Arte
Osservando un mondo simmetrico. 20 anni senza Stanley Kubrick
Chi era Stanley Kubrick? Probabilmente un genio. Di sicuro uno che ci ha insegnato a osservare simmetricamente il mondo, che ci ha aiutato a comprendere che dalle piccole cose – dai particolari più insignificanti – alle questioni universali, tutto ciò che ci circonda ha una struttura e una consistenza perfettamente calcolabili.
Scriveva Enrico Ghezzi che “Anche di fronte al modello (europeissimo) dell’autore americano Kubrick è però fortemente atipico. Per quanto dubbia, ideologica e ormai arretrata sia infatti la nozione di autore (cinematografico), essa si basa fondamentalmente sulla possibilità di reperire, all’interno del corpus di opere di uno stesso regista, gli elementi di un sistema o le tracce di un progetto. La convenzione richiede insomma (per entrare a far parte della scelta o trista accademia) che vi sia almeno un’organizzazione tipica di segni che si rinnovi di film in film, oppure che nel susseguirsi delle opere si delinei un complessivo disegno artistico e ideologico: possibilmente ambedue le cose. […] Non è quindi facilmente inquadrabile un Kubrick, per il quale si potrebbe a ragione parlare di progetti e sistemi diversi ad ogni film che dirige“.
In quel suo modo di proseguire irregolarmente, in quel suo atteggiamento ondivago, a tratti scriteriato, ma sempre inquadrato – nonostante tutto – c’era la volontà di mostrare che, anche senza avere attivato un processo di organizzazione delle argomentazioni stabile e continuo, l’impostazione era tutto. All’interno di ogni nuovo e differente progetto c’era sempre la necessità di raccontare dei sistemi rigidi e non scalfibili, dei processi visivi che dicessero molto sull’alterità delle forme, ma che allo stesso tempo le inquadrassero in strutture perfettamente riconoscibili.
Ecco, il più grande insegnamento che Stanley Kubrick ci ha lasciato è quello che ci fa capire che bisogna sforzarsi sempre per comprendere come ogni aspetto dell’esistenza sia tanto chiaro e reale quanto impossibile e visionario. Gianni Volpi scriveva di 2001: Odissea nello spazio definendolo “un film nitido, rigoroso nella sua ricchezza di invenzioni […] ipnotico. Che ci fa credere alla realtà di questa odissea”. Che ci fa credere alla realtà, nonostante lo stato ipnotico nel quale ci trascina. Kubrick ha molte volte incarnato un occhio capace di quelle prodezze e ha fatto una cosa ancora più grande che non dimenticheremo mai: ci ha permesso di vedere attraverso quel suo strumento straordinario e prodigioso. E per questo gliene saremo per sempre infinitamente grati.
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