Arte
L’emozione di tuffarsi in un mare di Onde Pixel, l’arte di Chevalier a Milano
Scomporre un’opera d’arte come fosse un puzzle, camminare sul suo tracciato di luci e colori, modificarla a proprio piacimento con un semplice gesto: sembra un gioco, invece è realtà. È la realtà aumentata, quella che sfruttando le potenzialità informatiche permette di creare infiniti mondi virtuali. E se a crearli è Miguel Chevalier, allora è arte, è emozione, è un’esperienza da non perdere.
Qualcuno la definisce arte generativa, qualcun altro interattiva, e c’è chi la chiama computer art. Semplicemente, si tratta di un’immersione, un tuffo in un mare di pixel fluorescenti, caleidoscopici, dispersi sul pavimento secondo un tracciato mobile e fluido, e che circondano chi vi entra secondo lo stesso principio dei cerchi nell’acqua. Una volta entrati, allora sì che diventa un gioco. Si inseguono le figure proiettate sotto i piedi come fossero dei pesci che scivolano via al nostro passaggio, si controlla che tutto funziona restando immobili o nuotando a braccia aperte, si sperimenta qualche nuovo movimento per scoprire le conseguenze di un’azione e lasciarsi stupire. Sono le Onde Pixel di Miguel Chevalier, in mostra da oggi fino al 28 agosto, all’UniCredit Pavilion di Milano (piazza Gae Aulenti, MM Garibaldi).
L’artista
Noto esponente della computer art, ovvero un’arte che ricorre al linguaggio e al medium digitali, Miguel Chevalier (Città del Messico, 1959) intraprende questa strada a partire dagli anni Ottanta, non senza scontrarsi con la realtà di un territorio ancora inesplorato: «Gli artisti hanno sempre usato gli strumenti del loro tempo. Nei primi anni 1980, i computer erano sempre più presenti nei media e si cominciò a parlare della società dell’informazione. È stato questo territorio inesplorato dall’arte contemporanea che ho voluto approfondire. […] Nel 1980 solo i laboratori scientifici o le emittenti televisive avevano questi strumenti informatici. Determinato nel mio approccio per creare opere puramente digitali, sono riuscito a conquistare la fiducia di ingegneri presso il CNRS (Centro Nazionale per la Ricerca Scientifica), attraverso i quali ho avuto accesso al centro ottico durante le notti (da mezzanotte alle 6 del mattino), ai grandi computer».
Ma a quel tempo solo gli Stati Uniti erano all’avanguardia nel settore informatico: «Nel 1983, sono stato in grado di continuare la mia attività di ricerca presso il Pratt Institute di New York e la School of Visual Arts che aveva appena creato un reparto digitale. Ho potuto accedere finalmente ai primi software di disegno sul computer. Le possibilità di tale software proponevano trasformazioni illimitate e perpetue. Rappresentavano un favoloso dizionario di forme e colori, da cui ho potuto lavorare le immagini, modificarle e rigenerarle».
Miguel Chevalier è uno sperimentatore, un artista che si è formato studiando Belle Arti e che poi ha intrapreso la ricerca di una nuova spazialità e l’annullamento dei confini. Non a caso Lucio Fontana e Yves Klein sono per lui dei riferimenti, coloro che sono andati oltre la pittura, oltre la dimensione del quadro, per aprirsi a uno spazio potenzialmente infinito.
Ed è questa ricerca dell’infinito, o meglio, delle infinite possibilità di espressione fornite dal mezzo digitale, che ha portato Chevalier a esplorare il mondo virtuale e diffonderlo tra il pubblico grazie a un’arte che intende essere generativa e partecipativa, nella quale il pubblico è soggetto a un’interazione attiva. E che diventa esperienza sicuramente ludica, estremamente emozionante.
