che tanto, perché siamo in gran parte multicultruralisti, ma non disponibili all’intercultura. Glii entusiasti  dello “scontro di civiltà” l’hanno difesa, ma solo a-posteriori, come simbolo distrutto, annullando, comunque non riconoscendo e non volendo riconoscere, il significato di quella storia. In ogni caso  come simbolo vivo non nutrivano nei suoi confronti alcuna simpatia.

Da venerdì dunque  Palmira è tornata a bruciare.

Certo la sua conservazione è un problema che riguarda l’arte, ma non perdiamo l’occhio sul valore simbolico e dunque politico di quel luogo. E’ sul  versante simbolico che  si misura la sfida che abbiamo di fronte.

Difendere Palmira  solo ed esclusivamente come difesa delle pietre, significa non solo non riconoscere le sfide che abbiamo davanti ma anche tradire coloro che il valore simbolico di quel luogo hanno difeso perché lo volevano vivo.  A Khaled al-Asaad, prima di tutto, il custode di Palmira.

Il “giusto” che è morto anche per noi.

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