Arte

Il politicamente corretto ci ucciderà tutti

9 Gennaio 2018

Lo chiamerei creativicidio, se il termine non fosse cacofonico al limite dell’inascoltabile, ma che il dilagante politicamente corretto che, negli ultimi anni in modo sempre più invadente, ci sta culturalmente colonizzando meriti di essere accusato con termini appropriati delle sue colpe è fuori discussione. Ultimo e imbarazzante caso il commento del sindaco Nardella alla rivisitazione – a firma del regista Leo Muscato – del finale della Carmen di Bizet per il Maggio musicale fiorentino. Sulla scelta artistica non entro nel merito – per incompetenza e perché già ottimamente si è epresso su queste pagine Andrea Porcheddu – e mi limito a constatare come ormai in nome del rispetto, dell’uguaglianza, dell’equidistanza, della correttezza, insomma dell’equilibrio che definirei equilibrismo fra “tutte le parti”, si stia arrivando a mettere in discussione il senso e la bontà di un’opera d’arte in base a paramentri che nulla hanno di artistico.

L’arte è da sempre messa in discussione, sovvertimento di un canone (o creazione di, o adesione a), è presa di posizione, è scelta, a volte anche faziosa.

L’arte è qualcosa che instilla il dubbio, che attiva il pensiero, che porta alla riflessione, qualcosa che educa, ma non nei termini didascalici di un manuale, si tratti di etica o di estetica. L’arte può nascere anche con lo scopo di inviare messaggi diretti alle persone (pensiamo all’arte sacra, alle rappresentazioni civili come Il buon governo del Lorenzetti a Siena o, saltando davvero di palo in frasca, Guernica di Picasso), ma mai può essere spiegata con un solo e univoco messaggio di senso. Questo vale anche per le scelte artistiche, come gli allestimenti, le riscritture, le rielaborazioni, le citazioni, le trasposizioni: non sono mai realizzate per veicolare un messaggio in modo più diretto/corretto/contemporaneo, semmai sono frutto di un complesso percorso di assimilazione e restituzione mediata. Diversamente sono esercizi di stile. Tanto belli, magari, quanto inutili.

Il politicamente corretto produce questi mostri. Opere create con il solo scopo di aderire a un percorso culturale predefinito e rispettose di precisi confini predeterminati. Dalla società, dalla cultura maggioritaria, da una morale/etica specifica.

In nome del politicamente corretto abbiamo assistito negli ultimi anni a scempi linguistici, a polemiche eterne ed inutili su “produzioni culturali” (più o meno artistiche, se ne può discutere, ma stiamo – per Diana! – nel merito), ad attacchi di puritanesimo della peggior specie: quello che si camuffa da difesa dei diritti e delle sensibilità altrui.

Tutto questo dimenticandoci che l’arte è anche offesa, l’arte è anche una manifestazione violenta e “disturbante”, che è una delle sue funzioni quella di scuoterci – nel bene e nel male – e provocare una reazione. Il politicamente corretto uccide la provocazione, annulla la reazione, anestetizza qualsiasi forma di messa in discussione generativa. E il rischio, quello concreto, è di morire di perbenismo, senza nemmeno far rumore, con una grande anestesia generale.

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