Arte

Labadessa: «Do’ forma ai pensieri (più strani) a colpi di Ipad»

7 Maggio 2017

La sua pagina Facebook ha da poco superato la soglia dei 400 mila likes. Il pennuto dai tratti antropomorfi e il becco giallo che ha conquistato il web è ormai immediatamente riconoscibile e porta una e una sola firma: Mattia Labadessa. Perché ormai è impossibile non accostarlo al suo nome. Ipad artist, illustratore e graphic designer di talento, napoletano doc, a soli 24 anni ha già collaborato con marchi importanti, come Moleskine e Ferrero, e pubblicato un libro, Le cose così, edito da Shockdom (stessa casa editrice di Sio e Rincione). Lo abbiamo incontrato al Museo del Fumetto di Cosenza, dove è ancora in corso una mostra con le sue tavole, dopo un estenuante pomeriggio trascorso a firmare autografi e a intrattenere file chilometriche di fans. Mattia Labadessa ha voluto accontentarli tutti, uno ad uno. Per poi parlarci delle cose che fa, quelle che gli vengono…così.

Che bambino era Mattia Labadessa?

«Ero un bambino molto chiuso. Vivevo solo disegnando: guardavo i cartoni animati e poi cercavo di riprodurli su un foglio. Cominciai a disegnare all’età di quattro anni senza mai smettere, fino a che durante gli anni del liceo trovai finalmente il mio stile. Da lì in poi, arrivarono le prime proposte lavorative: quello per Paper53 fu il mio primo lavoro su commissione. Ma la mia vera fortuna è stata l’Ipad: mentre fino all’età di 19 anni disegnavo esclusivamente su carta, adesso utilizzo solo IpadAir3 e le app di Adobe Mobile, in particolare Adobe Draw».

Come è nata l’idea di questo uomo-uccello, ormai protagonista indiscusso della pagina Facebook “Labadessa”? In molti pensano si tratti del tuo alter-ego…

«È nata in maniera del tutto casuale e spontanea. Stavo ascoltando una canzone dei Tame Impala, “Feels like we only go backwards”, mentre fumavo dell’erba, e ad un certo punto ho immaginato questo personaggio strano, con il naso a forma di becco, ed ho subito buttato giù le prime bozze. Il risultato finale è il frutto di tutto un lavoro di rifinitura, di perfezionamento. Aprire la pagina, poi, è stato determinante. Quanto al discorso sull’alter-ego, potrei rispondere con un “sì e no”. L’uomo-uccello esprime i pensieri che tutti noi facciamo quotidianamente, e dunque non soltanto i miei, in particolare quel lato nascosto e spesso imbarazzante che non sempre riusciamo a tirar fuori con facilità».

Passiamo ai colori: il giallo e il rosso sono predominanti nelle tue tavole, un po’ alla Gauguin. C’è una motivazione dietro questa scelta?

«No, affatto. Io non sono del parere che dietro ad ogni scelta stilistica debba celarsi necessariamente chissà quale concezione simbolica o filosofica. Li ho scelti come colori semplicemente perché funzionano – almeno così pare – e perché contribuiscono ad armonizzare la pagina rendendo il mio stile, uno stile immediatamente riconoscibile. È fondamentale per un artista».

Quali sono i fumetti che leggi e apprezzi maggiormente?

«A dire il vero, non sono un grande appassionato di fumetti. Ad influenzarmi e a determinare la mia formazione sono stati diversi illustratori, più che fumettisti. Primo fra tutti, Riccardo Guasco, che ancora oggi rappresenta una delle mie principali fonti di ispirazione. Gli unici fumetti che ho letto in vita mia sono stati alcuni numeri sparsi di “Rat-Man””: l’ironia di Ortolani mi piace molto, è sottile e intelligente».

Altri progetti in cantiere?

«Fermo restando che se tutto dovesse andar male, potrei prendere seriamente in considerazione l’idea di aprire un ristorante (ride), sto lavorando al mio secondo libro, che stavolta non conterrà solo vignette, ma una vera e propria storia. Sarà una bomba!».

La domanda che non ti hanno mai fatto e a cui vorresti rispondere alla fine di un’intervista.

«La fai una canna?».

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