Arte

Le prese di posizione ufficiali della Germania sul quadro richiesto dagli Uffizi

20 Gennaio 2019

Un paio di settimane fa il Direttore degli Uffizi di Firenze, il tedesco Eike Schmidt, in carica dal 2015, ha lanciato un appello per la restituzione del quadro Vaso di Fiori, rubato all’Italia dai soldati nazisti durante la Seconda guerra mondiale. Intraprendendo una strada inusitata, ha appeso una copia in b/n del dipinto con le diciture “Rubato!” ed in tedesco “Gestohlen!” e postato un video su You Tube.

Sul sito del museo si apprende che l’olio su tela del pittore olandese Jan van Huysum (1682-1749) fu acquistato nel 1824 dal Granduca Leopoldo II per la Galleria Palatina e per oltre un secolo restò esposto nella sala dei Putti, insieme ad altre nature morte olandesi del ‘600 e ‘700. Con l’inizio della guerra nel 1940 fu trasferito nella villa Bossi Pucci sempre a Firenze. Da qui la Wehrmacht tedesca però lo prelevò per trasferirlo nel 1944 a Castel Giovio in provincia di Bolzano ma l’opera, secondo le versioni ufficiali, fu trafugata dalla cassa. Comunque andò, se ne persero le tracce finché non ricomparve in Germania nel 1991, poco dopo la riunificazione tedesca. Da allora lo Stato italiano ha rivendicato -finora peraltro invano- di poter riavere il dipinto dagli eredi del caporale tedesco della Wehrmacht ed ex agente assicurativo di Kassel, Herbert Stock.

 

Le posizioni ufficiali tedesche

La notizia rimbalzata in Germania è stata riportata dalla prima rete televisiva nazionale ed oggetto di articoli, dalla Bild a Der Spiegel, ma l’attitudine delle Autorità della Germania è in buona sostanza di mostrare piena solidarietà all’Italia, pretendendo però di non sapere dove si trovi il quadro. Ad una specifica richiesta sull’olio su tela dell’olandese Jan van Huysum il Ministero Federale della Cultura ha risposto via mail il 14 gennaio affermando semplicemente che <in generale la Repubblica Federale tedesca fa tutto per favorire la restituzione di beni culturali illegittimamente acquisiti in guerra. A questo scopo porta anche avanti studi sulla provenienza (delle opere d’arte).> Ed in effetti il Ministero indica che per il 2019 ha stanziato a questo fine 7 milioni e mezzo di euro del suo budget e che l’interlocutore principale per i musei è il Deutsche Zentrum Kulturgutverluste di Magdeburgo, in essere dalla fine del 2014 per iniziativa della attuale titolare del dicastero. Per quanto riguarda il capolavoro reclamato dagli Uffizi il Ministero del Ministro Grütters si congeda indicando meramente <In questo caso concreto tuttavia dobbiamo rinviarla ai colleghi competenti del Ministero degli Esteri>.

Dal Ministero degli Esteri il 16 gennaio, pur squisiti nei modi si spingono poco più in là nella sostanza: <Il Governo federale appoggia gli sforzi degli Uffizi di Firenze di riavere il dipinto. Al Governo tedesco non è noto dove il quadro in questione si trovi effettivamente. Presumibilmente -si rimarchi che era già esplicitato nelle domande- è in mani private>. Soggiungendo come informazioni di riferimento per il giornalista che <il quadro è sia nella banca dati delle opere perdute quale bene culturale ottenuto in guerra, che in quella dell’Interpol>. In altri termini dunque, esso non sarebbe alienabile apertamente.

La cortina nella quale le autorità pubbliche della Germania hanno avvolto il caso, stando al Der Spiegel non è affatto nuova. Il quadro era stato inserito fin dal 1973 in un elenco curato da una commissione congiunta italo-tedesca, di 255 opere d’arte di proprietà italiana che non erano state ritrovate alla fine della guerra. Nel 1991 la Vecchia Pinacoteca di Monaco -ha scritto il settimanale- informò i colleghi italiani di avere avuto notizia che il quadro sarebbe stato sul punto di essere messo all’asta da Sotheby’s. La casa d’aste tuttavia, verificato che i diritti italiani su un bene pubblico acquisito illecitamente non erano prescrivibili, ne bloccò la vendita. Secondo il periodico tedesco cercò però ugualmente di vendere il quadro all’Italia offrendolo per un prezzo di 198.000 sterline, ma incassando il secco rifiuto dell’amministrazione italiana a pagare per un bene di proprietà dello Stato.
Il Corriere Fiorentino ha riferito poi il 16 gennaio di una lettera spedita nel 1993 a Palazzo Pitti dal funzionario di una banca al quale la direzione del museo si sarebbe rivolta per acquisire informazioni. In essa il funzionario si riferiva in modo esplicito al lavoro come rubato e suggeriva ai dirigenti del Museo italiano di rivolgersi alla polizia di Monaco; col che si direbbe che le autorità tedesche debbano sapere da 16 anni dov’è il dipinto.

