Arte
Ma l’Arte domina il Potere
L’ultima fatica di Vittorio Sgarbi -“Arte e Fascismo. Nell’Arte non c’è Fascismo. Nel Fascismo non c’è Arte” prefazione di Pierluigi Battista, editore “La nave di Teseo”-, descrive l’intreccio e la complessa relazione tra il potere e l’arte.
Ci racconta una verità sublime: l’arte aborrisce il potere, lo doma, lo annichilisce, lo distrugge, lo svuota, lo piega.
L’arte è come la poesia.
Neruda, che svillaneggiava tutte le dittature cilene, fece dire a Salvatore Allende, suo prezioso ammiratore, una scintillante verità: “uno solo dei tuoi versi potrebbe salvare la vita ad un moribondo”.
Ecco, allo stesso modo Sgarbi spiega la relazione tra arte e potere, a proposito della dittatura fascista.
L’arte vince su qualunque potere, perché il fascismo è estraneo all’arte, è un ordine sbagliato della società.
L’arte è un insieme di individui che possono avere o meno aderito al potere, ma la loro opera ne travalica i limiti.
Il Fascismo è l’opposto dell’Arte.
Tutti gli artisti che si sono formati durante il Fascismo -per esempio Morandi, Campigli, Melotti-, sono andati oltre le angustie del potere che non poteva porre alcun ostacolo alla loro fantasia.
Nessun grande artista se è davvero grande può essere subordinato al potere, perché lo domina, lo vince.
L’Arte è la creazione degli individui mentre il Fascismo è la colpa delle masse.
È evidente, perciò, che Sgarbi polarizza la sua attenzione al ruolo di una donna, Margherita Sarfatti che, circondata da uomini impotenti, crea per partenogenesi il gruppo “Novecento”, di grandi pittori come Sironi e Funi, meravigliosi scultori come Martini, che rappresentano un’idea di classicità e ritorno alla grande pittura come sentimento di un’Italia che il Rinascimento aveva consegnato davanti al mondo, senza nessun ossequio al potere.
Sarfatti era troppo autonoma, libera, eppure fu amante del Duce che con una lettera ne disapprovava l’opera, poiché aveva fatto intendere che la proiezione artistica del Fascismo era racchiusa nel suo gruppo culturale “Novecento”. Ma tutti gli artisti del tempo si dovranno genuflettere al suo fascino irresistibile, anche Mussolini.
Nella sua prefazione, Pierluigi Battista ci ricorda un’amara verità: la damnatio memoriae che ha colpito un’intera epoca -il ventennio fascista- e tuttavia servita a molti intellettuali a salvarsi. Essi manipolarono e sbianchettarono la loro autobiografia e raccontarono che il Fascismo era l’antitesi dell’arte e della cultura, senza, tuttavia, ammettere mai di essere stati beneficati nel Ventennio maledetto dalle munifiche sovvenzioni elargite stabilmente dal Minuculpop.
Eppure, occorre completamente rivedere il giudizio su quegli artisti che caratterizzarono quell’epoca senza biasimarli, perché l’Arte è pura, impermeabile a qualsiasi ideologia e potere: non si può bloccare, recintare.
Giustamente Sgarbi scrive: “il binomio Arte e Fascismo è un catalogo enciclopedico, un tesoro di artisti, scultori, architetti che si offre a noi con una straordinaria ricchezza”.
Quell’Arte in tutte le sue declinazioni è sempre tale, anche nello scenario di una dittatura che tenta di obnubilarne il fascino.
È impossibile: tutte le retate e devastazioni di Pinochet, abbrutimento del potere, non scalfirono la poesia di Neruda: era sfavillante nelle stelle e respira ancora.
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