Arte
Anche il Miart lo ha confermato, Milano è una città per artisti
Giunta quest’anno alla sua ventesima edizione, la fiera d’arte moderna e contemporanea Miart, precedendo di pochi giorni la settimana del Salone del Mobile, ha dato la stura ad una sequenza pressoché ininterrotta di eventi che animeranno gli spazi urbani di Milano orbitando e culminando (sperando che di una vetta si possa parlare) intorno all’apertura di Expo 2015 il primo di maggio. Ma cosa rende una fiera di arte contemporanea, che notoriamente si rivolge ad un pubblico ristretto e piuttosto specifico, un evento così importante per una città come Milano?
Il primo decennio del XXI secolo ha assistito ad una letterale esplosione del numero e della dimensione delle fiere d’arte e l’importanza di questi eventi è diventata tale da spostare completamente le dinamiche di mercato delle gallerie, per molte delle quali, soprattutto le più importanti, le fiere rappresentano ormai la principale fonte di affari. In un settore di anno in anno sempre più competitivo, tutte le fiere hanno ambito a trasformarsi in grandi kermesse culturali, capaci di coinvolgere e animare intere città. Affidarne sempre più spesso la direzione a curatori indipendenti ha permesso di tematizzare e in qualche modo coordinare la sommatoria dei contributi delle gallerie presenti con eventi collaterali a carattere espositivo meno commerciale e più di ricerca, conferenze e dibattiti, premi per gallerie e artisti, allargando in questo modo il potenziale bacino di visitatori oltre il ristretto circolo degli addetti ai lavori. Puntare sugli aspetti culturali, per quanto possa sembrare dispersivo, non è in contrasto con le esigenze commerciali di una fiera. Essendo quello dell’arte un sistema basato sulla reputazione, il fatto che un evento sia culturalmente “accreditato”, selettivo, vivace e soprattutto che riesca a costruirsi un’identità fortemente riconoscibile, aiuta da un lato a far salire il valore delle opere esposte, dall’altro a creare un’atmosfera adrenalinica, festaiola ed esclusiva, capace di attrarre l’attenzione dei collezionisti, sollecitandoli all’acquisto. In pratica, fatte le debite proporzioni, la propensione dei collezionisti all’acquisto delle opere d’arte, che a volte raggiunge dinamiche compulsive nel corso delle preview riservate agli ospiti VIP, è analoga a quella di un sabato pomeriggio in un centro commerciale per i comuni mortali.
In tutto questo, nonostante la profonda crisi del mercato dell’arte in Italia, come spesso accade in controtendenza con quanto si verifica negli altri paesi, e nonostante il sistema delle fiere cominci a perdere colpi e ad essere messo in discussione, il Miart non fa eccezione. Giunto alla fine del suo mandato di tre anni come direttore artistico, Vincenzo De Bellis ha potuto a ragione dichiararsi soddisfatto del lavoro svolto per rilanciare una fiera che, al momento di prenderla in mano, aveva (parole sue) “raggiunto il punto più basso della sua storia”. In tre anni il numero di gallerie presenti è passato da 90 a 156 e per di più con una percentuale di partecipazioni straniere pari al 46% del totale (contro il misero 10% precedente). Cosa ancor più importante, questi numeri sono stati raggiunti potendo selezionare solo le proposte più convincenti all’interno di un numero di candidature ricevute assai più ampio. Sapendo giocare come elemento distintivo sulla compresenza di gallerie che presentano opere di artisti storicizzati e di spazi dedicati alla promozione dei giovani emergenti e puntando molto su un’offerta culturale di alto livello, la direzione di De Bellis ha riportato la manifestazione fieristica milanese, pur con tutti i limiti e le debolezze della situazione italiana, a un livello tale da permetterle di competere con le concorrenti. Anche quest’anno il bilancio è stato positivo, il numero dei visitatori è cresciuto e, pur non conoscendo i dati sulle vendite effettuate (anche perchè molte delle trattative si chiudono a fiera conclusa) i mormorii e i “si dice” parlano di un andamento degli affari nel complesso soddisfacente.
Fatta questa premessa, va detto che la visita di una fiera può essere un’esperienza estraniante per un semplice curioso, tanto è difficile destreggiarsi tra il bombardamento di stimoli visivi e concettuali che vengono offerti. Secondo alcuni, come mi ha confessato un amico artista, “al Miart ci vai solo se hai qualcosa esposto o se devi incontrare qualcuno”. Sia come sia, le partecipazioni che restano più impresse nella memoria sono forse quelle delle gallerie che hanno scelto di presentare un’esposizione monografica, come la galleria Massimo De Carlo di Milano, che presentava una selezione di opere di Gianfranco Barruchello o la galleria Mathew di Berlino, vincitrice del premio Emergent con un’installazione degli artisti Amy Lien e Enzo Camacho, oppure quelle che sono state capaci di inventarsi un allestimento particolare, come la galleria Pinksummer di Genova il cui stand, interamente chiuso da una parete e invisibile dall’esterno, era accessibile attraversando una porta di legno intagliato, opera dell’artista Plamen Dejanoff, o la Green Art Gallery di Dubai che presentava le opere di due artisti iraniani, Nazgol Ansarinia e Kamrooz Aram in un allestimento particolarmente coordinato ed elegante. Le giornate di esposizione sono state accompagnate da un programma di conferenze e dibattiti molto ricco e interessante, curato da Maria Cristina Didero, Paola Nicolin e Alessandro Rabottini.
A tutto ciò ha fatto eco un’ampia serie di manifestazioni collaterali, di cui una quarantina solo quelle inserite nel programma ufficiale “The Spring Awakening”, in cui a dire il vero è stato incluso un po’ di tutto. Si parte da eventi istituzionali come l’inaugurazione del “padiglione satellite” di Expo 2015 alla Triennale, con la mostra “Arts and Foods” curata da Germano Celant o la retrospettiva di Juan Muñoz all’Hangar Bicocca, che hanno anticipato l’apertura della fiera, passando per la riedizione del campo di grano di Agnes Denes “Wheatfield” che occuperà, durante il periodo dell’expo, l’area del parco pubblico “La biblioteca degli alberi” in zona Porta Nuova, non terminato in tempo. Ci sono anche interventi di arte pubblica meno ambiziosi e a scala più umana, come l’installazione “Mom and Dad” di Patrick Tuttofuoco, inaugurata in Piazzetta Brera, così come molte vernici nelle principali gallerie d’arte milanesi. Al programma parallelo della fiera si sono aggiunti moltissimi altri eventi, organizzati da gallerie e spazi indipendenti più o meno conosciuti, come la mostra di Giovanni De Francesco presso Dimora Artica o la inedita performance musicale semi-segreta di Emanuele Becheri e Giovanni Kronenberg organizzata dalla rivista unFLOP paper. Tutte iniziative che hanno cercato di intercettare una parte del folto pubblico di artisti, critici, curatori, collezionisti e semplici appassionati attirato in città dalla fiera, offrendo una settimana molto intensa anche dal punto di vista dell’irrinunciabile mondanità.
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