Arte

In Attesa, Mimmo Jodice al Museo Madre di Napoli

24 Giugno 2016

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Vorfreude ist die schonste Freude, un proverbio tedesco dice : “Pregustare è il modo migliore di gustare”.

La lingua tedesca, ricca di prefissi e suffissi e le sue catene lunghissime di  parole, ne ha spesso di precise per descrivere emozioni complicate. Vorfreude è una di queste, una sorta di pregioia.

L’attesa è sempre una condizione esistenziale, compagna del percorso di vita di ciascuno che immancabilmente  incontra speranza, dubbi, sentimenti.

Attendono  anche  I due personaggi clowneschi di “Aspettando Godot”  che aspettano chissà  chi, chissà  che cosa, ma  Vladimiro e Estragone  siamo tutti noi, proiettati verso i nostri desideri, immobilizzati nello stesso tempo.

“Attesa”  è  la più ampia mostra  retrospettiva mai dedicata alla ricerca artistica di   Mimmo Jodice , maestro napoletano nonché uno dei più raffinati fotografi contemporanei, ospitata  al  Madre dal 24 Giugno al 24 Ottobre. In un percorso retrospettivo appositamente concepito dall’artista per gli spazi del museo Madre, la mostra presenta più di cento opere suddivise in sezioni che non sono a se stanti, ma dialogano e si compenetrano tra di loro.

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Amante del teatro, dell’arte e della musica, sin da ragazzo Mimmo Jodice da autodidatta si dedica al disegno e alla pittura. Agli inizi degli anni sessanta, scopre la fotografia accingendosi in  una serie di sperimentazioni sui materiali fotografici.

Vive l’attesa con la speranza che tutto possa andare positivamente, per lui attendere  significa sperare che qualcosa avvenga, forse, “aspettiamo con paura, preoccupazione, insicurezza”, dice.

Una parola comune, attesa, che evoca un’ immagine profonda, da “ad tendere”, tendere verso, l’attesa reca nel suo significato anche il concetto di dedizione.

Non essendo un amatore della foto digitale, l’attesa per Jodice è anche  il tempo  della pratica analogica, una pratica che si nutre di pazienza,  è attento, appunto,  nell’aspettare e cogliere la luce adatta, solitamente quella mattutina che svela la natura più intima e reale  del soggetto  così come  è attento nel bilanciare il bianco  e il nero in camera oscura.

Qui, amplificando  le potenzialità estetiche e creative,  ridipinge le  immagini, il bianco diventa abbagliante e il nero divora quasi interamente la figura. La scelta del bianco e nero non è una scelta puramente estetica, ma al contrario è  stata una scelta meditata come tutto il suo lavoro creativo: secondo Jodice  il colore è descrittivo, è più fedele alla realtà, mentre nel bianco e nero c’è più spazio per l’immaginazione.

Per l’artista, la fotografia, infatti,  non è uno strumento puramente descrittivo, è  creazione, implica il pensare, progettare, costruire, deve essere capace di  sollevare dubbi e  creare discussioni. È  ancora  manufatto che mette in scena la vita non così come la fotografia documentaristica pretenderebbe di fare, ma coinvolgendo un’ intelligenza critica e lo sguardo personale di chi osserva.  La sua  fotografia, insomma, non è  un linguaggio da utilizzare  per fare copie della realtà, ma per realizzare immagini pensate.
La luce è un altro elemento essenziale dei lavori di Jodice, è  ciò  che permette di vedere, di fare delle scelte , di cogliere il momento ottimale in cui l’equilibrio tra ombra e luce diventa più efficace e disegna l’oggetto  al meglio. Le sue storie sono  racconto con la luce, hanno  a che fare col plasmare sogni, dare vita a soggetti, semplicemente ricordare.23. Attesa, Opera nr. 9 2012 ridimensionata

Non è il messaggio che vuole comunicare l’artista, ma suscitare un coinvolgimento emotivo, eterno conflitto tra il mondo interiore e l’aspetto esteriore delle cose.

La mostra accoglie, come tradizione al Madre, la prima opera di Jodice  in prossimità della strada. Si tratta di “ Teatralità quotidiana a Napoli ” che, nel formato di una grande proiezione cinematografica, mette in scena immagini che ritraggono una Napoli degli anni 60 e 70. Troviamo  aggregazione di uomini  che sfilano in cortei del partito comunista, feste popolari, scene di vita di segregazione all’interno delle carceri e dei manicomi chiusi  a seguito della legge Basaglia. E’ ritratta la vita di strada, i bassi, le periferie napoletane, il lavoro in fabbrica, gli stabilimenti di Bagnoli.

