Arte

Il viaggio, la stasi, lo sguardo enigmatico nel realismo dell’America di Hopper

27 Gennaio 2017

 

Hopper, visitabile al complesso del Vittoriano fino al 12 febbraio, ha sempre avuto un rapporto particolare col tempo: narratore di storie, eppure disegnatore del fermo immagine.

Rappresentante dell’americanismo, tra le tante definizioni attribuite alle sua pittura, quella che sembra tra le più consoni è il suo essere enigmatica: egli riproduce un senso  che sfugge  all’umana comprensione e che  permea ogni cosa, ogni volto, ogni sguardo. Individui isolati, così come i soggetti ritratti sospesi in contemplazione, attesa, straniamento, sembrano offrire un piano di lettura diverso rispetto all’immagine rappresentata.

La mostra si articola partendo dal periodo  in cui visse a Parigi; qui, diversamente da quanto avveniva in America dove la gente era sempre troppo seria e presa dalla smania di fare carriera, è colpito dalla luce  che avvolge e illumina la città e che diventò il fulcro della sua ricerca.

Durante le sue passeggiate osserva non solo i luoghi storici come Notre Dame de Paris, ma anche  una Parigi meno conosciuta: ponti ed argini lungo la Senna. La vita nei cafè parigini lo affascina, lo affascina la gente che pare  viva per le strade sempre animate; la folla che vuole divertirsi  rappresenta quella leggerezza dei costumi francesi contrapposta al rigore battista della sua educazione.

Le Bristot ( o The Wine Shop), realizzato al suo ritorno da Parigi è di chiaro stampo impressionista. Qui ritrae un uomo e una donna seduti nel dehor all’ile de la Cité  e quattro pioppi piegati dal vento, una scena immersa in un’ atmosfera sospesa nell’attesa di qualcosa di indefinito.

Ritornato in America, dove lo stile conservatore nazionale non lasciava spazio all’esotico, iniziò a ritrarre  la “scena americana”; vedono la luce  quadri come The El Station, Blackwell’s Island,  la piccola isola sull’ East River accanto al suo studio.

Non dimentica però  la lezione dell’impressionismo francese  e così  in Summer Interior, uno dei sui primi  nudi in cui la donna si trova sola e malinconica in una stanza, ma soprattutto in  New York Interior, in cui la tensione del braccio della ballerina fa presumere che stia cucendo con un filo invisibile, si scorge l’influenza di Degas. il suo punto di vista è qui all’esterno della storia  e cerca di  cogliere  discretamente l’essenza di questa  intimità quasi rubata. Discrezione che lascerà il posto alla sensualità delicata  e al voyerismo in  Summer interior in cui, ancora una volta, è riconoscibile nei colori e nella posizione dei soggetti la somiglianza con i quadri di Degas.

Ambientazione parigina e un’ atmosfera onirica   intrisa di simboli, ha “Soir bleu” in cui alla desolazione del locale ritratta attraverso un gioco di ombre e luci corrisponde la malinconia di personaggi soli, parte di una stessa scena, ma slegati uno dall’altro. Centrale nella scena la figura del clown che enfatizza il senso di inquietudine; il titolo stesso del dipinto fa riferimento all’ora in cui la luce si fa più rarefatta lasciando spazio all’ambiguità e all’audacia dell’animo umano.

L’ incontro con la pittrice Josephine Nivison che diverrà sua moglie coincide con un viaggio  che la coppia intraprende in largo e lungo attraverso l’America da cui trarrà spunto per dipingere, prima  in bozza  su taccuini, veri e propri diari di bordo, persone e luoghi tipici che diventeranno poi  icone della letteratura e del cinema dell’America contemporanea. Railroad Crossing  ne è un esempio.

Il paesaggio ritratto da Hopper  non è quello dei monumenti, ma del motel e delle stanze d’albergo, non dei grattacieli, ma stazioni di servizio, mezzi di trasporto, e ancora quello dei grandi spazi senza un centro, senza un punto di riferimento dove a volte è totalmente assente la figura umana, evocando perciò l’idea del possibile. Prevale l’uso del colore, dei toni accesi, il gusto iperealista del dettaglio, il senso del movimento, quasi fotografie scattate da un viaggiatore in continuo spostamento on the road. Più che descrizioni le sue sono immagini, tutto sembra sospeso, i suoi quadri sono “inizi di storie” come Wenders, che ha per lui un’ossessione più che un’ ammirazione, sottolinea. I suoi personaggi, infatti, sembrano sempre in attesa di un cambiamento, aspettano da fermi o in viaggio l’avvento  di qualcosa che rivoluzioni le loro esistenze. Sono stranieri di passaggio alla ricerca della loro identità .

Il motivo del  viaggio e della condizione esistenziale dei personaggi, spesso uomini disillusi, disincantati, portatori di una comunicazione solo fittizia che li rende fondamentalmente soli, verrà ripreso dal road movie di Wenders. In Paris Texas un’America colorata, tappezzata di manifesti, insegne di motel, strade, incroci ripresi dall’alto, stazioni di benzina, la solitudine femminile scorta  in stanze d’albergo nonché  la riscoperta della propria identità durante gli spostamenti, sono il fulcro del racconto. Ampiamente analizzato il rapporto tra l’opera pittorica di Hopper e la cinematografia, lo stesso David Lynch, che  a lui si è ispirato in “Velluto Blu”, mostra affinità con gli spazi di Hopper .

