Arte
La troncatura del genio artistico al tempio maggiore di Paestum
Jasper Francis Cropsey, pittore americano del XIX secolo, nell’ambito di una consuetudine risalente al periodo rinascimentale, fu uno dei tanti artisti che da ogni latitudine del mondo si spinsero fino a Paestum per misurarsi con un paesaggio architettonico, che, allora, appariva in un’atmosfera incantata di straordinaria unicità, sospeso, com’era, tra la luce greca delle rovine e l’allegoria dantesca della descrizione classica. La potenza evocativa di Paestum, come si deduce dagli stessi dipinti, raggiungeva un livello di impressionabilità che induceva l’esecutore dell’opera d’arte, ancora in corso di lavorazione, a compiere un viaggio sensoriale, da cui traeva spunto per riportare sulla tela la percezione sensibile e la poesia silenziosa delle sue visioni.
Cropsey fa di più, si lascia andare oltre la realtà che lo circonda, al di là delle rovine isolate nella solitudine della campagna, fino a registrarne fedelmente lo spirito, per ricondurlo indietro, nel luogo dove si trova per dipingere: e, quel che vede nella forma geometrica del tempio non appartiene più alla sfera dell’esistenza in cui si muove, ma alla realtà ideale che egli ha trasportato dal punto più alto della sua immaginazione al raffigurato. Il tempio cosiddetto di Nettuno, viene ad assumere, così, una troncatura che ne ridimensiona la perfezione, ma non la bellezza, che viene caricata di un ulteriore significato simbolico e, pertanto, ancora più densa di quel fascino che solo i reperti storici esercitano con tanta forza.
Il tempio, concepito nella sua struttura come se fosse l’insieme divino della personalità del Dio al quale è stato dedicato? Dovrebbe essere semplicemente bello, dunque, non perfetto nella prospettiva dell’assoluto, così come indica la sua massa lineare nella dimensione dello spazio e del tempo. Il pittore che ha attraversato l’oceano per contemplare l’edificio da vicino sa che gli Dei sono potenti, ma non inappuntabili, e quel tempio, nella rappresentazione che l’artista intende farne, non può assurgere a modello di perfezione, poiché il suo Nume tutelare, come tutti gli Dei, non è perfetto e ha debolezze troppo umane. La struttura non può, pertanto, essere dipinta così come si presenta ai suoi occhi, in una compiutezza architettonica eccellente, come la testimonianza prodigiosa della bellezza sempre eterna di un’opera antica che resta inspiegabilmente integra, completa, incorrotta, troppo distante dall’essere considerata una rovina. L’indagine sul campo di Cropsey, mediante lo sguardo ravvicinato al maestoso monumento, lo mette in una condizione di stupore. Comprende, l’artista americano, che l’ammirazione per quelle colonne disposte in armonia non può arrestare la sua volontà di modificarne la continuità strutturale: egli stesso stenta a credere a quel che vede, e da “vedutista”, si trasforma in “rovinista”, conferendo al tempio un intervallo portante che non ha e, in teoria, una parvenza di “rovina”. In pratica, spezza il tempio, senza minimamente ridimensionarlo. La modifica apportata da Cropsey al tempio di Nettuno è l’artifizio ideale più straordinario che sia stato mai creato per esaltarne la bellezza. La sua opera resta tra le più sintomatiche nel panorama artistico complessivo inerente ai monumenti di Paestum.
(oscar nicodemo)
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