Arte
Luca Scarlini: Il Caravaggio rubato. Mito e cronaca di un furto
Nella notte tra il 17 e 18 ottobre 1969, fu trafugato, dall’Oratorio di San Lorenzo a Palermo, un dipinto di Caravaggio: la Natività coi santi Francesco e Lorenzo. La tela non è stata più ritrovata. Leonardo Sciascia ne scrive nel suo ultimo racconto: Una storia semplice.
Scrive, tra l’altro: “Sono sempre stato dell’opinione che l’Italia – cioè lo Stato, gli enti locali e ogni altra pubblica amministrazione – dovrebbe rinunciare, totalmente e definitivamente, alla custodia e manutenzione delle opere d’arte e anche dei manoscritti e dei libri rari. Non potendoci permettere il lusso di regalare quadri, manoscritti e libri a quei paesie a quelle istituzioni che sanno ben conservarli e proteggerli, si potrebbero fare delle grandi aste che certamente frutterebbero quanto basta per portare tanta gente dalle baracche alle case e per risolvere il problema idrico di tanti paesi meridionali: e l’effetto sarebbe così doppiamente proficuo, ché ri risolveremmo problemi altrimenti insolubili (a quanto pare) e ci assicureremmo della sopravvivenza (non importa in quale altro paese del mondo) di opere destinate in Italia al trafugamento e alla distruzione. Ma a questa soluzione, che è tanto sensata e ovvia da parere paradossale, si oppone naturalmente l’orgoglio nazionale, che è un sentimento del tutto alieno dalle cose concrete, che si appaga di parole e svanisce. L’Italia è il paese dell’arte: ma le opere d’arte vadano in malora. Ancora una volta dobbiamo amaramente constatare che questo non è un paese civile. Non lo è nelle baracche dei terremotati e degli immigrati, a Montevago come nella periferie torinese; e non lo è nella conservazione delle opere d’arte e delle testimonianze storiche. Sembra che non ci sia relazione tra un Caravaggio facilmente rubato a Palermo e una famiglia costretta a vivere in sei metri quadrati di baracca: e invece c’è, precisa, assoluta. Se il baraccato costituisse preoccupazione. Uguale preoccupazione costituirebbe il Caravaggio di San Lorenzo, la Zisa, Sabbioneta e il disegno di Leonardo. C’è una interdipendenza, un legame d’ordine: del solo e vero ordine che un paese civile deve tenere”.
Queste parole sembrano l’eco di altre simili, scritte da Proust, qualche decennio prima: che l’Italia sarebbe il paese più inestetico del mondo, perché un paese estetico non è un paese con molte opere d’arte, ma un paese che sa preservarle e proteggerle.
Sul furto del Caravaggio sono stati scritti molti altri libri, oltre a quello di Sciascia, e si sono fatte molte ipotesi, tra le quali si è alla fine affermata la certezza che fosse opera della mafia. Recentemente è stato anche girato un film, da Roberto Andò, Una storia senza nome. Questo libricino di Luca Scarlini – Il Caravaggio rubato. Mito e cronaca di un furto, Palermo, Sellerio, 2018 (nella collezione “Il divano”; prima edizione nella collana “La nuova diagonale, 2012), pp. 142, € 12,00 – è una preziosa messa a punto, e dell’opera e della vicenda del furto.
Il quadro non è stato più trovato. Al suo posto è stata collocata una copia. E nient’altro. Il degrado della zona resta quello di sempre. Del resto, a Roma crollano i tetti di chiese storiche, a Genova crollano ponti giudicati miracolo d’ingegneria, e mi dice un’amica archivista che dalle biblioteche scompaiono manoscritti e libri preziosi. Proust e Sciascia non scrivono lamenti, o ingiurie: constatano una realtà. Ci fu addirittura chi accusò Proust di supponenza tipicamente francese. Perché, naturalmente, “l’orgoglio nazionale”, di cui parla Sciascia, scatta risentito, non si preoccupa di verificare se l’accusa di Sciascia e, prima, l’allarme di Proust siano veritieri, ma si limita ad assicurarsi che le parole di nessuno, tanto più se straniero, non offuschino l’onore nazionale, difeso, appunto, quasi solo con e dalle parole. Che dire?
Il disastro corrisponde al livello culturale del paese. Ultimi in Europa quanto a livello d’istruzione, d’innovazione nell’amministrazione pubblica e nell’industria (Riccardo Iacona lo ha bene illustrato ieri sera a Presa diretta). Ma furoreggia, anche, e sempre più rabbiose, l’insofferenza, l’inimicizia per la competenza. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Ma non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere. Finiremo tutti nel baratro, come nella Parabola dei Ciechi di Brueghel il Vecchio, consevata nel Museo di Capodimonte a Napoli.
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