Arte

La primavera, una stagione d’arte e d’amore

21 Marzo 2024

Bene, è primavera! Cosa sappiamo dell’opera pittorica che da secoli ne è il simbolo più eloquente? Conviene subito dire che l’opera di Botticelli (1478), “La primavera”, appunto, racchiude un racconto pazzesco e intricato. E, allora, come guardare alla scena del grande dipinto della rinascenza umanistica italiana, splendido e in qualche modo anticonvenzionale esempio del genio evocativo della pittura quattrocentesca? La lettura del maestoso quadro, che misura 207 x 319 cm, andrebbe fatta, come suggeriscono gli esperti, da destra verso sinistra, così come con le lingue semitiche, slacciandosi da ogni canone critico di tendenza ed evitando ogni tipo di categorizzazione, magari lasciandosi trasportare dai risvolti sinuosi della disposizione ondivaga delle figure, le cui movenze delicate danno il senso dell’amore, della serenità e prosperità che aleggiano nel giardino di aranci e di alloro.

La prima figura che incontriamo è un essere bluastro: Zefiro. Come tutti sapranno, nella mitologia greca è il Dio del vento occidentale, leggero e assai apprezzato poiché il suo soffio porta frutti. La donna a cui si avvicina è la sacerdotessa Clori, di cui era follemente innamorato, tanto da rapirla. E lo straordinario artista dipinge proprio l’attimo in cui la rapisce: lo si intuisce dallo sguardo della donna, sorpresa e impaurita, che neanche tenta di fuggire alla presa della divinità. Ma, si faccia attenzione! Al tocco del Dio spuntano dalla bocca di Clori dei fiori. Perché mai? Presto detto: dopo l’unione con Zefiro lei sarà Flora, portatrice della rigogliosità della natura, non più la sacerdotessa Clori. Infatti, scorrendo ancora verso sinistra, possiamo osservare la sua immagine, ormai nelle decorate vesti divine, che guarda verso l’osservatore. Ma, non sta ferma, sparge fiori sul prato! Al centro della composizione si delinea Venere, anche lei rivolta verso chi guarda l’opera. Regge con la mano il lembo del vestito che indossa, accennando a un saluto. È come se ci stesse dando il benvenuto in questo meraviglioso luogo. Ed è lo stesso gesto che Maria rivolge all’Arcangelo Gabriele quando questi le dirà che porterà in grembo il figlio di Dio. Un’occhiata, in questo caso, alla “Annunciazione” di Leonardo da Vinci rivelerà la correlazione.

Su di lei vola Cupido, che, cieco, scaglia le sue frecce a casaccio. Eppure, sembra mirare. Chi intende centrare il Dio dell’amore? Molto probabilmente una delle tre donne che si tengono per mano, presumibilmente quella al centro: sono le Tre Grazie, divinità legate alla natura. Aglaia è la più giovane e rappresenta la bellezza e la gloria, Eufrosine è il simbolo della felicità, Talia interpreta la prosperità. In ultimo, Mercurio, che sta adoperando il suo peculiare bastone, il Caduceo, per scacciare le nuvole grigie. Protegge, evidentemente, il giardino dall’arrivo delle tempeste. Tutto lascerebbe pensare, dunque, a una quieta riunione tra diverse divinità dell’antichità. Ma, si tratta del primo livello di lettura del celebre dipinto, a cui ne seguono altri che conducono al ruolo e agli umori dei suoi committenti: la famiglia de’ Medici. E qui si entra in una sorta di gossip rinascimentale, un intrecciato e controverso resoconto storico intorno agli amori e le passioni di una famiglia  dominante, in cui vengono coinvolte figure femminili di grande rilievo, diventate “modelle” di capolavori assoluti, come Caterina Sforza, Semiramide Appiani e la splendida Simonetta Vespucci, la protagonista della “Nascita di Venere”, che ne “La primavera” presta il suo volto al personaggio di Flora.

 

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