Non solo spazi aperti, ma anche la dimensione urbana rinchiusa nella solitudine di quattro mura, è oggetto di rappresentazione in Hopper come traspare  in Study for Conference at Night, dal gusto noir, o Study for Office at Night  dove emerge una tensione erotica tra l’uomo seduto dietro la scrivania e la segretaria.

Un impianto narrativo che è presente in quasi tutti i suoi lavori anche quelli che realizza con puntasecca, e così in Balcony rappresenta la  prospettiva  dall’alto, vista dalla galleria, mentre  Study for Gerlie Show diventa il dipinto ispirato al burlesque a cui assiste  un giorno in cui, dopo un litigio con la moglie, Hopper si reca a teatro da solo. Chiederà, poi, alla moglie Jo di posare per lui nonostante l’età avanzata affidando alla sua matita  il compito di eliminare le crepe dell’età e  aggiungendo sensualità e armonia al corpo.

Il disegno ha un ruolo dominante in Hopper, egli ha costantemente trasferito la realtà osservata e le sue suggestioni su taccuini sotto forma di schizzi  riveduti e corretti.

Tratto inconfondibile nelle incisioni, ma ancor di più  negli acquerelli così come nei dipinti a olio, è la luce che taglia radente la scena, che delimita spazi, che accende colori, come emerge  dai suoi paesaggi di campagna americana, High Road, House on Pamet River, Road and  houses South Truro così come dagli scorci con fari della costa Atlantica, Light at two Lights.

Quest’ultimo, ritratto durante il giorno mentre si innalza verso un cielo terso, sembra godere di un momentaneo riposo prima di poter rischiarare la notte dei naviganti, sebbene in questa poetica della luce il domani  è sempre incerto e non è sicuro che il faro resti nel medesimo posto.

Si scorge musicalità nella sua pittura, in Tall Masts, gli alberi delle barche si stagliano in un cielo azzurro, e osservando il dipinto pare si possa ascoltare lo sciabordio delle acque.

Anche  Gloucester Harbor, e Italian Quarter offrono una visione distesa e soleggiata del paesaggio marittimo.

Infine non si può non considerare gli spazi architettonici che in  Hopper sono grandi personaggi con i loro colori vivaci, un’ eroicità fatta di luce, tetti spioventi, case unifamiliari nelle campagne  o lungo una strada segnati da forti contrasti tra luce e ombra. Spesso gli edifici simmetricamente perfetti sono privi di esseri umani come  in   a Cape Cod Sunset che ritrae la casa che gli Hopper  costruiscono a Truro in Massachussetts. Dipinto senza dubbio metafisico che richiama alla mente  i dipinti metafisici di De Chirico  per il senso di attesa e in cui l’astrazione deriva dall’aver inserito una tipica casa vittoriana con tetto mansardato, cornicione sporgente e ornamenti intricati in un paesaggio tipicamente americano.

In South Carolina Morning, la casa è animata dalla presenza di una donna che con braccia conserte e abbigliamento sensuale contrasta con il paesaggio rurale in cui è inserita, mentre in Second Story Sunlight, due case gemelle sono  illuminate dal sole che fa intravedere gli interni dove è possibile osservare il mobilio. Un uomo attempato è seduto a leggere il giornale, mentre una giovane donna prende il sole in costume da bagno; i due personaggi di cui non si conosce il tipo di rapporto, sono distanti, isolati e pare che l’ intera rappresentazione abbia motivo d’esistere solo in funzione della luce forse di un tramonto.

La casa di Hopper, inoltre, è  spesso intesa come dimora della solitudine, muta, ispirò Hitchcock che ne fece un  luogo di  condanna dove lo psicopatico Norman Bates  consuma il male abilmente architettato.

Altro elemento architettonico ricorrente nella pittura di Hopper sono le scale. In Stairway 1949,  le scale conducono alla porta d’ingresso aperta oltre la quale si intravede il bosco. Anche qui, come per il faro visto dalla terraferma, la visione dell’ inquadratura è dall’interno, quasi a delineare la paura ad attraversare il confine.

I personaggi del pittore americano si trovano spesso vicino a porte, facciate delle case, accanto a  finestre  che sono spesso anima degli edifici e focus metafisico, luogo della visuale per antonomasia dove assorti nei loro pensieri hanno sguardi vuoti come coloro  che guardano ma non vedono. Immagini di  una solitudine e inquietudine  esistenziale che non si colma neppure in presenza della luce. Un realismo pittorico ancorato al tempo presente che però ha poco di realistico in quanto le atmosfere sospese donano all’immagine una scena che le rende aliene dal presente e le fissa fuori lo scorrere del tempo. I personaggi di Hopper  sono bloccati da una forza che ne limita i movimenti, ne impedisce un’azione reale, imprigionati in una storia senza vie d’uscita. Alla domanda  sul cosa stanno cercando in realtà, è lo stesso Hopper a rispondere: come lui, i suoi personaggi sono alla ricerca di se stessi, essi sono un mezzo per sintetizzare la sua esperienza interiore.

La modernità di Hopper risiede, perciò,  proprio in questa rappresentazione di una moderna e più complessa forma di isolamento e immobilismo  a cui fa da contraltare il viaggio come mezzo di conoscenza dell’altro, ma soprattutto di un sé multiforme.

 

 

 

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