Arte
In Attesa, Mimmo Jodice al Museo Madre di Napoli
Vorfreude ist die schonste Freude, un proverbio tedesco dice : “Pregustare è il modo migliore di gustare”.
La lingua tedesca, ricca di prefissi e suffissi e le sue catene lunghissime di parole, ne ha spesso di precise per descrivere emozioni complicate. Vorfreude è una di queste, una sorta di pregioia.
L’attesa è sempre una condizione esistenziale, compagna del percorso di vita di ciascuno che immancabilmente incontra speranza, dubbi, sentimenti.
Attendono anche I due personaggi clowneschi di “Aspettando Godot” che aspettano chissà chi, chissà che cosa, ma Vladimiro e Estragone siamo tutti noi, proiettati verso i nostri desideri, immobilizzati nello stesso tempo.
“Attesa” è la più ampia mostra retrospettiva mai dedicata alla ricerca artistica di Mimmo Jodice , maestro napoletano nonché uno dei più raffinati fotografi contemporanei, ospitata al Madre dal 24 Giugno al 24 Ottobre. In un percorso retrospettivo appositamente concepito dall’artista per gli spazi del museo Madre, la mostra presenta più di cento opere suddivise in sezioni che non sono a se stanti, ma dialogano e si compenetrano tra di loro.
Amante del teatro, dell’arte e della musica, sin da ragazzo Mimmo Jodice da autodidatta si dedica al disegno e alla pittura. Agli inizi degli anni sessanta, scopre la fotografia accingendosi in una serie di sperimentazioni sui materiali fotografici.
Vive l’attesa con la speranza che tutto possa andare positivamente, per lui attendere significa sperare che qualcosa avvenga, forse, “aspettiamo con paura, preoccupazione, insicurezza”, dice.
Una parola comune, attesa, che evoca un’ immagine profonda, da “ad tendere”, tendere verso, l’attesa reca nel suo significato anche il concetto di dedizione.
Non essendo un amatore della foto digitale, l’attesa per Jodice è anche il tempo della pratica analogica, una pratica che si nutre di pazienza, è attento, appunto, nell’aspettare e cogliere la luce adatta, solitamente quella mattutina che svela la natura più intima e reale del soggetto così come è attento nel bilanciare il bianco e il nero in camera oscura.
Qui, amplificando le potenzialità estetiche e creative, ridipinge le immagini, il bianco diventa abbagliante e il nero divora quasi interamente la figura. La scelta del bianco e nero non è una scelta puramente estetica, ma al contrario è stata una scelta meditata come tutto il suo lavoro creativo: secondo Jodice il colore è descrittivo, è più fedele alla realtà, mentre nel bianco e nero c’è più spazio per l’immaginazione.
Per l’artista, la fotografia, infatti, non è uno strumento puramente descrittivo, è creazione, implica il pensare, progettare, costruire, deve essere capace di sollevare dubbi e creare discussioni. È ancora manufatto che mette in scena la vita non così come la fotografia documentaristica pretenderebbe di fare, ma coinvolgendo un’ intelligenza critica e lo sguardo personale di chi osserva. La sua fotografia, insomma, non è un linguaggio da utilizzare per fare copie della realtà, ma per realizzare immagini pensate.
La luce è un altro elemento essenziale dei lavori di Jodice, è ciò che permette di vedere, di fare delle scelte , di cogliere il momento ottimale in cui l’equilibrio tra ombra e luce diventa più efficace e disegna l’oggetto al meglio. Le sue storie sono racconto con la luce, hanno a che fare col plasmare sogni, dare vita a soggetti, semplicemente ricordare.
Non è il messaggio che vuole comunicare l’artista, ma suscitare un coinvolgimento emotivo, eterno conflitto tra il mondo interiore e l’aspetto esteriore delle cose.
La mostra accoglie, come tradizione al Madre, la prima opera di Jodice in prossimità della strada. Si tratta di “ Teatralità quotidiana a Napoli ” che, nel formato di una grande proiezione cinematografica, mette in scena immagini che ritraggono una Napoli degli anni 60 e 70. Troviamo aggregazione di uomini che sfilano in cortei del partito comunista, feste popolari, scene di vita di segregazione all’interno delle carceri e dei manicomi chiusi a seguito della legge Basaglia. E’ ritratta la vita di strada, i bassi, le periferie napoletane, il lavoro in fabbrica, gli stabilimenti di Bagnoli.