Chevalier nota come nella storia dell’arte gli artisti sono stati prima di tutto artisti del loro tempo (e viene in mente la celebre frase All Art Has Been Contemporary di Maurizio Nannucci). «L’arte riflette la società in cui si sta vivendo», dice. Dai futuristi, che hanno interpretato i cambiamenti della società industriale, primi fra tutti la nuova percezione della velocità e del movimento, alla Pop Art e il Nuovo Realismo (Mimmo Rotella, César, Arman), che hanno visualizzato la società dei consumi attraverso i suoi simboli. La nostra invece, secondo l’artista, è la società dell’informazione, della tecnologia, dei sistemi e dei flussi della comunicazione, e attraverso il digitale gli artisti possono creare opere emozionanti e aprirsi alle nuove generazioni. «Oggi viviamo in una società dell’informazione e della tecnologia dell’informazione. Il computer è onnipresente. Lo sviluppo delle nuove tecnologie ha portato un vero sconvolgimento nel mondo economico e in quello delle relazioni attraverso l’intero pianeta. L’arte digitale è per me il miglior mezzo per ricreare il mondo in cui viviamo e la natura immateriale di concetti come le reti e i flussi. L’Arte digitale genera nuove idee nel mondo artistico».
Manipolatore esperto dello strumento virtuale, Chevalier dalla fine degli anni Ottanta a oggi ha trasformato numerosi spazi pubblici di tutto il mondo, tra cui la Cappella del King’s College a Cambridge (2015), la Cattedrale del Sacro Cuore di Casablanca (2014) e Castel del Monte ad Andria in Puglia (2014) non sono che alcuni recenti esempi di come il digitale abbia rappresentato una modalità innovativa e interattiva di fruizione e valorizzazione: «Grazie all’arte digitale ho potuto rivisitare la storia dell’architettura di questi luoghi prestigiosi e sono riuscito a dare loro una nuova lettura». Ad esempio, per Casablanca l’artista si è ispirato ai motivi decorativi dell’arte islamica e a Le mille e una notte, mentre per Castel del Monte ha rivisitato la tradizione del mosaico, che, rileva l’artista, «può essere visto come una prefigurazione del pixel».
La mostra
Nel caso della mostra Onde Pixel – Lo Sguardo di… Miguel Chevalier, l’artista si è confrontato non solo con la struttura architettonica progettata da Michele De Lucchi (vedremo più avanti come) ma in primo luogo con il patrimonio artistico di UniCredit, attraverso la rilettura e la citazione di alcune opere mediate dallo strumento digitale.
La mostra si compone di due parti. La prima a cui si accede è la parte espositiva vera e propria, costituita dal dialogo tra le opere d’arte scelte all’interno della collezione del gruppo bancario e le opere di Miguel Chevalier, disposte secondo tre sezioni tematiche: natura/artificio, pixel op’art, flussi e reti.
Fotografie, sculture tridimensionali, filmati su schermi LCD e opere su tela sono allestite in modo tale da creare un confronto visivo diretto tra i due gruppi di opere, permettendo di riconoscere il gioco di rimandi e citazioni formali. Suggestivo, ad esempio, è il dialogo sull’antico intrattenuto dai ritratti di Mimmo Jodice, appartenenti alle serie Ercolano (1986) e Mediterraneo (1993), e le rielaborazioni fatte a computer del volto di Giano per opera di Miguel Chevalier; oppure la messa a confronto del linguaggio optical di una litografia del 1971 di Victor Vasarely con Pixels Op’Art (2011), un arazzo in lana, seta e bambù di Chevalier, accomunati da una visione “a lente di ingrandimento” che distorce le linee; oppure ancora, il movimento ondulatorio che accomuna una Superficie Bianca del 1990 di Enrico Castellani e l’opera Pixels Wave 2 (2016) del nostro.
La seconda parte della mostra si sviluppa come un prolungamento delle opere esposte nella prima, i cui motivi sono interpretati e tradotti attraverso trame luminose, forme serpentine e colori fluo nell’installazione Onde Pixel. Si tratta di un tappeto multimediale costituito dalla proiezione a pavimento di una serie di sessanta pattern che si alternano ogni minuto, alterando la percezione dello spazio. Questi pattern si ispirano in parte alle opere di Olivo Barbieri, Davide Benati, Enrico Castellani, Julian Hoeber, Luigi Veronesi e Victor Vasarely, per citarne alcuni, esposte nella prima parte. Altri motivi invece traggono spunto da una lettura simbolica di ciò che è l’universo digitale, quello dei codici binari e del computer (ad esempio @, on/off, ecc.).
