Arte
LA STORIA DIETRO LA PORTA
Il 7 dicembre l’Italia celebrerà la giornata dell’Archeologia, che con visite guidate e conferenze cercherà di valorizzare questa disciplina, da anni ormai limitata all’ambito universitario. Eppure l’Italia, paese che ha visto grandi archeologi come Ranuccio Bianchi Bandinelli e Alessandro della Seta, oggi non solo ha perso la memoria del suo glorioso passato nel campo delle ricerche della storia e dei costumi di popoli come i Romani e i Celti, ma addirittura vede l’archeologia come qualcosa da relegare a una nota a piè di pagina in un libro di storia classica.
Forse perché la celebrazione del passato venne strumentalizzata da Mussolini, che dalla sua ascesa al potere fino alla caduta nel 1943, non esitò in più di un’occasione a paragonare se stesso e i suoi uomini ad Augusto, l’imperatore che dopo l’assassinio di Cesare aveva saputo dare una svolta alla Repubblica Romana e l’aveva trasformata in un ricco e potente impero, durato fino al IV secolo d. C. Un riferimento che, sotto il fascismo, traspare nelle ricche decorazioni di Mussolini e dei suoi uomini, oltre che nelle manifestazioni che furono promosse in onore del regime, tra le quali la mostra per i duemila anni dalla salita di Augusto al potere nel 1937, che fotografava una visione distorta e manipolata della storia romana da Romolo fino all’avvento del primo imperatore.
E anche i grandi studiosi, come Della Seta e un giovanissimo Massimo Pallottino, che sarebbe diventato uno dei più grandi etruscologi del secondo Novecento, non esitarono a mettersi sotto la protezione del duce e a confermare che quello lui raccontava su Augusto fosse la verità, accecati dal miraggio della gloria riflessa a fianco del potere.
Anche i grandi scavi archeologici italiani, come Pompei e i Fori Imperiali, vennero modificati per fare spazio a quello che secondo Mussolini era il vero credo dell’antico romano, la gloria dell’uomo come militare e padre di famiglia, con esiti davvero devastanti per la storia dell’archeologia italiana.
Durante la seconda guerra mondiale le conseguenze di tutto questo non si fecero attendere, con la morte prematura di Della Seta nella sua casa di Casteggio nel 1944 e il ripensamento di Pallottino con il suo lavoro Etruscologia del 1943, ma ormai era troppo tardi.
Quando la seconda guerra mondiale finì, Ranuccio Bianchi Bandinelli cercò in tutti i modi di riportare l’archeologia italiana alle vere radici, con anche i suoi lavori sull’arte romana e greca, ma dopo la sua morte, nel 1975, i suoi sforzi caddero nel dimenticatoio.
Anche Pompei, dopo la ripresa degli scavi alla fine degli anni Sessanta, con il terremoto del 1980 venne lasciata al suo destino e oggi, per le migliaia di turisti che vengono ogni anno a vederla da tutto il mondo, è solo una città morta, dove calcinacci e antichi mosaici cadono giorno dopo giorno in uno stato di degrado sempre più grave.
Persino gli archeologi migliori del secondo Novecento, come Giovanni Pettinato, hanno dovuto lasciare l’Italia e scavare in Giordania, dove hanno contribuito alla scoperta alla fine degli anni Cinquanta della città di Ebla, uno dei tesori nascosti del Medio Oriente.
E oggi?
Cosa ci rimane del lavoro di Pallottino, Della Seta, Bianchi Bandinelli e Pettinato?
Davvero l’archeologia italiana è morta per sempre?
Vedremo luoghi come Pompei e i Fori Imperiali andare sempre più in degrado fino a diventare polvere?
Adesso in occasione dell’Expo 2015, diciamolo con chiarezza: l’archeologia italiana può ancora rinascere. Il lavoro dei grandi archeologi deve essere ricordato con una mostra che li possa inquadrare nel loro contesto storico e sociale. Le università italiane devono dare uno spazio maggiore all’archeologia, togliendola dalla mummificazione in cui è caduta da anni. Pompei e i fori imperiali dovrebbero tornare a essere dei fari di cultura e di civiltà, che ricordino a tutti le bellezze dei secoli passati e le radici del nostro presente.
Certo, forse questo è solo un sogno che è irrealizzabile, ma la giornata dell’archeologia è qui anche per questo: per ricordare che in Italia ci sono piccole e grandi bellezze archeologiche che possono essere valorizzate con un attento lavoro di conservazione dei beni e di pubblicità.
Ad esempio in Toscana ci sono i resti etruschi della città di Cortona, tra cui le famose tavolette che hanno dato il via al difficile studio della lingua etrusca, mentre nel cuore del Lazio le tombe di Tarquinia, che sono in cattivo stato di conservazione, e in Emilia Romagna la città di Spina, che rappresenta l’anello di congiunzione ideale tra la storia dei Greci in Italia, gli Etruschi e l’antica Roma del periodo repubblicano.
Per non parlare delle piccole realtà archeologiche che passano del tutto inosservate, come il museo archeologico di Gambolò, vicino a Vigevano, oppure gli scavi liguri sui Balzi Rossi, nei dintorni di Ventimiglia, che hanno permesso di individuare i primi passi dell’uomo di Cro Magnon e di come i Celti dalla Francia siano arrivati sulle coste della Liguria.
Oppure si può ricominciare dall’archeologia industriale, che negli ultimi anni ha visto un certo revival nel Nord Italia, o ancora dallo studio delle tradizioni contadine, che ha favorito la nascita di piccoli musei di notevole livello culturale, come quello di Olevano Lomellina o di Albairate, che meriterebbero di essere valorizzati di più dalla giornata dell’archeologia e non essere considerati solo una semplice curiosità locale.
È forse è proprio da piccoli siti archeologici, come quelli liguri e lombardi, che l’archeologia italiana può trovare una strada per tornare a essere se stessa, senza dimenticare due città come Roma e Pompei, che sono state le prime nel Settecento a insegnare un nuovo modo di leggere la storia, liberandola dai noiosi libri dei grandi studiosi e dando realismo agli scrittori latini e greci.
Allora, com’è possibile che l’Italia, al primo posto nella lista Unesco per il numero dei siti Patrimonio dell’Umanità, debba dedicare una sola giornata all’anno all’archeologia, in un paese, dove davvero basta aprire la porta per trovare un pezzo di storia, da quella classica a quella medievale, un paese dove invece molti tesori sono nascosti dietro la porta chiusa dei magazzini nei musei? Un’Italia dove gli archeologi e gli storici dell’arte stentano a trovare posto. Forse lo studio della storia antica è servito solo a supportare regimi dittatoriali che hanno cercato in questo un sostegno e una legittimazione?
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