Arte
L’arte di Fabrizio Dusi: un messaggio sociale e universale
L’arte può avere una forte valenza sociale, secondo Fabrizio Dusi certamente sì.
Ho avuto l’occasione di apprezzare anni fa le sue opere all’interno di un ristorante, che definirlo solamente tale è riduttivo, è una vera e propria galleria d’arte. La fortuna di averlo poi incontrato di persona, mi ha permesso di apprezzare l’uomo oltre l’artista, la sua timidezza, la sua sensibilità, il suo mettersi in gioco attraverso le proprie opere.
Fabrizio Dusi è un artista che spazia dal linguaggio della pittura alla scultura, al neon, un autore contemporaneo che attraverso le sue opere vuole lasciare messaggi sociali alla comunità, indagando l’attualità e partendo da lì per affrontare temi universali, come l’isolamento comunicativo, i diritti civili, la Shoah… In questa intervista ci parla degli ultimi dieci anni della sua attività e di progetti per il futuro.
Nato a Sondrio, studi di arte a Milano e oggi le tue opere sono in numerose collezioni private in tutto il mondo. Chi è, quando e come nasce l’artista Fabrizio Dusi?
Nel 2003 dopo essermi licenziato come web designer a Sondrio, decido di venire a Milano per cercare la mia strada. Inizio a frequentare un corso di ceramica alla Cova. Mi è piaciuto subito, ero già appassionato a questo materiale, mi piaceva l’oggettistica, mi piacevano gli smalti, ne ero già attratto. Ho iniziato a lavorare con dei ceramisti come tirocinante e nel 2005 ho preso in affitto uno spazio e ho iniziato a fare i primi lavori. Lavorare la ceramica è complicato, dopo un po’ di esercizio ho realizzato alcune composizioni e fatto delle piccole mostre e da li è cominciato tutto. Ci sono stati i primi riscontri, il primo articoletto uscito su una rivista di settore, piccole cose che hanno contribuito alla fase iniziale.
Da sempre le tue opere sono una contaminazione di tecniche e materiali, fra tutti spiccano la ceramica e il neon. Dove nasce la tua passione per questi due materiali? Quanto il materiale e la tecnica sono funzionale al messaggio che vuoi esprimere?
Sono stato da sempre attratto dalla ceramica, come dicevo, mi piacevano le forme e i colori. Il neon è venuto dopo. Mi ricordo che a Torino vidi una via con tantissimi neon, tantissima luce, una prospettiva che mi catturò subito e cominciai a usare questo materiale un po’ alla volta mischiandolo alla ceramica. Trovo che il neon sia un po’ un esaltatore della ceramica stessa. Ad esempio un’installazione con una serie di “SI” in ceramica e un “NO” finale con il neon, mi piace molto, diventa un rafforzativo, spinge di più il messaggio.
Le tue opere trattano messaggi sociali, spesso collegati al momento storico che si sta vivendo, pensiamo a “Basta BlaBlaBla” nel foyer dell’Aula Magna della Bocconi (2013) e ai progetti con la coperta isotermica del 2019. Da dove nasce questo impulso? Sono tutte tue ispirazioni o a volte ti viene richiesta una collaborazione?