L’installazione non è solo una combinazione di luci e colori, ma anche della musica composta da Jacopo Baboni Schilingi, che come Miguel Chevalier, è da sempre aperto a un tipo di sperimentazione multidisciplinare che combina suoni, immagini, architettura e interazione col pubblico. Accompagnano Onde Pixel le musiche dei videogames degli anni Ottanta, i suoni dei modem e di vecchie consolles realizzati con un software a programmazione per oggetti. Il ritmo è scandito dall’alternanza di suoni “fissi” e di suoni che scaturiscono dall’interazione dei visitatori con le proiezioni, sempre sfruttando i sensori che lungo il tracciato localizzano la presenza del visitatore e avviano la decostruzione e la ridefinizione dell’installazione.
Onde Pixel vive dell’interazione del pubblico, il solo che può darle una forma ogni volta nuova, differente e mai uguale a se stessa: «Questa interattività è anche una dimensione ludica, che stimola il pubblico a esplorare ulteriormente i propri gesti e le proprie posture per meglio interagire con le mie opere. Le mie installazioni sorprendono, stupiscono il pubblico facendogli vivere emozioni nuove e portandolo nel mio mondo di sogni e di poesia».
Domenico Quaranta, nel testo introduttivo al catalogo, definisce il visitatore come “forza perturbante”, che interviene come un “invisibile campo di forza” che modifica i flussi di pixel e suoni. E il coinvolgimento del pubblico non è solo fisico ma anche, e pienamente, emotivo e psichico, grazie alla commistione di immagine e suono, plasmati in un tutt’uno.
Un’opera dunque a quattro mani, forte della fusione dei due linguaggi, quello visivo e quello sonoro, che secondo Jacopo Baboni Schilingi danno luogo alla vera ricchezza, in quanto «la ricchezza nasce con la mescolanza, la fusione e l’integrazione di culture, saperi e forme d’arte provenienti da differenti frontiere».
L’installazione nutre anche un legame molto stretto con l’architettura che la ospita, come sempre nei progetti di Chevalier: «L’UniCredit Pavilion è un’architettura contemporanea, che condivide con le mie altre installazioni la nozione di spazio immersivo per le immagini e la musica. La nozione d’immersione è centrale nel mio lavoro: amplifica l’emozione del visitatore».
Le forme curvilinee e le strutture modulari dell’UniCredit Pavilion ricordano inoltre «una grande nave con cui si vuole navigare». E la metafora della navigazione ritorna anche nel titolo: Onde Pixel, appunto, in riferimento al movimento ondeggiante delle proiezioni che sembrano dar vita a un mare virtuale dai movimenti incontrollabili. Attraversandolo, lo spazio si deforma sotto i nostri piedi e la sensazione è veramente quella di galleggiare leggeri sopra un lenzuolo d’acqua, guidati da un’orchestra di colori, luci e suoni. Persino la musica compie delle fluttuazioni, accompagna il movimento del visitatore e dopo il suo passaggio si calma nella quiete, mentre il tableau si ricompone nel suo stato iniziale.
Un’esperienza davvero unica, dunque. Anche per come sono state selezionate le opere. «La mostra propone un dialogo tra alcune delle mie creazioni e una scelta privilegiata per la raccolta di UniCredit – spiega l’artista francese – Abbiamo scelto opere con la curatrice Serena Massimi e la sua super équipe, e i collaboratori che gestiscono la raccolta Padiglione UniCredit». È un’idea questa che viene da lontano ed è figlia di un percorso iniziato già lo scorso anno con l’obiettivo di porre lo spettatore al centro dell’osservazione. «La forza di questa esposizione è il coinvolgimento delle persone, la loro partecipazione fisica ed emotiva all’arte», conclude Serena Massimi, Head of UniCredit Pavilion, Events & Art Management.
*
Devi fare login per commentare
Login