L’attuale esercizio di diplomazia del dicastero degli Esteri, nel dare solo una parca risposta, potrebbe dunque difficilmente essere giustificato dalla pendenza di trattative con le quali non si vuole interferire.

Il Direttore degli Uffizi di Firenze Eike Schmidt aveva peraltro già dato conto che c’erano stati contatti attraverso degli intermediari con la famiglia che detiene l’opera di Jan van Huysum e che questa lo avrebbe restituito solo dietro indennizzo. Sarebbero stati richiesti dapprima 2 milioni di euro scesi in un secondo tempo -le versioni però qui si diversificano- a mezzo milione, o forse 250.000 euro.

 

La ricostruzione della vicenda: il Der Spiegel e l’avvocato degli attuali detentori del quadro a confronto

Il Der Spiegel ha scritto che il tramite delle offerte fu l’avvocato Edgar Liebrucks di Francoforte che aveva fama di avere i contatti giusti per aver fatto recuperare, dietro pagamento ai ladri ed una commissione per sé, dei capolavori rubati sia alla Tate Gallery di Londra che alla Kunsthalle di Amburgo. Nel 2011 l’avvocato Liebrucks sarebbe andato anche a trovare senza preavviso il direttore della Galleria Palatina proponendogli di acquistare il dipinto e facendogli scorgere un curriculum di Herbert Stock. Le autorità italiane ne fecero subito il nome agli omologhi tedeschi che però risposero che non era possibile determinare alcun recapito. Secondo quanto ha ricostruito il Der Spiegel nel febbraio 2017 l’amministrazione italiana chiese quindi collaborazione giudiziaria alla Germania per conoscere i nomi dei clienti dell’avvocato Liebrucks al fine di rinvenire il corpus delicti: il quadro sottratto. L’autorità tedesca deluse però gli italiani: non si potevano avere i dati dei clienti di un avvocato a meno che questi non avesse agito in modo illecito. I magistrati italiani potevano però presentare una richiesta di informazioni giudiziarie in ossequio alla normativa europea sulla collaborazione nelle investigazioni in materia penale. Cosa che -secondo Der Spiegel– la magistratura italiana fece il 30 luglio 2018 rivolgendosi dapprima alla Procura di Bonn e reiterandola poi per competenza a quella di Francoforte. Nel 2017 gli eredi del caporale Stock nel frattempo cambiarono avvocato ed incaricarono l’avvocato Nicolai B. Kemle di Heidelberg, un professionista specializzato nella legislazione sulla circolazione delle opere d’arte.

È stato già riportato dal 14 gennaio da più parti che l’avvocato Nicolai B. Kemle ha dichiarato che i suoi clienti sarebbero disposti a trovare un accordo. Ha anzi affermato che già nel 2017 sarebbe stato intenzionato a recarsi in Italia, tuttavia dovette soprassedere per motivi di tempo ed aveva quindi proposto un incontro ad Heidelberg, ma da allora non ci sarebbero stati più contatti col Museo italiano.

L’avvocato Kemle ha messo in dubbio tuttavia che il quadro fosse stato rubato dal nonno del suo cliente, il citato caporale tedesco della Wehrmacht Herbert Stock, perché quest’ultimo non sarebbe mai andato nei luoghi dove era conservato il dipinto. Egli potrebbe averlo invece “ottenuto in scambio per razioni alimentari o altro”, ovvero averlo meramente “trovato”. L’idea suggerita dal legale è che se fosse un oggetto perduto sarebbe ipotizzabile una ricompensa per chi lo ha rinvenuto. Per il patrocinante di Heidelberg non si sarebbe d’altronde neppure trattato di un trafugamento organizzato dai nazionalsocialisti. Eppure, il Der Spiegel il 4 gennaio citava che l’Obergefreite Stock scrisse il 17 giugno 1944, un giorno prima del suo 34° compleanno, alla moglie Magdalena del quadro che le stava per spedire ad Halle. E l’avvocato Kemle ha dovuto ammettere che non è effettivamente del tutto chiaro come il dipinto sia giunto in possesso della famiglia del suo assistito. Perciò ha indicato che vorrebbe avere accesso ai documenti degli Uffizi, ipotizzando che quindi si potrebbe ricorrere ad un arbitrato. Dove sia attualmente il quadro e chi lo detenga, non ha peraltro voluto rivelarlo.

La Procura di Firenze ad ogni modo ha aperto un’inchiesta, perché trattandosi di un bene del patrimonio dello Stato non era acquistabile legittimamente, con le ipotesi dei reati di ricettazione e tentata estorsione.