Alla Bocconi mi era stato richiesta un’idea per allestire un grande spazio all’interno dell’università, parete ingresso aula magna. Ho fatto una mia proposta ed è subito piaciuta. Con il titolo “Basta bla bla bla” , opera che risale al 2013, volevo rappresentare un momento politico particolare ove le parole erano spesso spese a vanvera ma , con il senno del poi, devo dire che ancora oggi è forse più attuale di allora. L’utilizzo della coperta isotermica, nasce da un progetto che non è andato a buon fine, voleva rappresentare i 30 anni della caduta del muro di Berlino. La coperta completamente aperta sembra un muro ricoperto da numerosi mattoncini, perciò mi sembrava perfetto per quel progetto. E’ ritornato poi attuale nel 2019 per un allestimento nel centro storico di Bergamo “together”, su invito di Giovanni Berera, direttore della Fondazione Bernareggi di Bergamo. In quel periodo si stava vivendo la tragedia dei migranti e questo materiale rappresenta un bisogno di aiuto in un momento di emergenza. Tra l’altro è stato poco prima dell’arrivo del Covid e la città di Bergamo è stato poi la città simbolo tragico di questa pandemia. Questo materiale lo utilizzo come fosse una tela dipingendoci sopra e penso che dia un valore aggiunto al mio lavoro e ciò che voglio comunicare. Infatti credo che l’arte debba contribuire a dare dei messaggi anche di tipo sociale e universale.
Entriamo nel vivo dei tuoi progetti. Partiamo dal personaggio BlaBlaBla, che spesso hai definito autoreferenziale e che simboleggia la difficoltà di comunicazione, con tutte le sue sfaccettature, nell’era contemporanea.
I lavori dal titolo “Blablabla” solitamente sono abbinati ad un personaggio che in fondo mi assomiglia e a grandi installazioni fatte di parole in ceramica o neon. Il personaggio singolo che emette molti bla bla bla vuole rappresentare una persona che attraverso la sua capacità oratoria a volte parla del nulla, si parla addosso, che insomma parla molto ma che esprime pochi contenuti. Ho poi amplificato questo concetto nelle mie opere creando molti personaggi simili che stando tutti insieme non comunicano tra loro. In questo lavoro c’è anche un aspetto personale che rispecchia una mia difficoltà a comunicare con gli altri. Cerco di esorcizzare questo mio difetto con la mia arte usandola come una sorta di terapia. Negli anni ho sviluppato così una serie di opere e di personaggi, quali “monologhi”, “folla”, “classic family”, “classic lovers”, i quali sono diventati simbolo di incomunicabilità, di solitudine, di fragilità, di mancanza di rapporti.
Nel 2017 inizia un percorso sui temi della Memoria e della Shoah, con le tue opere per la Casa della Memoria sia di Milano sia di Roma, alle quali seguono l’opera “Mai più fascismo” esposta alla Fondazione Feltrinelli di Milano nel 2019. C’è un motivo particolare per cui hai scelto questo tema? Da cosa dipende secondo te questa nuova ondata fascista in Italia?
Il progetto artistico “Don’t Kill” per la Casa della Memoria di Milano nasce nel 2017 in un periodo denso purtroppo di attentati del terrorismo internazionale , di morte, un momento particolare, in cui si trascinava molta tensione. Volevo enfatizzare un messaggio contro l’odio razziale, un messaggio universale e sempre attuale che parte dal quinto comandamento che dice non uccidere. Questo progetto per la Casa della Memoria di Milano è nato durante una visita al memoriale della Shoah di Milano, sono stato ispirato dal luogo e dalla sua storia. Ho cercato fonte di ispirazione per i miei lavori tra le poesie e frasi di deportati. Mi ha colpito molto una frase di Liliana Segre “l’odore della paura” sentita in un suo video racconto, l’ho trovata una frase densa di significato, l’ho estrapolata e l’ho realizzata con il neon. Alla serata inaugurale ho avuto poi l’onore della presenza della stessa Liliana Segre e della sua testimonianza diretta, un momento di grande emozione. Il progetto realizzato per la Casa della Memoria di Roma è del 2018 ed è stato invece su commissione per l’anniversario delle leggi razziali del 1938. “Mai più fascismo” nasce invece per l’anniversario dei 100 anni dalla nascita del fascismo a Milano. Pensavo di realizzare l’opera nella piazza ove è nato ma non fu possibile, c’erano troppi vincoli e numerosi problemi logistici. Proposi poi l’idea alla Fondazione Feltrinelli di Milano che accettò subito l’idea. Era un’installazione luminosa all’interno delle vetrate dell’edificio realizzato da Herzog&DeMeuron, rimasta esposta per tre giorni. L’ispirazione nasce dopo una presentazione di Antonio Scurati del suo libro “M” dove parlava anche della Shoah, da qui la volontà, nel mio piccolo, di dare un mio personale contributo ad un tema così delicato. Mi ha fatto piacere che lo stesso scrittore fosse poi presente all’inaugurazione della mia opera. Il tema del fascismo è particolarmente delicato in questo momento storico. Penso che non si possa temere il ritorno di un regime dittatoriale anche se gli avvenimenti recenti sono decisamente preoccupanti e condannabili. Una minoranza di persone non può minare una democrazia fatta nostra negli anni dopo la fatica e il sangue versato dai nostri nonni e genitori. Detto questo non bisogna abbassare la guardia e soprattutto è importante non dimenticare.