Superando l’intento documentaristico, nel suo chiaroscuro sociale e culturale descrive le contraddizioni della sua città attraverso un ribaltamento del punto di vista che è quello del soggetto rappresentato e a cui dà unità il suo di sguardo, impregnato di valore etico e civile.
Alle lacerazioni di un tessuto sociale presente in “Teatralità quotidiana a Napoli”, fa da contraltare nella sezione dedicata alle sue ricerche sperimentali, la foto “ Taglio” che è effettuato proprio dalla mano dell’artista, la stessa che scrive a penna sulla fotografia le parole del titolo “Vera fotografia”.
Sovvertendo l’idea di una fotografia specchio della realtà, Jodice viola le regole, indaga e sperimenta le potenzialità espressive del mezzo fotografico: in “Frattura”, “Paesaggio interrotto”, “Strappi”, “Passaggi”, strappa , accosta, sovrappone inserti, crea elementi tridimensionali.
Realizza quella libertà ideativa e compositiva che risale alla sua scoperta delle potenzialità offerte dall’ingranditore come strumento in grado di consentirgli un lavoro creativo oltre la fotografia delle occasioni e che fa dei concetti extrafotografici di tempo di esposizione e grado di luminosità la sua identità stilistica. Esalta, quindi, il valore modernista del processo rispetto al prodotto.
In “Vedute di Napoli” pubblicato nel 1980 il suo linguaggio fotografico assume sempre più una connotazione visionaria, lo spazio urbano si svuota, diventa irreale. Il suo obiettivo non si rivolge più alle vicende più immediate, la figura umana scompare per lasciare posto alla sua personale interpretazione del reale.
Oltre alla scomparsa dell’uomo, il grande assente nella fotografia dell’artista è il tempo. Non ci sono nella sua opera tutti quegli elementi che datano, connotano e fissano l’immagine. Il tempo, è un tempo indefinito, sospeso, un tempo oltre il tempo in cui passato, presente e futuro convergono.
La fotografia, insomma, più che documentazione oggettiva è documentazione di un paesaggio interiore, più che rappresentare un luogo rappresenta una rivelazione a prescindere dal dove.
E così un istante eterno, in uno spazio e tempo ricreati al di fuori della realtà, le rovine di Palmira si trasferiscono nel collasso delle Twin Towers.
In questa trasfigurazione di luogo e tempo, prende corpo la matrice visionaria di Jodice , quella creazione di una reale al di là della realtà che conferisce alle sue fotografie una dimensione straniante e surreale che trova un corrispondente emotivo e intellettuale nel Surrealismo richiamato in mostra dall’opera di Magritte (L’Amour).
In “Transiti”, è visibile il confronto fra volti e corpi della Napoli contemporanea e i capolavori della collezione del Museo Nazionale di Capodimonte e viene stabilita una relazione tra incanto del paesaggio naturale e la fantasmagoria metropolitana delle città contemporanee.
La rottura di argini spaziali si realizza anche nella rappresentazione di un mare quasi sempre senza costa.
Chi è nato in una città di mare stabilisce un rapporto quasi personale con l’ acqua attorno a cui sono nati primi insediamenti umani. Durante tutta la sua vita, Jodice dà voce ad emozioni che insistono nel tempo e nella mente, immortala quei luoghi che affacciandosi sul Mediterraneo sono stati culla della civiltà occidentale, luoghi privilegiati dai commerci e depositari di innumerevoli storie raccontate da sculture che si rifanno a antichi miti.
Terminata la mostra si ha la consapevolezza che la fotografia di Jodice sfugge a quel tempo che Roland Barthes definisce noema della fotografia, quello cioè di un istante che “è stato sicuramente, inconfutabilmente presente, e tuttavia è già differito”.
Dinanzi ad un bianco e nero che insieme all’attesa collocano l’umano in uno spazio e in un tempo qualunque, superando limiti spostati in una dimensione eterna e sottratti all’azione dissolvente del tempo, viene da chiedergli cosa consiglia a chi si avvicina oggi alla fotografia.
Risponde, con occhi sorridenti di chi è passato attraverso strade tortuose prima di vedere riconosciuto a pieno titolo il suo talento, che per prima cosa bisogna innamorarsi. ” Quando ci si innamora non si bada a spese, al tempo, la dedizione è totale”.
Se nella pubblicità dell’Averna un attempato Andy Garcia esalta il valore dell’attesa per raggiungere la perfezione, per gustare l’ intimità visionaria e silenziosa del lavoro di Mimmo Jodice occorre, invece, rompere gli indugi.
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