Arte

L’estetica identitaria del vissuto, anch’essa bellezza da scoprire e spogliare

5 Ottobre 2020

Erigere a bellezza l’esperienza, la complessità dell’esistenza, il dolore. Ecco, Alda Merini ha maturato dentro di sé, in maniera del tutto naturale e non convenzionale, un’arte, quella della poesia, che, attraverso la sua figura è riuscita a dare una fisicità all’estetica del vissuto.  In un frangente dove la corsa per apparire in splendida forma e perfettamente impersonali sembra perfino irrinunciabile, abbiamo bisogno di “scontrarci” con l’intensità sensoriale di forme e corpi che provengono da un mondo di vicissitudini interiori per permeare di significato un’espressione, una linea corporale, una posa in bella mostra. Gli stessi versi semplici della poetessa dei Navigli, accolti in profondità, testimoniano una volta di più che i canoni prestabiliti per decidere cosa è bello e ha valore hanno fatto il loro tempo. “Sentire è il verbo delle emozioni, ci si sdraia sulla schiena del mondo e si sente…”, scrive Alda, a ricordarci che alla bellezza del mondo e della vita si presta anche orecchio, favorendo la percezione di ciò che si offre ai nostri occhi per essere afferrato e intuito.

“Sono stata io a volere essere fotografata nuda. Mi fa sorridere il moralismo della gente, non lo tirano fuori per il nudo in sé, ormai ovunque, ma per quello non perfetto.  È l’imperfezione a scandalizzare, come fosse una colpa”, ebbe a dire l’artista, quando per sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema della violenza alle donne decise di posare sguarnita. E, qui, la poetessa suggerisce, con l’immediatezza che le era usuale, di indagare il concetto di bellezza nella sua specifica stranezza, come se questa fosse qualcosa che non risponde necessariamente a una logica conseguente a una linearità esteriore, e avesse nel suo nucleo un elemento rivelatore per decifrarne l’origine e la consistenza. In altre parole, Alda Merini nuda, nella sua esagerazione spettacolare e colma di senso artistico, anche finemente ironica e sfrontata di modello imperfetto, ci dice che la bellezza ha nei suoi tratti difettosi gli indici più genuini per qualificarla come autentica.

Va da sè, nell’ottica di una concezione evoluta e adeguata al valore di un pensiero moderno, che la donna è sempre bella quando non deve dimostrare necessariamente di esserlo. Per meglio dire, il genere femminile, grazie a Dio, sa rendersi gradevole e fascinoso ben al di là delle fattezze fisiche. E, questo, non da oggi. Da Ipazia di Alessandria a Simone de Beauvoir l’intelligenza femminile ha sempre costituito motivo di grande fascino e bellezza. Ma, ha anche attirato su di sé, ahimé, l’invidia, l’arroganza e la grettezza di una dimensione di potere maschile che dalla lucentezza di un atteggiamento nobile, coraggioso e avveduto ha sempre avuto tanto da temere. Mi piace pensare, infine, nell’epoca in cui i social, fuori dallo spazio segnato dalla subcultura liturgica, hanno comunque una loro funzione di comunicazione da non sottovalutare, che il web riesca ad adottare forme di pensiero e contenuti che sanciscano un’inversione di tendenza volta a determinare visioni di bellezza più completi. Sono, evidentemente, per una indagine conoscitiva e per un’elaborazione emotiva della bellezza. E, finanche per una sua invenzione di sana pianta. Purché si esca da predefiniti modelli estetici puramente fisici. È tempo di cambiare registro. Se perseguiamo una bellezza diversa, avremo possibilità maggiori per un mondo diverso.

 

 

 

 

 

 

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