Superando l’intento documentaristico, nel suo chiaroscuro sociale e culturale  descrive le contraddizioni della sua città  attraverso un ribaltamento del punto di vista che è quello del soggetto rappresentato e  a cui dà unità il suo di  sguardo, impregnato di valore etico e civile.

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Alle lacerazioni di un tessuto sociale presente in “Teatralità quotidiana a Napoli”, fa da contraltare nella sezione dedicata alle sue ricerche sperimentali, la foto  “ Taglio” che è  effettuato proprio  dalla mano  dell’artista, la stessa che scrive a penna sulla fotografia le parole del titolo  “Vera fotografia”.

 

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Sovvertendo l’idea di una fotografia specchio della realtà, Jodice  viola le regole, indaga e sperimenta le potenzialità espressive del mezzo fotografico: in “Frattura”, “Paesaggio interrotto”, “Strappi”, “Passaggi”,  strappa , accosta, sovrappone inserti, crea  elementi tridimensionali.

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Realizza quella  libertà  ideativa e compositiva  che risale alla sua scoperta delle potenzialità offerte dall’ingranditore come strumento in grado di consentirgli un lavoro creativo  oltre la fotografia delle occasioni e che fa dei concetti extrafotografici di tempo di esposizione  e grado di luminosità la sua identità stilistica. Esalta, quindi,  il valore modernista  del processo rispetto al prodotto.

In “Vedute di Napoli” pubblicato nel 1980 il suo linguaggio fotografico assume sempre più una connotazione visionaria, lo spazio urbano si svuota, diventa irreale. Il suo obiettivo non si rivolge più alle vicende più immediate, la figura umana scompare per lasciare posto alla sua personale interpretazione del reale.

Oltre alla scomparsa dell’uomo, il grande assente nella fotografia dell’artista  è il tempo. Non ci sono nella sua opera  tutti quegli elementi che datano, connotano e fissano l’immagine.  Il tempo, è un tempo indefinito, sospeso, un tempo oltre il tempo in cui  passato, presente e futuro convergono.

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La fotografia, insomma, più che documentazione oggettiva è documentazione di un paesaggio interiore, più che rappresentare un luogo rappresenta una rivelazione a prescindere dal dove.

E così un istante eterno, in uno spazio e tempo ricreati al di fuori della realtà, le rovine di Palmira si trasferiscono nel collasso delle Twin Towers.

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In questa trasfigurazione di luogo e tempo, prende corpo la matrice visionaria di Jodice , quella creazione di una reale al di là della realtà che conferisce  alle sue fotografie  una dimensione straniante e surreale che trova un corrispondente emotivo e intellettuale nel Surrealismo richiamato in mostra dall’opera di Magritte (L’Amour).

37. Magritte, L'Amour ridimensionata

 

In “Transiti”, è visibile il  confronto fra volti e corpi della Napoli contemporanea e  i capolavori della collezione  del Museo Nazionale di Capodimonte  e viene stabilita  una relazione tra incanto del paesaggio naturale e la fantasmagoria metropolitana delle città contemporanee.

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La rottura di argini spaziali si realizza anche nella rappresentazione di un mare quasi sempre senza costa.

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Chi è nato in una città di mare  stabilisce un rapporto quasi personale con l’ acqua attorno a cui sono nati primi insediamenti umani. Durante tutta la sua vita, Jodice  dà voce ad emozioni che  insistono nel tempo e nella  mente, immortala quei luoghi che affacciandosi sul Mediterraneo sono stati culla della civiltà occidentale, luoghi privilegiati dai commerci  e depositari di innumerevoli storie raccontate da sculture  che si rifanno a antichi  miti.

Terminata la mostra si ha la consapevolezza che  la fotografia di Jodice sfugge a quel tempo  che Roland Barthes definisce noema della fotografia,  quello cioè di un istante  che “è stato sicuramente,  inconfutabilmente presente, e tuttavia è già differito”.

Dinanzi ad un  bianco e nero che insieme all’attesa collocano  l’umano  in uno spazio e in un tempo qualunque, superando limiti  spostati in una dimensione eterna e sottratti all’azione dissolvente del tempo, viene da chiedergli  cosa consiglia a chi si avvicina oggi alla fotografia.

Risponde, con occhi sorridenti   di chi è passato attraverso strade tortuose prima  di  vedere riconosciuto a pieno titolo  il suo talento, che per prima cosa bisogna innamorarsi. ” Quando ci si innamora non si bada a spese, al tempo, la dedizione è totale”.

Se nella pubblicità dell’Averna  un attempato Andy Garcia esalta il valore dell’attesa per raggiungere la perfezione, per gustare l’ intimità visionaria e  silenziosa del lavoro di Mimmo Jodice  occorre, invece, rompere gli indugi.

 

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