Arte

La memoria di pietra

12 Giugno 2020

A proposito della furia post Floyd (ci stava Pink Floyd, ma di rosa c’è ben poco) mi imbatto nelle parole di uno storico dell’arte, e trattengo giusto due cose, semplici. Le statue sono Stratificazioni della nostra storia: quel che è stato è stato, e sedimenta. Monumento deriva da ‘memento’: memoria.

Credo che la grande maggioranza dei viventi di fronte a una statua pensi al volo a una sorta di eroe, al mitologico (Mitologia è sorella leggiadra e ingannevole di Verità): se il tizio ha una statua tutta per lui è perchè è stato un figo della madonna, nel suo campo (sono quasi sempre maschi, ma l’attributo che suona meglio è femmina).

Che ne abbia poi commesse di orrende, bisognerebbe mettersi ad approfondire, per scoprirlo. E il profondo è una sbatta. Elitario.

Un altro particolare non da poco sta nel fatto che le statue del personaggio sono state poste sempre nel suo tempo, spesso commissionate da lui stesso. Una variante un po’ meschina della memoria storica, diciamola tutta. La storia siamo noi, siamo noi padri e figli… Vabbè.

Ora andiamo alla cronaca iconoclasta. Prendiamo il signor Leopoldo II, statua che intorno alla quale ci si agita in Belgio. Riconosciuto come monarca illuminato e costruttore in patria, in Congo ha agito alla pari di un qualunque nazista. I fatti raccontano che si arricchì con il commercio di avorio e gomma, e fra le tante schifezze alla base di questa produzione una, nemmeno la più efferata, era il taglio di una mano o del piede ai neri ammassati al lavoro che non raggiungevano lo standard stabilito. Soprattutto a donne e bambini. Lo capisco che girino un po’ i maroni vederne il profilo stagliarsi solenne.

Dei casi italici, sempre un po’ sui generis, la diatriba più accesa coinvolge la statua di un giornalista, che è stato però onorato della pietra a sua insaputa. Da omino di quella specie apprezzo parecchio la prosa di Montanelli, asciutta e affilata. L’uomo invece mi lascia perplesso. La vicenda sposa/bambina è solo una conseguenza dell’italico opportunismo facilone, dal quale non era immune. Ma è un tratto caratteriale che, se ancora non si annovera tra le qualità, passa comunque facilmente come istinto naturale. Non riuscirò mai a digerirlo. Problema mio.

L’altra finestra del conflitto ideale si è aperta sulla figura di Vittorio Emanuele II, a Torino, definito e imbrattato come colonialista. Bastano quattro clic per scoprire che il ragazzo c’entra poco e nulla, con le colonie.

Non meritavano entrambi una statua, ma nemmeno questi esaltati in bomboletta.

Al dunque. Abbattere, ma anche rimuovere, oltre a essere triste, è un gesto che non risolve nulla: la polvere che si alza da una caduta massi contagia e annebbia. Sarebbe molto più efficace e duraturo scrivere sotto ognuna di queste statue la miseria e la grandezza del raffigurato. Oppure metterci un barcode, più agile e adatto ai tempi. Un barcode al quale incollarsi per sapere in sintesi chi era e cosa lo ha distinto. Senza giudizi e interpretazioni. Solo fatti, spietati, figli di documenti. A quel punto il monumento potrà vantare l’etimologia di memoria. E starsene lì a ospitare la meritata pausa degli uccelli.

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