 

Il quadro normativo in Germania

Le linee guida da seguire per casi come quello in discorso in effetti sono state esplicitate già da vent’anni nella Conferenza di Principi di Washington sull’arte confiscata dai nazisti del 3 dicembre 1998 cui pure la Germania ha aderito. Anche se si tratta di una dichiarazione di intenti formalmente non vincolante e nella Repubblica Federale tedesca non esiste una legge specifica, ma meramente una dichiarazione congiunta del Governo, dei Länder e delle associazioni comunali di punta per l’individuazione e la restituzione delle opere culturali sottratte dalle persecuzioni naziste, in particolare in proprietà ebraica, del 14 novembre 1999. (A quest’ultima si deve poi formalmente aggiungere anche la decisione conforme del 4 giungo 1999 del Consiglio della Fondazione dei beni culturali prussiani o Stitung Preußischer Kulturbesitz). Sfociata nella costituzione da parte del Governo tedesco il 14 luglio 2003, in risposta agli ultimi due punti della citata Conferenza di Principi di Washington, della Commissione Limbach, per esteso Beratende Kommission im Zusammenhang mit der Rückgabe NS-verfolgungsbedingt entzogener Kulturgüter, insbesondere aus jüdischem Besitz. Un organo con poteri esclusivamente consultivi riformato dopo molte polemiche, nella sua composizione e mandato, il 2 novembre 2016. Il Governo tedesco peraltro ha ancora ribadito i propri impegni a restituire agli eredi degli aventi diritto i capolavori sottratti nella Seconda guerra mondiale in una Dichiarazione di Theresienstadt formulata a Praga durante una conferenza internazionale sull’Olocausto nel 2009.

 

La applicazione dei principi in pratica

Ciò nonostante a fronte di un patrimonio pubblico del demanio che vanta circa 50.000 oggetti d’arte in Germania finora sarebbero state identificate come bottino dei nazisti e restituite solo 54 opere. Lo si ricava dal sito del Bundesverwaltungsamt tedesco: le restituzioni sono avvenute tra il 2000 ed il 2018 (cfr. https://www.bva.bund.de/DE/Services/Buerger/Hobby/Kunstdatenbank/_ducuments/6_Restitutionen.html).
Oltre che le ricerche di provenienza, d’altronde anche le istanze di restituzione sono complicate: occorre produrre tutti gli attestati idonei a confermare senza soluzione di continuità il titolo ereditario ed un cittadino straniero, deve farli riconoscere dai giudici tedeschi dell’Amtsgericht Pankow-Weißensee.

Per il Presidente del Congresso mondiale ebraico Ronald S. Lauder <negli ultimi vent’anni i musei e le collezioni tedesche hanno fatto troppo poco> per restituire oggetti trafugati dai nazisti agli eredi dei legittimi proprietari <il fatto che la Commissione Limbach abbia elaborato solo 15 casi in 15 anni> (dal 2005 al 2017 nei suoi lavori si sono registrati in tutto e per tutto 6 pareri positivi, 4 favorevoli ad un indennizzo e 5 rigetti) <parla da sé, è vergognoso>, ha citato le sue parole l’8 gennaio la Jüdische Allgemeine (https://www.juedische-allgemeine.de/kultur/gruetters-gibt-raubkunst-gemaelde-zurueck/).

Lo scalpore suscitato dal caso del quadro di Jan van Huysum ha dato maggiore eco alla cerimonia con la quale lo scorso 8 gennaio la ministra della Cultura Monika Grütters (CDU) ha restituito il Ritratto di donna seduta del francese Thomas Couture (1815–1879) (https://www.bundesregierung.de/breg-de/aktuelles/weiteres-gemaelde-restituiert-1565926) agli eredi del proprietario originario, il politico ebreo francese ed oppositore al nazismo Georges Mandel ucciso nel 1944 da milizie francesi nei pressi di Fontainebleu, dopo essere stato internato fin dal 1942 a Buchenwald e nelle carceri di Parigi. Si trattava del 5° quadro della collezione di Cornelius Gurlitt -una raccolta messa insieme anche con molte opere ereditate dal padre Hildebrand, commerciante d’arte per i nazisti- del quale è stata effettivamente riscontrata la provenienza furtiva. La cerimonia peraltro non era stata fissata per rintuzzare l’attenzione mediatica sulla rivendicazione del Vaso di Fiori, ma giungeva a chiusura dell’esposizione di circa 200 delle opere d’arte alla Martin-Gropius-Bau di Berlino donate da Cornelius Gurlitt.

A margine delle responsabilità di guerra tedesche, si deve però anche aggiungere che anche in Italia furono sistematicamente trafugati per effetto delle leggi razziali molti oggetti d’arte ai proprietari; una pagina indagata solo nel 1998, quando fu investita del problema una commissione guidata da Tina Anselmi -come ha ricostruito in un saggio pubblicato l’anno scorso Fabio Isman- con restituzioni ed indennizzi tardivi e parziali.

Il tema della restituzione dei beni trafugati in guerra peraltro non è l’unico a dover assillare i curatori museali, anche dall’Africa sono giunte censure per i tanti artefatti esposti nelle collezioni europee sottratti attraverso il colonialismo. 

 

Immagine di copertina: https://youtu.be/_IO821OKC00.

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