Arte
Breve storia delle Tre Grazie di Canova, così belle da ispirare Foscolo
Ricavare da un unico blocco tre figure femminili a grandezza naturale. È questa la sfida inedita che Canova volle affrontare con il gruppo marmoreo delle “Tre Grazie”. La commissione dell’opera è legata a una lettera che gli spedì l’11 giugno del 1812 J.M. Deschamps, segretario di Joséphine de Beauharnais. A quell’epoca l’ex imperatrice, che si era separata da Napoleone dopo che il matrimonio con il Bonaparte era stato dichiarato nullo nel gennaio del 1810 dal Tribunale Ecclesiastico, viveva nel castello di Malmaison, che aveva acquistato nel 1799. Si dedicava alla coltivazione delle rose, introducendo specie sino a quell’epoca non conosciute in Europa, ed era patrocinatrice delle arti.
In una missiva che Giuseppe Bossi, pittore, intellettuale e collezionista lombardo, scrisse a Canova nello stesso 1812 leggiamo, con riferimento a Giuseppina, che l’autore aveva “sentito il vociferare che tu debba fare per questa Signora un gruppo delle tre Grazie”. Ma l’ex imperatrice non vide mai l’opera completata. Morì nel 1814, mentre la scultura fu terminata nel 1817, e lo stesso Canova nel 1813 lamentava di non poter mostrare alla committente neppure un disegno del gruppo che doveva evidentemente ancora intraprendere.
In realtà lo scultore si era messo quasi subito al lavoro, come dimostrano diversi schizzi e bozzetti, ma aveva scelto inizialmente un altro tipo di composizione, più vicina alla tradizione greco-romana, e mutuata dagli artisti rinascimentali, in cui una delle tre figure femminili volge le spalle allo spettatore, mentre abbraccia le altre due cingendo loro le spalle. Ci resta in tal senso una serie di fogli grafici, conservati nella Biblioteca di Possagno, che sono strettamente imparentati con un bozzetto in terracotta recentemente acquisito dal Museo Veneto. Un gruppo in terracotta del Museo des Beaux Arts di Lione, datato giugno 1812, presenta già le figure in posa come saranno poi nel gruppo dell’Ermitage, prestito eccezionale della mostra milanese su Canova e Thorvaldsen (alle Gallerie d’Italia, fino al 15 marzo 2020).
Il gesso originale dell’opera, che sta sempre a Possagno, nella Gypsoteca, reca l’iscrizione “Incominciato in giugno finito in agosto 1813”. Da quel momento il modello deve essere stato visibile nell’atelier romano dell’artista. La morte improvvisa di Joséphine nel maggio del 1814 non è la causa che determinò il ritardo nella consegna. Di fatto il figlio Eugène, già viceré d’Italia, confermò presto allo scultore la commissione. Ci fu piuttosto una questione relativa al pagamento: nel 1816 Canova aveva quasi completato il lavoro, come confessò a Quatremère de Quincy, l’archeologo e storico dell’arte che è uno dei primi biografi dello scultore. Ma dovette attendere che Eugenio sposasse la figlia del re di Baviera: con il matrimonio il Beauharnais acquisì il titolo di duca di Leuchtenberg, e assieme ad esso le disponibilità per saldare la somma pattuita, chiedendo congiuntamente che essa fosse esportata da Roma. Il gruppo potè così partire per Monaco di Baviera, dove rimase sino alla metà dell’Ottocento. Poi, per effetto delle nozze tra il figlio di Eugène Massimiliano e di Maria, figlia dello zar Nicola I, le “Tre Grazie” vennero trasferite al Palazzo Mariinskij di San Pietroburgo, mentre una seconda versione, realizzata da Canova per il Duca di Bedford tra il 1815 e il 1818, è ora al Victoria & Albert Museum di Londra.
Il gruppo scultureo è all’origine del poema “Alle Grazie”, opera incompiuta di Ugo Foscolo, che pur incompiuta è considerata dalla critica il momento più schiettamente neoclassico della produzione dello scrittore di Zante. Il carme reca la dedica a Canova e celebra le figure della mitologia greca che portarono la civiltà tra gli uomini, prima della loro comparsa ancora privi di sensibilità per la bellezza e la poesia. La vicinanza intellettuale e ideologica tra Foscolo e Canova è testimoniata in mostra da un trittico di ritratti, firmati dal pittore François-Xavier Fabre, e risalenti a momenti diversi. A quello di Vittorio Alfieri, del 1793, sono affiancate infatti le immagini di Foscolo, del 1813, e di Canova, del 1812, dunque dello stesso momento in cui il primo metteva mano al poemetto, ispirato al gruppo del secondo.
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