Abbiamo già accennato al tuo progetto con la coperta isotermica, simbolo iconica di aiuto, ma che ci riporta subito anche a una triste realtà, la mancanza di empatia della società contemporanea e di una classe politica che gioca con la vita delle persone per ottenere consensi. Cosa c’è di tutto questo nel tuo progetto?
La coperta isotermica è un materiale speciale, che ripara dall’acqua, dal vento, dal freddo, riflette la luce, è usata per i tutti i generi di soccorso, è quindi un materiale di protezione e di aiuto. Su questa coperta dipingo i miei soggetti tra cui la folla che rappresenta la società contemporanea cioè tutti noi che abbiamo bisogno di aiutarci a vicenda. Prima di Bergamo ho fatto un’installazione con queste coperte dal tiolo “survival”. Sopravvivere non è solo un bisogno primario e primitivo individuale ma anche collettivo. Basti pensare ai problemi del nostro pianeta dal clima, alla pandemia, alle migrazioni. Purtroppo non è una novità che una parte della politica, non solo Italiana, speculi su certi fatti per un tornaconto di parte, quando invece su certi temi bisognerebbe essere tutti uniti, “together” appunto.
La coperta isotermica si ritrova anche nell’opera “Insieme al mondo piangere, ridere, vivere” per il Museo Civico delle Cappuccine di Bagnacavallo, realizzata in piena pandemia. Cosa accomuna i due progetti, che vedono utilizzare lo stesso materiale?
Il direttore Diego Galizzi del Museo Civico ha visto le mie opere e ha manifestato l’idea di un progetto che avesse come tema il distanziamento e il riavvicinamento, eravamo appunto a maggio dello scorso anno in una situazione particolare che tutti ricordiamo. Il tema della folla era perfetto, una serie di personaggi singoli che insieme cercassero un avvicinamento, il tutto rafforzato dall’utilizzo di un nuovo materiale che evocava protezione. Il titolo del progetto “Insieme al mondo piangere, ridere, vivere” è tratto da una poesia di Rosita Vicari (ma curiosamente attribuita per molto tempo a Pablo Neruda) e l’ho usato anche per un grande neon posto sulla facciata del Comune di Bagnacavallo. Queste parole fanno riflettere sui temi che hanno scosso le coscienze nei giorni del lock down: il distanziamento tra gli individui imposto dalle necessità sanitarie di quei mesi e, viceversa, il forte desiderio di tornare ad abbracciarsi, anche solo idealmente visto che l’anno scorso vivevamo ancora con molte restrizioni. Devo ringraziare in particolare anche Chiara Gatti che ha fatto la curatela della mostra.
L’ultimo tuo progetto “Golden Age” è realizzato sul Monte Verità di Ascona, dove sorse una comunità di anarchici ai primi del ‘900. Vuoi raccontarci come è nata l’idea e quali sono i temi che hai voluto mettere in risalto?
