Arte
Il sogno di Mary McCartney
Lei era morta quando lui aveva solo 14 anni. Di cancro. Nello stesso ospedale in cui Paul era nato e lei, Mary McCartney, aveva lavorato come infermiera e poi come ginecologa fin dagli anni del primo dopoguerra. Quando Paul è nato, suo padre era ancora via, faceva il pompiere nelle città bombardate dai nazisti. Paul ne rimase distrutto, anche perché era quello che chiamiamo un secchione, ed era molto solo. Un solo amico, George, un altro ragazzino solitario di una Liverpool operaia segnata dalla guerra, dalla disoccupazione, dalla paura, dalla rassegnazione.
Poi l’incontro con John Lennon, un altro cane randagio senza una vera famiglia: padre scappato di casa, madre “difficile”, allevato da una zia austera e (solo apparentemente) anaffettiva. John è rabbioso, violento, sprezzante, vanitoso, mentre Paul e George sono soprattutto in cerca di armonia ed affetto. Ma la paura è il collante che li tiene insieme mentre imparano, insieme, a suonare chitarra e basso – ed a cantare in coro. John ha 17 anni, Paul 15, George 14, quasi vivono insieme, vanno a scuola solo se proprio devono, altrimenti suonano ovunque e bighellonano per una Liverpool che, lentamente, si sta risvegliando dall’incubo. Quando Paul compie 18 anni i tre partono per Amburgo.
Paul racconta che, nelle notti prima della partenza, era consumato dalla paura, e che è partito per entusiasmo e per non fare brutta figura con gli amici. E nei mesi di Amburgo non è stato sempre rose e fiori. Stuart Sutcliffe, il bassista, amico di scuola di John, lo avevano scelto perché era figlio di un alcoolizzato estremamente violento e di una madre ripetutamente pestata a sangue: un altro bambino ferito. Solo che ad Amburgo un gruppo di bulli di quartiere lo ha picchiato così duramente che lui ne morirà, un anno dopo, non essendosi mai veramente ripreso. John decise che Paul avrebbe suonato il basso, ed il ragazzino prese questa imposizione come il segno che il prossimo a crepare sarebbe stato lui.
Il resto lo conoscete. Il ritorno a Liverpool, il primo singolo (“Love me do”), quattro anni folli, vorticosi, di un successo incomparabile, isteria, folla e solitudine, l’enorme pressione di dover continuamente produrre, e un po’ alla volta passa la volta di suonare assieme, o di suonare del tutto. Finché una notte, nei giorni di Pasqua del 1968, Mary è tornata. Nei sogni, ovviamente, ma è tornata. Ed ha detto al figliolo, tremebondo e disperato, di stare calmo, che tutto sarebbe andato bene, che doveva smettere di essere così teso e semplicemente lasciare che le cose andassero come dovevano andare. Che lui ne sarebbe uscito sempre in piedi.
Come in un sogno, Paul incontra Linda Eastman, una ragazza bellissima, forte ed intelligente, appena uscita da un matrimonio infelice. Lui è depresso, le racconta il sogno, e lei gli giura: era lei, ha detto la verità. Fai ciò che ti senti, tutto andrà bene. Rimarranno insieme per 29 anni, finché il cancro la porterà via. Ma anche nelle ultime settimane di vita, Linda ripete a Paul che tutto andrà bene, che deve solo fare ciò che gli ha detto la mamma: lascia che le cose vadano come devono andare.
Nel 1968 quelle frasi della mamma erano divenute una canzone, che viene poi registrata come ultimo brano prime dell’annuncio di Paul che avrebbe lasciato i Beatles, il 31 gennaio 1969, e poi modificata in aprile. Una delle canzoni più belle e commoventi mai scritte da un essere umano, una canzone che ha colorato tutte le nostre vite, non importa se siate state fan dei Beatles o no. Come detto, Linda la conosceva già: lui gliela aveva suonata, ancora incompleta, per il suo 28° compleanno, quando lei era già incinta di Mary. La nipotina che prende il nome della nonna. Perché, come ha sempre detto Paul, “ogni canzone d’amore che ho scritto, l’ho scritta pensando a Linda”. Ed ora, che ha quasi 80 anni, lui ammette di aver finalmente imparato. Lascia che le cose vadano, let them be. Non c’è altro da fare.
https://www.youtube.com/watch?v=7P6X3IWLECY
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