Arte

Intervista a COLLETTIVO FX. Per una narrazione a colori

23 Ottobre 2015

Collettivo FX è incontenibile.
Il loro sito non sta al passo. Per vedere quello che fanno devi andare su facebook, perché le loro teste e le le loro mani vanno talmente veloci che solo l’istantanea di un social network può darne conto in termini di comunicazione.
11150998_463301237157256_5953085013250642839_nCiò che ti colpisce è la fame di storie e di muri, un desiderio di conoscere, scoprire e disegnare, genuino e scevro da retro pensieri, nessuna velleità ma la gran naturalezza di essere artisti e non artistoidi.
Il rischio dell’autoreferenzialità, proprio di chi, artista o meno, espone un pezzo di sé, viene qui superato dalla relazione che viene costruita prima di appoggiare il pennello al muro. Una relazione con un territorio, con una storia, con una persona o una comunità. Da qui si parte, poi si aprono le porte posteriori del furgoncino, si tirano fuori i secchi di pittura, i pennelli, si recupera l’asta legata al tetto quasi fosse la lancia di un cavaliere e via.
Per il progetto Time Specific vi ritroverete in carcere e in un’altra casa di riposo. Cosa significa dipingere in luoghi come questi? Da dove si parte nella costruzione della relazione? Quali sono le attenzioni in più, se ci sono, che questi luoghi richiedono?
Sono luoghi dove la necessità di relazione è forte e quindi si crea facilmente una connessione con le persone che vivono quelle situazioni. Il problema vero è “cosa ci stiamo a fare lì?”. Qual è l’obiettivo? Uno che fa disegnini su muro cosa può fare di minimamente utile in un contesto del genere? Fondamentale avere una risposta a questi dubbi. Ancora più fondamentale e che la risposta non venga data dal divano di casa propria, ma prendere il proprio bagaglio di sana ignoranza e portarli lì per ragionarci con loro.

11826055_502016659952380_1673595035828182117_nL’ultima volta che ci siamo visti a Bergamo, e vi abbiamo rinchiusi in una scatola, ci avete accennato del viaggio che state per intraprendere attraverso l’Italia, un viaggio di storie e di matti, di che cosa si tratta?
“Dietro ogni matto c’è un villaggio”, è il titolo del viaggio. Attraverseremo l’Italia da Bolzano a Marsala a dipingere i “matti del paese”. Quel matto con cui tutti parlavano e sorridevano. Una figura centrale nella vita del paese, più del sindaco e del medico. Dipingere un matto significa, quindi, provocare ricordi di comunità, aneddoti che coinvolgevano la collettività. E, inevitabilmente, quando si parla di matto del paese si parla del paese. Un progetto che vede come protagonista i Matti ma che in realtà ha come argomento la vita di comunità. La difficoltà maggiore sarà non tanto dipingere ma raccontare cosa accade durante queste pittate. Ci proveremo!

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Voi siete un vero e proprio collettivo nomade, anche con Nemo’S spesso vi fate dei gran giri in bicicletta e pennello. Lasciateci sognare un po’ e raccontateci un aneddoto di uno di questi viaggi!
L’aneddoto è che una sera durante il viaggio abbiamo cucinato in una cucina e poi siamo andati a letto in un letto. Tutto è talmente stravolto che l’aneddoto, l’eccezione, diventa la normalità. Mangiare, bere, dormire, diventano cose fondamentali. Le relazioni con le persone una cosa straspontanea. Per non parlare del rapporto con il sole, il vento, la pioggia e il paesaggio. Insomma, ogni cosa prende un “sapore” molto più potente. Quindi prendete sta cacchio di bici e andate a godervi sta cacchio d’Italia che è strapotente!

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Dagli anni ’90 ad oggi la street art ha fatto un percorso incredibile, nel bene e nel male, andando a ridefinirsi come arte pubblica. Quali sono le prospettive di questo mondo, secondo voi, da qui a dieci anni?
“Non c’è mai stata così tanta Street art come in questo periodo” si dice ora. “Non c’è mai stata così tanta fotografia come in questo periodo” si diceva cinque anni fa. “Non c’è mai stata così tanta pittura figurativa” si diceva dieci anni fa. “Non c’è mai stata così tanta arte concettuale” si diceva vent’anni. E’ la stessa onda che si muove da decenni in diversi contesti spingendo le situazioni e poi ritirandosi lasciando a secco soprattutto chi quell’onda l’avevano semplicemente cavalcata e non affrontata. Quanti Street artist sono consapevoli della natura di quest’onda? E quanti sono consapevoli che cavalcarla è la cosa più comoda ma che li rende anche più fragili? Tra dieci anni probabilmente ci sarà molta Street art, ma anche molti ex Street artist.Speriamo ovviamente di sbagliarci.

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Ci segnali un artista per te interessante e ci dici brevemente perché proprio lui? Non “il più bravo” ma uno che, secondo i tuoi criteri, vale la pena andare a scoprire per il tipo di lavoro che fa.
Rimaniamo sempre affascinati da chi ha famiglia, un lavoro normale e altri mille sbatti, ma prende su rulli e spray e va a pittare. Come Reve+, Psiko Patik, Swing, James Kalinda, Signora K ilProff e Cook. Per loro dipingere non è un lavoro ne un piacere, ma una necessità vitale. Secondo noi, loro sono quelli che realmente rappresentano il valore e il senso di dipingere. Abbiamo provato a proporre un documentario sui Graffitari padri di famiglia ma senza successo. Speriamo che prima o poi qualcuno ci rubi questa idea.

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