Proprio durante l’allestimento di Bagnacavallo Chiara Gatti mi ha proposto di realizzare un progetto artistico per la Fondazione Monte Verità di Ascona in Svizzera mettendomi in contatto con la direttrice Nicoletta Mongini. Conoscevo già la storia del Monte Verità ma ovviamente ho dovuto approfondirla. Mi sono focalizzato sul periodo iniziale di questa esperienza decisamente innovativa per l’epoca, parliamo della fine dell’800, in cui i primi abitanti della comunità trovarono in una collina sopra ad Ascona come luogo ideale per realizzare il loro progetto utopico e anarchico di tornare alle origini dell’umanità e a un rapporto primigenio con la natura, una sorta di paradiso terrestre da qui il titolo “Golden Age”, cercando di superare la tensione storica fra capitalismo e comunismo già presente in quell’epoca. Ho ragionato su alcune parole chiave come utopia, libertà, anarchia, cercando di trasformarle a modo mio utilizzando la ceramica, il neon e altri materiali, come la vetrofania, un materiale che solitamente uso poco ma in questo caso risultava perfetto per il lavoro “anarchy”. All’epoca questo esperimento sociale aveva fatto la storia della contro-cultura europea, sono passati da lì grandi artisti e intellettuali del nord Europa, e a preceduto i movimenti sessantottini del novecento. Il mio è stato un omaggio a quella comunità e ai loro ideali di fondazione. Ho cercato di adattare i miei personaggi allo scopo come, per esempio, la scultura in acciaio verniciato “Eva e Adamo”. Le mie tematiche si sono incontrate con le esigenze del luogo, la mostra coinvolge sia gli ambienti comuni dell’Hotel in stile Bauhaus che il giardino antistante l’edificio, in un percorso artistico studiato ad hoc. Colgo l’occasione di dire che una delle mie opere, “utopia”, sarà esposta al Museo del Novecento di Firenze dal 18/11/21 in occasione della mostra dedicata proprio al Monte Verità.
L’arte può avere una forte valenza sociale, come per esempio nel tuo caso, ma spesso la fruizione è ancora considerata come qualcosa di “elitario”, di non facile comprensione. Secondo te quali tipi di interventi andrebbero fatti, sia da parte delle istituzioni sia da parte degli artisti stessi, per superare questa impasse?
Dipende molto dall’artista e da quello che vuole comunicare, ci vuole poi la volontà delle istituzioni di mettersi in gioco e di fare. Ci vuole interesse ad ascoltare i progetti. Poi c’è un problema di risorse economiche, spesso mancano i fondi per realizzarli, la parte economica è fondamentale. Esiste poi un problema legato agli spazi anche se ne esistono alcuni come le metropolitane che potrebbero essere utilizzati in quanto hanno pareti libere e sono spazi pubblici molto vissuti. Un esempio da imitare è sicuramente la metropolitana di Napoli. Due anni fa ho realizzato un’opera per il passante ferroviario di Porta Garibaldi dove ho cercato di valorizzare uno spazio vuoto riprendendo parti delle poesie di Antonia Pozzi e Vittorio Sereni cercando di costruire una sorta di storia e un dialogo tra i due poeti. L’idea era proprio quella di regalare alla gente un momento di riflessione grazie alla lettura di alcuni versi dei due poeti. Ho notato un grande interesse da parte del pubblico, soprattutto da parte dei più giovani e delle donne.
Che periodo sta vivendo l’arte contemporanea in Italia e come si posizione l’Italia nel panorama internazionale?
A livello internazionale direi non molto bene e, a parte pochi artisti gli altri non riescono ad avere visibilità come pure i nostri curatori. In passato avevamo sicuramente una visibilità diversa che oggi non abbiamo più. Non so spiegarti il perché ma forse, come si usa di dire in questi casi, non facciamo sistema a partire dalle nostre gallerie d’arte poco presenti alle fiere internazionali d’arte, ai nostri Musei , alle strutture organizzative del Ministero degli Esteri.
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